L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Indice articoli

Teatro nel teatro

di Luis Gutierrez

Si conclude con un bel successo per l'opera di Offenbach la stagione della Compañía Nacional de Ópera de Bellas Artes.

en español

Città del Messico, 10 dicembre 2019 - La Compañía Nacional de Ópera de Bellas Artes ha chiuso la stagione 2019 con un brillante omaggio a Jacques Offenbach nel bicentenario della sua nascita con la messa in scena di Les contes d’Hoffmann.

Questo titolo è uno dei favoriti del pubblico appassionato alla forma artistica che chiamiamo opera e, nel contempo, una delle più difficili da programmare per due ragioni: la più ovvia è il costo che comporta allestirla, data la qualità e la quantità degli interpreti richiesti,  e la complessità che implica la rappresentazione di quattro vicende in forma credibile considerate le caratteristiche fantastiche di almen tre dei cinque atti dell'opera, anche se il primo e l'ultimo si possono definire come prologo ed epilogo; la meno ovvia deriva dal fatto che l'atto di Giulietta e l'epilogo sono rimasti incompiuti al momento della morte del compositore. Offenbach ha creato l'opera per essere rappresentata al Théâtre de la Gaîte-Lyrique, con recitativi, un baritono come Hoffmann e quattro soprani lirici per le amate Olympia (Parigi), Antonia (Monaco), Giulietta (Venezia) e Stella (Norimberga).

Prima del fallimento dell'impresa del compositore, l'impresario Léon Carvahlo lo aveva convinto a presentare il suo lavoro all'Opéra-Comique, il che implicava una revisione con dialoghi parlati, un tenore nella parte principale e un soprano di coloratura. Offenbach è morto durante le prove, per cui si chiamò a completarla Ernest Giraud. A complicare le cose, la parte di Nicklausse–La muse, assegnato a un mezzosoprano, Alice Ducasse, fu affidato a una attrice e a un soprano lirico; per di più, l'esito insoddisfacente del lavoro di Guiraud nell'atto di Giulietta ha fatto sì che fosse eliminato, ridistribuendo alcuni numeri –inclusa naturalmente la barcarola – nel resto dell'opera. Anche con l'atto veneziano già finito, l'opera ha debuttato ed è stata pubblicata con un altro ordine rispetto a quello cocnepito dall'autore, vale a dire: Olympia, Giulietta, Antonia, come a camuffare le imperfezioni persistenti nell'atto veneziano. Giraud scrisse nuovi recitativi, i medesimi che sono rimasti fino all'edizione Choudens del 1907. L'incendio del 1887 della Salle Favart, sede dell'Opéra-Comique, distrusse la partitura del debutto, tuttavia, la scoperta di manoscritti ha permesso due edizioni "definitive”: quella di Fritz Oeser, 1976, che include materiali al tempo inediti, in particolare riferiti a Nicklausse–La muse, e alcune integrazioni all'edizione Guiraud; l'altra versione è quella di Michael Kaye, 1988, che si è avvicinato il più possibile all'originale di Offenbach. Nonostante ciò, ci sono elementi chiave che esistono in entrambe le edizioni, come l'ordine originale degli atti, Olympia– Antonia –Giulietta, la identificazione della Musa con Nicklausse, l'eliminazione delle varianti, incluse nella versione Choudens, composte nel 1904 da André Bloch per l'atto veneziano, con testi di Pierre Barbier, figlio del librettista originale, Jules Barbier. Questi punti devo essere rispettati per realizzare una rappresentazione il più fedele possibile alla concezione di Offenbach. In questo caso la CNO ha utilizzato, a mio parere giustamente, l'edizione Kaye.

