Mario Bertoncini e l’eleganza delle imperfezioni

di Valentina Anzani

All’interno della rassegna del festival di musica contemporanea Angelica, Mario Bertoncini porta i suoni della sperimentazione.

BOLOGNA, 7 maggio 2014 – Preferisce la presenza fisica umana all’elaborazione elettronica, nonostante la componente di perfezione che caratterizza quest’ultima, data la sua costruzione per algoritmi. Il pregio maggiore dell’essere umano è invece il suo essere rozzo e imperfetto, e questa imperfezione, applicata all’espressione musicale, apre un campo di possibilità che conferisce maggiore valore a quanto viene eseguito. È questo il concetto che Mario Bertoncini ha voluto sottolineare in un breve dialogo con i più curiosi dei suoi spettatori, che, a concerto terminato, si erano spinti fino al palco per dare uno sguardo da vicino ai suoi strumenti.

Qualche ora prima si era stati accolti dalla penombra azzurrina cinguettante che caratterizza ogni attesa che precede i concerti organizzati dal festival Angelica, che da ventiquattro edizioni impegna il maggio di Bologna con serate dedicate alla musica e ai compositori contemporanei. La presenza di Mario Bertoncini, sperimentatore tra i più significativi dell’avanguardia italiana, è stata, la sera del 7 maggio scorso, un regalo per gli appassionati e i malinconici: la sua è la generazione di compositori e strumentisti, tra i quali ricordiamo Bruno Maderna, che ebbe il culmine della propria attività negli anni ’70 e i cui rizomi continuano a influenzare le nuove leve. Il programma prevedeva brani per strumenti inventati dal compositore: pur rifacendosi a modalità tipiche dello stile di John Cage (la “preparazione” del pianoforte prevedeva anche che tra le corde fossero inseriti dei corpi metallici tali da modificarne il suono originario), gli strumenti acustici erano modificati secondo tecniche inedite, spesso con l’amplificazione microfonica e con o senza l’aiuto dell’elaborazione elettronica dal vivo. Per i brani Istantanee I e II ha fatto uso dell’arpa eolia circolare, costruita con corde metalliche la cui percussione avviene tramite flusso di aria compressa. Lo strumento era privo di cassa di risonanza, così sibili e vibrazioni amplificati da casse altoparlanti distribuite sul soffitto hanno prodotto un effetto di immersione suono. Da eseguirsi con una serie di gong sospesi e percossi dai martelletti di una tastiera di pianoforte estratta dalla propria sede era invece Alleluia, brano di rintocchi di campana che ha suscitato ulteriori suggestioni per il fatto di essere eseguito in un ambiente come il Teatro di San Leonardo, riconversione di una chiesa sconsacrata.

Della persona di Mario Bertoncini rimane un ricordo affascinato per il suo muoversi perfettamente a suo agio, con gesti così fluidi e naturali, ma allo stesso tempo così precisi da sembrare una coreografia: il rapporto tra il suo corpo e gli strumenti con cui interagiva era intimo e delicato, come in una danza di incantesimo – un incantesimo che trasforma la creazione di un strumento nella costruzione materiale di un suono nuovo.