charlie chaplin, the circus

Intelligenti pauca

 di Antonino Trotta

In una serata squisitamente d’antan la Filarmonica del Teatro Regio di Torino, guidata da Timothy Brock, presta la voce a Charlot: il film The Circus di Charlie Chaplin emoziona, diverte, commuove.

Torino, 4 Marzo 2019 – Due facce della stessa medaglia che la storia ha consegnato al mito, quello del cinema muto, della comicità in punta di fioretto, della superfluità del verbo. Chi sia l’ombra, o il riflesso, di chi, non è immediato stabilirlo. Tutti conoscono Charlot, non tutti lo riconducono a Chaplin. Sotto la buffa bombetta e dietro i vispi baffetti si nasconde uno sguardo corrugato da malinconia e gioia, arguzia e ingenuità, il volto di un antieroe diseredato, per certi versi calviniano, surrealista e solitario, incapace di evolvere secondo i ritmi della società, vagabondo alla ricerca di un contesto, non di una meta. Poi c’è l’intuizione del genio demiurgico, il talento del cineasta, dell’attore, del musicista, dell’artista. Creatore e creatura si sovrappongono esponendosi al rischio dell’antonomasia, ma insieme cavalcano l’onda del tempo per approdare nell’epoca dove il silenzio è un lusso, intonsi nella loro essenza e ancora capaci di emozionare, divertire, commuovere.

Non c’è dunque da meravigliarsi se, in occasione della proiezione di The Circus di Charlie Chaplin al Teatro Regio di Torino, ennesimo accattivante appuntamento della stagione concertistica, la partecipazione del pubblico è stata, oltre che copiosa, particolarmente sentita. La colonna sonora del film, realizzato tra vicissitudini di varia natura nel 1928, sarà composta da Chaplin – quindi orchestrata da Eric James e restaurata da Timothy Brock, partendo dai manoscritti originali, nel 2003 – solo dopo la riappacificazione con il proprio girato. Le idee musicali di Chaplin sembrano riflettere appieno la poetica del personaggio: sono franche, immediate, senza inutili iperboli o pleonasmi. La composizione non è mai didascalica, anzi, talvolta gli occhi smentiscono ciò che le orecchie suggeriscono. Tuttavia, soprattutto nell’incontro con Merna o nel valzer che accompagna Charlot funambolo, la musica in filigrana arricchisce il bagaglio espressivo della pellicola e, come in una partitura d’opera, impreziosisce il tessuto drammaturgico con infiorettature delicate e pittoresche.

In questo bouquet artistico gioca un ruolo fondamentale la splendida Filarmonica del Teatro Regio di Torino, capace di modulare sonorità e colori secondo un codice esecutivo ben diverso dalla pratica quotidiana. Del resto è Timothy Brock ad anticipare elogi, nella breve nota introduttiva, ai complessi sabaudi: è un privilegio poter ascoltare una formazione di tale prestigio impegnata in questo tipo di repertorio. Ma alla qualità della buca non è secondo il podio: Brock, ovviamente, conosce il testo a menadito, e può distrarsi dal leggio per salvaguardare il perfetto sincronismo tra fotogramma e battuta, di temperare l’equilibrio tra le sezioni, soprattutto nei passaggi onomatopeici degli strumenti, di fraseggiare seppur costretto dall’inesorabile scansione della croce di malta, intavolando così una concertazione che fa da sottotesto alla seguenza di suggestive immagini.

Trionfo strepitoso, c’è poco da aggiungere. E poi i film muti ce lo insegnano: parlare, a volte, non serve.