Bello, popolare, giusto

di  Irina Sorokina

Il Nemorino eccellente di Francesco Demuro, ben accompagnato da Laura Giordano, cui Adina calza a pennello, e da Salvatore Salvaggio, Dulcamara bonario e godereccio: ecco la ricetta del successo dell'Elisir d'amore al Filarmonico di Verona nello scatenato allestimento country di Pier Francesco Maestrini

Verona, 19 novembre 2019 - L’elisir d’amore si rappresenta a Verona nei giorni drammatici dell’acqua alta a Venezia. Che c’entra? – a qualcuno verrebbe a dire, ma secondo il nostro parere, un collegamento c’è. A Venezia è ambientato il celebre romanzo dello scrittore austriaco Franz Werfel in cui vicende immaginarie forniscono un ritratto veritiero del grande compositore venuto dalle nebbie della Bassa Parmense. In una conversazione con un personaggio frutto della fantasia dell’autore, Verdi fa cadere un’osservazione riguardante il genio bergamasco e uno dei suoi capolavori, LElisir d’amore, appunto: “Com’è bello, popolare e giusto, e com’è ingiusta la modernità verso il povero Donizetti!”.

Povero Donizetti, giustamente si può dire se si ricordano le sue vicende familiari e morte prematura; ma non si può dire se si ricorda una formidabile renaissance della cospicua eredità del grande bergamasco iniziata nel secolo scorso e mai finita. Tra quest’eredità, però, un capolavoro dell’opera buffa, L’elisir d’amore, non ha mai avuto bisogno di essere fatto rinascere, proprio perché “bello, popolare e giusto”.

Arriva dal Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, L’elisir in questi giorni al teatro Filarmonico di Verona, ma in realtà ha una nutrita "preistoria". Si è visto negli anni scorsi a Maribor, in Slovenia, e poi a Oderzo, nel trevigiano. Il regista, Pier Francesco Maestrini, è noto al pubblico veronese grazie ai suoi frizzanti allestimenti di opere rossiniane con l’uso dei cartoon. Ha tutte le probabilità di successo, questo Elisir, e cosi accade.

Ambientata dal librettista Felice Romani in un villaggio nei paesi baschi, la deliziosa opera è piuttosto versatile e può essere trasferita da qualche altra parte e in un’epoca diversa: ne abbiamo visto parecchi esempi. Stavolta tocca all’America, quella entrata nel mito ormai, del Midwest dai prati sconfinati, girls dalle forme seducenti in pantaloncini corti, fast food lungo la Route 66. Qui, in un buco qualunque, Nemorino è un simpatico poveraccio, zimbello del paese che campa facendo pubblicità all’impresa della bella Adina che vende i polli fritti ed è “condannato” a indossare la buffa divisa del volatile. Le scene colorite e oleografiche di Guillermo Nova soddisfano l’immaginario collettivo; dietro la pedana dove al solito agisce il coro si vedono cieli azzurri o ardenti, praterie verdi e non mancano pompe di benzina lungo la strada. Nel secondo atto si vede il grande cartello che pubblicizza i polli di Adina e un toro meccanico che sfida chiunque di non essere disarcionato. La folla allegra e molto partecipe è vestita da Luca Dall’Alpi con evidenti richiami della moda americana degli anni ’50-60: cappelli, pantaloni con bretelle, camicie a quadrettoni per gli uomini, shorts, camicette corte e stivali per le ragazze. Tutto questo mare umano vive, discute, si diverte e si commuove messo quasi sempre dal regista sulla pedana, mentre i dialoghi tra i protagonisti si svolgono sul proscenio. Questo tipo di messa in scena di Maestrini potrebbe essere un po’ limitante, ma lo spettacolo si salva in pieno grazie alle numerose (a nostro parere, troppo numerose) gags.

Francesco Demuro è il trionfatore indiscusso della serata; si ricordano le parole di Lorenzo Arruga scritte una decina di anni fa, quando rifletteva sul fenomeno del tenore e notava l’amore particolare che nutre il pubblico verso questo tipo di voce. Erano i tempi in cui Pavarotti era già morto e Carreras ritirato da tempo; Arruga giustamente pensava ai cantanti a cui sarebbe toccato a raccogliere la loro eredità, e tra loro nominò Demuro. Ed ecco il tenore sardo che a distanza di molti anni conferma la profezia: dimostra una crescita artistica fuori dal comune, e gli applausi grandiosi a lui riservati dal pubblico del Filarmonico sono pienamente meritati. Sfoggia una voce bella, morbida, lucente; il fraseggio è elaboratissimo, l'accento impeccabile, i chiaroscuri e i filati formidabili. Giustamente, gli tocca a bissare la celebre "Una furtiva lagrima", e la canta ancor meglio, facendo del meraviglioso legato uno strumento perfetto di comunicazione.

Al suo fianco, l'Adina di Laura Giordano, cui il ruolo della furba “fittaiola”, che nello spettacolo diventa la proprietaria del fast food, calza a pennello. Sa dosare nel modo giusto fascino, dolcezza e capriccio, si muove bene e si presta a gioco. Bella la voce, chiara e squillante, morbida l’emissione e precisi gli acuti.

Delude Belcore del baritono Quianming Dou: lo strumento c’è, ma non è per nulla affinato, la voce risulta ruvida e quasi rozza, e mancano raffinatezza del fraseggio e padronanza del legato. Esagera un pochino nella recitazione, al posto del briccone viene fuori quasi un hooligan (ma, del resto il regista trasforma il bravo sergente in un marine piuttosto violento), ciò, comunque non gli toglie la simpatia.

Salvatore Salvaggio disegna un Dulcamara bonario e godereccio (il regista trae l’ispirazione dal Boss Hogg della serie televisiva Hazzard) e canta con garbo e trasporto, conquistando anche grazie a una vera arte della parola cantata e alla dizione nitida.

Si fa notare una graziosa Elisabetta Zizzo nel ruolo di Giannetta.

Sul podio, il direttore svedese Ola Rudner, risulta evidentemente “congelato” e a tratti insicuro e fornisce una lettura piuttosto monocorde e senza vita. Un vero peccato, visto il cast vivace e brillante di cui degno contraltare è il coro della Fondazione Arena preparato da Matteo Valbusa.

“Bello, popolare e giusto”, secondo il Verdi del celebre romanzo, L’elisir d’amore al Filarmonico di Verona risulta bellino, troppo popolare e un po’ esagerato, ma pienamente funzionante e godibile. Il teatro è pieno compresi tantissimi ragazzi, e il successo è indiscusso.