L'allestimento Benjamín Cann è stato un uragano di idee con una briciola di buon umore. All'inizio, l'orchestra ha toccato i primi accordi del Don Giovanni di Mozart, opera ammirata tanto da Offenbach quanto dal vero Hoffmann; in questo momento, il regista è entrato in scena e ha rimproverato il maestro concertatore pe aver sbagliato opera, giacché questi e la maggior parte dei musicisti avevano lanciato le sue ‘particelle’ mozartiane. Ritengo che lo scherzo implicasse molto più di una trovata comica, comunicando che quella cui stavamo per assistere fosse un'opera in cui tragedia e commedia avrebbero lottato per la supremazia sul palco. L'azione si è svolta nei luoghi previsti dal compositore, ma trasporta di quasi cent'anni dall'epoca di Hoffmann al periodo interbellico degli anni Trenta del Novecento. Benché il concetto di teatro nel teatro usato da Cann sia divenuto un cliché, ha avuto la sua ragion d'essere, giacché in quest'opera chi racconta la sua storia è il personaggio eponimo. Il regista ha deciso di dare a Hoffmann e a Nicklausse–La muse un aspetto simile nei costumi identici e nel muoversi, in un momento per me inaspettato, uno di fronte all'altro come in uno specchio. Forse questo significa che ogni artista in sé ha un lato apollineo, la musa, e uno dionisiaco, Hoffmann? Sono convinto che sia così nella realtà. L'unico appunto che si potrebbe miovere al regista sarebbe un certo abuso di decoro scenico che a tratti ha distratto dal nucleo principale; devo, comunque dire, che queste decorazioni distraevano perché attraenti. Jorge Ballina ha disegnato la scenografia che l'idea richiede, sovrapponendo in senso orizzontale tre teatri, al proscenio, in cui si svolgono prologo ed epilogo e in cui si raccontano le avventure amorose di Hoffmann. Jorge Zapatero ha realizzato luci che hanno fatto risaltare ciò che doveva essere posto in evidenza e messo in ombra ciò che doveva essere oscurato. A Mario Marín del Río si devono costumi fra i quali si è distinto quello di Olympia, l'automa, e il cappotto di Lindorf e dei suoi tre fratelli diabolici, Coppélius, Miracle e Dapertutto, sempre macchiato di sangue, cosa che infastidisce i malvagi, costantemente impegnati a tentare di eliminarlo sfregandolo con la mano. Carla Tinoco ha pensato un trucco conforme alle idee di Cann, e Ruby Tagle coreografie e movimenti scenici, sortendo il massimo risultato possibile nel traffico congestionato di coristi e di numerose comparse. A proposito, alla fine del prologo, Cann e Tagle hanno ammiccato con malizia presentando un can can ballato quasi come se si sarebbe fatto in Orphée aux enfers.

I cantanti si sono comportati molto bene. Si sono distinti i vilain di Philip Horst, che ha risolto perfettamente le difficoltà imposte dalla sua aria ‘Scintille diamant’ nell'atto veneziano, e le amate del soprano rumeno Letitia Vitelaru, la cui Antonia è stata spettacolare, specialmente in ‘Elle a fui, la tourterelle’, e Olympia esilarante, mentre la tessitura di Giulietta non le ha permesso di essere brillante come vorrei sempre dalla cortigiana veneziana. Devo dire che nel duetto ‘Belle nuit, o nuit d’amour’, la famosa barcarola, la sua voce si è fusa a meraviglia con quella di Cassandra Zoé Velasco, mezzosoprano perfetto per La muse e molto buono per  Nicklausse.

Jesús León può essere un cantante migliore di quanto non si sia ascoltato questa sera, specialmente per quanto concerne il volume ridotto della sua voce, tanto che nei numeri d'assieme arrivava a essere inudibili. Devo dire che è migliorato moltissimo nel terzo atto e nell'epilogo, in cui ha offerto una canzone di Kleinzach di miglior qualità rispetto a quella cantata nel prologo.

Enrique Guzmán ha cantato i quattro servitori in maniera scrupolosa, considerando che era stato annunciato indisposto prima della recita. Rosendo Flores ha usato tutta la sua esperienza per degli ottimi Crespel e Luther, così come Víctor Hernández si è distinto nei panni dello scienziato Spalanzani e amante di turno di Giulietta. Il resto del cast, Violeta Dávalos quale madre di Antonia, Rodrigo Urrutia come Hermann, Álvaro Anzaldo  Nathanaël, Juan Carlos López Wolfram e Carlos Santos Wilhelm hanno dato vita a prove distinte e di buona qualità.

Jonas Alber è stato il maestro concertatore che ha condotto la nave in un porto sicuro, sebbene talora abbia "scagliato l'orchestra contro i cantanti”. Gli assoli di violoncello sono stati davvero affascinanti e hanno ricordato che Offenbach era stato considerato un virtuoso dello strumento prima di dedicarsi appieno alla composizione delle sue moltissime operette. Un altro aspetto che ha richiamato l'attenzione sull'rochestra sono stati i glissandi del trombone, scritti occasionalmente con quella volgarità che apapre occasionalmente nelle colonne sonore di alcune pellicole di Woody Allen. Il coro, diretto questa volta da Andrea Faidutti,ha offerto una prestazione importante.

A mio parere, è chiaro, la Compañía Nacional de Ópera ha chiuso il 2019 con un acuto. Spero che il 2020 sia un'altra buona annata, senza dimenticare che Fidelio “deve” apparire nel programma, ed essere eseguito naturalmente, celebrando i 250 anni dalla nascita di Beethoven.

 


Vuoi sostenere L'Ape musicale?

Basta il costo di un caffé!

con un bonifico sul nostro conto

o via PayPal

 



 

 

 
 
 

Utilizziamo i cookie sul nostro sito Web. Alcuni di essi sono essenziali per il funzionamento del sito, mentre altri ci aiutano a migliorare questo sito e l'esperienza dell'utente (cookie di tracciamento). Puoi decidere tu stesso se consentire o meno i cookie. Ti preghiamo di notare che se li rifiuti, potresti non essere in grado di utilizzare tutte le funzionalità del sito.