Un Eden di delizie

 di Antonino Trotta

La regia di Pier Francesco Maestrini e le scenografie di Francesco Zito tracciano i contorni di uno spettacolo altisonante; il cast affiatato, con punte d’eccellenza in Amartuvshin Enkhbat e Alexandra Zabala, provvede ad animarlo: l’Ernani diretto da Matteo Beltrami inaugura con successo la nuova stagione del Teatro Coccia di Novara.

Novara, 18 ottobre 2019 –George Bernard Shaw si sbagliava, a volersi fare il soprano non sono solo tenore e baritono: nella quinta fatica del Cigno di Busseto anche il basso vorrebbe tuffarsi a pesce nella vorticosa girandola amorosa. Nell’Ernani, tuttavia, Verdi non scardina solo il cliché del triangolo sentimentale in favore di un poligono ben più articolato bensì inizia ad abbozzare i prototipi che nel periodo della maturità diverranno modelli di serie e di punta del suo catalogo, affinando di conseguenza lo spessore del più prossimo di quanto si immagini superuomo di teatro. Accantonata, se non abbandonata, l’opera d’ispirazione collettiva e fortemente corale alla Rossini – Nabucco e Lombardi –, Verdi avverte la necessità di un teatro più autentico, che rinneghi l’ottimismo illuminato del secolo precedente ed esasperi l’inconciliabilità delle passioni umane: sarebbe bastato che Silva rinsavisse per assicurare, a un’opera comunque dalla drammaturgia ancora tagliata con l’accetta, un lieto fine non meno credibile degli altri coups de théâtre. Invece il terzetto finale, fin da subito acclamato come uno dei passi più intensi dell’intero lavoro, sublima tutta l’estetica del melodramma verdiano. E se di sperimentazione si vuol parlare non si può non riconoscere nella costruzione delle sequenze musicali, al netto delle cavatine di Ernani ed Elvira, una certa propensione alla continuità che, seppur velatamente, già tradisce una certa insofferenza per i numeri chiusi: non più istantanee su stati emozionali, ma componenti attive dell’azione vera e propria, quantunque improbabile. E se proprio l’improbabilità della narrazione potrebbe tendere qualche tranello a chi tiene le redini del discorso teatrale, al Coccia di Novara Pier Francesco Maestrini s’instrada sul solco della tradizione per confezionare un portagioie entro cui custodire i preziosi monili della partitura.

Ernani comme il faut, ardirebbero non pochi, ma se di ciò non si è mai convinti, molto meglio sposare alla luce del sole il paradigma del “si faccia – bene – quel che si è sempre fatto” che civettare di nascosto con esso – e si, mi riferisco all’Ernani scaligero di un anno fa –. Maestrini si muove con garbo nelle scenografie a perdita d’occhio di Francesco Zito, importate e riadattate dal Massimo di Palermo, ben consapevole che dall’omaggiarla all’irriderla, la tradizione, il passo è assai breve. E il risultato è quello di una messinscena educata e pulita, ossequiosa del libretto ma mai caricaturale, quindi assolutamente godibile nel momento in cui vi si assiste consapevoli che dal primo testo di Piave non balzeranno in primo piano sottotesti o filigrane, magari nemmeno presenti.

Di sottotesti e filigrane, soprattutto per quel che riguarda il dettato strumentale, è invece attento ricercatore e valorizzatore Matteo Beltrami, alla guida della volenterosa Orchestra della Fondazione Teatro Coccia, rimpolpata nelle file dagli studenti del Conservatorio “G. Cantelli” di Novara. Se c’è una critica da addurre al direttore musicale della fondazione, questa concerne esclusivamente alcune sforbiciate alle riprese: Ernani è un’opera così bella, si permetta al pubblico di goderne appieno. Per il resto Beltrami si dimostra un concertatore meticoloso, abile e accomodante nella gestione del palcoscenico – riassesta in più occasioni il Coro Sinfonico “Giuseppe Verdi” di Milano, ben istruito da Jacopo Facchini –, ruggente nelle pagine corali eppur capace di eleganti involi lirici nei romanticissimi cantabili.

Il cast poi, tra conferme e rivelazioni ancorché già accarezzate, è davvero valido. Prevedibile la prova maiuscola di Amartuvshin Enkhbat, il giovane baritono mongolo dalla voce ampia e perfettamente proiettata, dalla pronuncia pressoché impeccabile, dal timbro suadente che proprio al Coccia si è ascoltato per la prima volta come Nabucco. Ritroviamo l’artista che s’impone per il profondo senso della misura, per la qualità dell’accento verdiano articolato sulla parola, ricca di sfumature e inflessioni, per la nobiltà nel porgere le frasi, per l’interprete che sembra essersi fatto più maturo e partecipe e che restituisce infine un Carlo maestoso ed autoritario. Un vero trionfo l’aria del terzo atto, «Oh de' verd'anni miei», nonostante qualche piccolo difetto di intonazione nell’attacco e nella torrenziale puntature conclusiva.

Alexandra Zabala era già nota a chi scrive per i ruoli di fianco sostenuti al Regio di Torino e proprio in merito alla cronaca di I lombardi alla prima crociata ci si auspicava di poterla riascoltare in ruoli più consistenti. Eccoci dunque accontentati, la Zabala sostituisce l’indisposta Courtney Mills e regala anch’ella una prova al di sopra di ogni attesa. Con la Zabala si sottrae Elvira alla dimensione vocale giunonica del personaggio e la si fa brillare nel cielo del canto morbido e legato, forte di un timbro pregevole corredato da filature mozzafiato che fanno dell’aria di cavata «Ernani involami» uno dei passaggi più esaltanti della serata. Le agilità nella stretta non saranno quelle di una sfacciata acrobata del pentagramma, ma il fiero sangue d’Aragona dell’eroina verdiana – che qui tiene testa ai tre primiuomini infoiati –, emerge appieno nel temperamento del fraseggio e nell’insolenza con cui svetta nei pezzi d’assieme.

Annunciato indisposto, Migran Agadzhanyan ben si difende nel ruolo del protagonista. Certo è un peccato non poter godere di quel timbro brunito – già apprezzato in una Tosca al Regio di Parma – nella pienezza delle sue facoltà giacché la tessitura acuta risuona talvolta forzata. La voce però non perde lo squillo luminoso, il fraseggio è sensibile e Agadzhanyan ben riesce a coniugare la corazza ardimentosa con l’anima appassionata dell’irruente bandito. Ottimo anche il Silva di Simón Orfila, generoso per la portata del mezzo vocale, sapientemente sfumato e inquieto nel tratteggio del personaggio più sfaccettato dell’opera, ora affranto per la disillusione dell’amore senile, ora vibrante nell’ingordo appetito di vendetta.

Giovanna è affidata alle cure della brava Marta Calcaterra. Albert Casals (Don Riccardo) e Emil Abdullaiev (Jago) completano il cast. Un Eden di delizie questo Ernani. Serata così dovrebbero essere la regola, non l’eccezione.