Kavakos tra podio e Stradivari

 di Antonino Trotta

Diviso tra archetto e bacchetta, Mozart e Beethoven, Leonidas Kavakos, ospite dell’Associazione Lingotto Musica e alla guida della Chamber Orchestra of Europe, dimostra, al di là del consolidato calibro del virtuoso, un’ottima capacità direttoriale.

Torino, 5 aprile 2019 – Archetto e bacchetta non sono poi così differenti: prolungamenti dell’arto e calamo nelle mani di un poeta, fendono l’aria per scandire un accento, disegnano pittoriche coreografie nello spazio vuoto che sovrasta il suono e mettono in moto, con la loro sinuosa danza articolare, la musica. E il passaggio da l’una all’altra, almeno per Leonidas Kavakos, sembra assolutamente naturale. Violinista eccezionale per tecnica e stile, presenza stabile sui palcoscenici sabaudi, dopo i fasti del recente recital con Enrico Pace all’Unione Musicale, Kavakos ritorna alle pendici delle Alpi, ospite stavolta dell’Associazione Lingotto Musica, per un one-man show che lo vede diviso tra podio e Stradivari. La storia del concertismo di razza racconta di innumerevoli esempi di solista/direttore o direttore/solista – in base alla prospettiva della concertazione – che dinnanzi a partiture di accondiscendente domanda virtuosistica vestono i panni del factotum, ma la presenza nell’impaginato di sala della Terza di Beethoven suggerisce un’aspirazione che prescinde il ghiribizzo occasionale. Con un’orchestra di prim’ordine – la Chamber Orchestra of Europa, già lodata, tra le mani di Sir Antonio Pappano, su queste colonne la scorsa stagione –, fedele cornice alla pedana, il successo poi è praticamente chiavi in mano.

Non c’è dunque da meravigliarsi se nel concerto no.3 K 216 per violino e orchestra di Mozart l’intesa tra Kavakos e i complessi della COE è tale da definire in maniera inequivocabile il significato di struttura “a ritornello”, ossatura dell’Allegro di apertura mutuata direttamente dai maestri del violinismo italiano. Amplificato dal meccanismo di riflessioni ed echi, il tema dell’aria di Aminta «Aer tranquillo e dì sereni» (dal Re pastore) sboccia con animo più giocoso che galante. Pause gustosissime tra un periodo e l’altro dell’esposizione primaria e capricciare spensierato del violino nei passaggi di bravura – con intonazione immacolata e straordinaria capacità di avvicendare, in una sola volata, staccato e legato –: è il Mozart dalla vena teatrale a farsi strada nell’interpretazione di Kavakos. L’Adagio centrale, pur conservando la stessa freschezza del movimento iniziale, concede ampio respiro al fraseggio appassionato e luminoso dello strumento, invero sostenuto da un manto orchestrale che procede leggiadro ed evanescente. Con il Rondeau conclusivo, poi, la verve istrionica di Kavakos attrae di nuovo l’attenzione della ribalta. Misterioso nei passaggi in minore, quindi meditabondo nella graziosissima gavotta, esplode negli arpeggi seguenti, ora sgranati come perle, ora raggruppati in sferzate dal sapore squisitamente zingaresco. Trionfa l’invenzione e il pubblico, calorosamente, gliene rende atto. Spalla nuda e mani libere, quasi Mozart richiedesse libertà da ogni impaccio meccanico, Kavakos s’appresta a dirigere l’amabile Sinfonia no. 31 in re maggiore K 297 da solista/direttore, preferendo cioè sfoghi repentini, prismi e cristalli sonori a effetti d’impasto o trame timbriche assai ricercate. Così l’orchestra, asciutta e brillante, s’inoltra gagliarda nell’Allegro assai fino all’Andantino, in cui si ingentilisce senza perdere vigoria: fiati e archi dialogano tenendo alto lo sguardo, i militareschi bassi gonfiano il petto, ma alla fine tutto si stempera in un cordiale lieto fine. La tregua, però, dura poco perché Kavakos affronta l’Allegro finale, allusione all’ouverture di Le nozze di Figaro, con un’irresistibile eccitazione ritmica che gli vale un’ovazione.

Per la Terza Sinfonia di Beethoven, l’Eroica, Kavakos brandisce un’appuntita bacchetta, strumento da intarsio sapientemente utilizzato nell’epico Allegro con brio per cesellare finemente ogni dettaglio strumentale. La tecnica direttoriale non manca: attacchi millimetrici in un incedere spedito, nessuna scollatura delle sezioni nel monumentale sviluppo e ampia argomentazione delle dinamiche, per quanto succinto si preservi sempre il colore, rinvigoriscono la fibra eroica, appunto, del primo movimento. Certo, i grandiosi accordi dissonanti prima dell’ingresso del terzo tema pur sembrano suonare eccessivamente muscolari, ma sono coerenti con il taglio della lettura. Lettura che durante la cinerea trenodia della Marcia Funebre, dove la coinvolgente forza del fugato si esprime attraverso un fraseggio di struggente bellezza, tutela ancora una volta la generale sensazione di virile compostezza. Senza essere troppo profondo, insomma, Kavakos riesce ad essere estremamente intenso. Leggerissimo e meticoloso lo Scherzo sebbene i corni, nella festosa fanfare del trio, non eccellano per pulizia. Infine l’Allegro molto del Finale instrada la sinfonia verso il sontuoso epilogo, alternando a momenti di raccolta contemplazione impennate fiere e proterve che accendono lo spirito illuminista e illuminante del Beethoven umanista e invogliano la platea ad un tripudio di applausi. Anche nel difficile mondo della direzione d’orchestra, Kavakos, ha qualcosa da dire.