La fiaba e il golfo mistico

di Andrea R.G. Pedrotti

A un secolo esatto dalla prima assoluta,  Die Frau ohne Schatten torna sulle scene della Wiener Staatsoper nello spettacolo nato nello scorso giugno per vesteggiare i centocinquantanni del teatro. Se l'allestimento mostra qualche ingenuità, il cast vocale, specie nelle voci femminili, regala grandi soddisfazioni, mentre si impone l'astro carismatico di Christian Thielemann sul podio.

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VIENNA, 14 ottobre 2019 - Die Frau ohne Schatten è forse una delle opere più complesse, per i mezzi richiesti, da mettere in scena e uan delle drammaturgicamente più contorte e di difficile interpretazione.

Richard Strauss, com'è noto, non ragionava specificamente del libretto, bensì su una linea musicale che poi andava a sovrapporsi al testo letterario, pretendendo sovente che il poeta - spesso il malcapitato, quanto geniale, Hugo von Hofmannsthal -  accomodasse la metrica del suo scritto in modo che si adeguasse alla melodia pensata dal compositore. Tale esigenza complica ulteriormente un'opera delicatissima, giustificando le perplessità che il pubblico, proprio qui a Vienna, ebbe alla prima esecuzione assoluta, il 10 ottobre 1919.

Oggi, sempre a Vienna, le perplessità permangono a proposito dell'impianto registico pensato da Vincent Huguet, che non riesce a trovare una via di decifrazione compiuta a un testo fra il simbolico, l'esoterico e il fiabesco. Fa sorridere il notare come l'imperatrice e la nutrice si calino nel regno mortale con una fune fatta di lenzuola annodate, scendendo da un letto a baldacchino, cinto da un piccolo chiostro e sovrastato da un candido gazebo.

La dimora del tintore Barak è una grotta-laboratorio che funziona nel suo essere stilizzata. Tuttavia sono il secondo e terzo atto a convincere meno, quando il regista tenta di trasmettere il senso del misticismo fiabesco con il supporto di proiezioni e teli. Le voci sono ben realizzate e non si comprende mai con precisione da quel anfratto della Staatsoper esse provengano, ma appare piuttosto ingenua la pensata di far fiammeggiare un un grande fuoco al centro della scena, con la sola utilità di proiettare una grande ombra, alla donna senz'ombra. Nel terzo atto, il regno degli spiriti, rammenta un immaginario Averno, senza che la scena muti in maniera sostanziale rispetto all'atto precedente. Per facilitare i cambi scena i cantanti vengono spesso portati in proscenio con un abbassamento di differenti sipari, in modo che le complesse esigenze della contorta drammaturgia possano essere assolte.

Le scene erano di Aurélie Maestre, i costumi di Clémence Pernoud, le luci di Bertrand Couderc.

Convince il cast con preferenza per la componente femminile, grazie alle prove pienamente convincenti di Camilla Nylund (imperatrice), Mihoko Fujimura (la nutrice) e Nina Stemme (la tintrice). Sul versante maschile le parti ostiche vengono superate con mestiere da Andreas Schager e Tomasz Konieczny (il tintore Barak).

Bene tutti gli altri interpreti: Clemes Unterreiner (messaggero), Maria Nazarova (guardiano della soglia del tempio e voce di un falco), Jörg Schneider (apparizione di un giovane), Monika Bohinec (voce dall'alto), Rafael Fingerlos (l'uomo con un occhio solo), Marcus Pelz (l'uomo con un braccio solo).

Ottima la prova del coro, diretto da Thomas Lang.

Autentico trionfatore, nonché primo artefice del successo della serata, è Christian Thielemann, che guida con sicurezza e composta precisione l'Orchestra della Wiener Staatsoper, consentendo al grande organico richiesto da Strauss di interpretare la partitura con intensità, fraseggio e respiro eccellenti. L'agogica è coinvolgente sia nella poetica della melodia, sia nel fremere dell'angoscia e del dramma; parimenti le dinamiche pensate da Thielemann conferiscono al suono strumentale una policromia di raffinati colori che consentono di sopperire a talune ingenuità registiche con il misticismo della partitura di Strauss, come, si suppone, fosse nelle intenzioni dell'autore medesimo.

Al termine grandi applausi per tutti, con punte di entusiasmo per il concertatore tedesco.

foto © Wiener Staatsoper GmbH / Michael Pöhn