L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La natura dell'esistenza

 di Andrea R. G. Pedrotti

Sempre superbi, i Wiener Philharmoniker incarnano nel loro suono la complessità e la profondità di pensiero sottesa all'Ottava sinfonia di Mahler, trascendendo anche la concertazione non illuminante di Franz Welser-Möst 

VIENNA, 12 maggio 2019 - Racconta Alma Mahler nella sua autobiografia: “[…] Nell'estate del 1910 una notte mi svegliai perché sentii qualcuno che mi stava osservando. Era Gustav Mahler che mi svegliò perché doveva dirmi subito che voleva dedicarmi l'Ottava Sinfonia. In un primo momento mi spaventai, perché non aveva mai dediato nulla a nessuno, per paura di potersene pentire, ma poi ne fui estremamente felice.”

In quel momento Gustav Mahler confidò alla moglie la natura della Sinfonie der Tausend, una composizione permeata di intima grandiosità, narrata da uno fra gli organici più imponenti che un concerto sinfonico possa richiedere. Mahler non fu solo un “uomo fatto di genio”, come ebbe a definirlo Freud quando lo conobbe; Mahler fu uno dei più grandi, il più grande a parere personale, pensatori del suo tempo e, parimenti a ciò che accade nella sua ottava Sinfonia, da autentico Mensch, parola intraducibile comune sia allo Yiddish sia al tedesco moderno, l'intima umiltà di un uomo, rigoroso nel lavoro quanto fragile negli affetti più intimi, si manifestava nella maestosità di un intelletto unico e straordinario.

Mahler trascorse la sua vita alla ricerca di qualcosa che sapeva non avrebbe mai potuto trovare, esaltando nello stile di vita l'origine ebraica che si ritrova persino nella conversione alla religione cattolica. Mahler restò ebreo, profondamente ebreo, anche in quel momento, anche senza volerlo, poiché egli si trovò per tutta la vita a inseguire l'essere compreso, senza mai saper riconoscere appieno lo sconfinato genio che albergava nella sua stessa mente di umile ebreo della Boemia. Non poteva essere compreso, perché nessuno aveva pari capacità di comprensione della vita umana. Fu questa solitudine a cagionare la nevrotica sofferenza di un uomo che dimostrò di amare la vita come pochi altri.

Nell'espressione musicale, nella solitudine del compositore, egli seppe trovare una via espressiva alla sua anima e dedicare una delle pagine più sentite, intimamente romantiche e appassionate a una donna, sua moglie, Alma. Alma Mahler, al contrario del marito, era una persona forte, inesorabile, capace sola di tenere in mano l'intera società salottiera viennese di inizio Novecento. La glaciale intensità dello sguardo di Alma traspare persino dalle fotografie conservate e tramandate ai posteri.

L'ottava sinfonia non è una banale dedica alla moglie, perché Gustav Mahler sapeva andare sempre oltre ciò che l'umano intelletto (quello degli altri) reputava conoscibile. Gustav Mahler crea un'ode eterna alla grandezza della donna. La sinfonia non è suddivisa in movimenti, ma in due parti: l'ideale e il reale, l'uomo e la donna, il padre e la madre.

Nella Kaballah ebraica, l'albero sefirotico individua il padre e lo identifica col numero uno, che a sua volta è indicato dalla prima lettera dell'alfabeto, simbolo di principio, della magione, ma anche del bue. Sì, perché questa è una guida primaria, dell'ideale, dell'insieme dei valori che sono solo parte marginale della vita umana. La madre, la donna, arriva dopo, ma è in essa che alberga la grandezza della vita, il padre ha terminato il suo compito con l'amplesso primario, ma sta alla madre condurre la nascente generazione alla vita e alla conservazione di sé.

Nell'ottava sinfonia, la prima parte insiste su un Mib maggiore di grande intensità, che ci accompagna nel Veni creator spiritus: la nascita, la creazione, il numero uno, l'amplesso che condurrà alla nascita. Il testo è in latino, lingua eterna, morta, ma immortale, simbolo di valore continuo e immutabile. Il padre, l'uomo, qui termina il suo compito. La seconda parte è introdotta da poche battute con la tonalità che, da maggiore, passa a minore ed è la donna, la madre a prendere in mano le redini della grande gioco della vita. Il pianissimo iniziale è ancor più intenso di qualsiasi fortissimo della prima parte, poiché esso, nell'orchestrazione, nell'armonia e nella concezione melodica, sa riprodurre quello che realmente è l'interiorità di una donna. La scelta di musicare la scena finale del Faust di Goethe è un'altra prova della concezione terrena, pratica, ammirevole della donna, poiché narra il momento in cui il patto con il demonio si risolve e Faust stesso concepisce la vera naura dell'esistenza. Il testo è in tedesco, una lingua viva, comprensibile a tutti e i personaggi hanno un nome e un cognome, sono reali, come è reale il senso della vita, della guida della madre, che spinge l'erede alla continua ricerca della prosecuzione della stessa. La ricerca non cesserà quando verrà trovata una soluzione, perché trovarla sarebbe la fine del pensiero: la morte, come muore Faust dopo aver capito che la soluzione è che una soluzione non esiste e che la vita è un mezzo senza fine.

Tutto questo sta nelle sonorità di un'orchestra che fa della tradizione e della personalità la sua cifra distintiva, un'orchestra che fu plasmata da Gustav Mahler stesso fra il 1897 e il 1907 (anno in cui concluse la composizione dell'ottava sinfonia) e che Mahler rese internazionale, con la prima tournée estera a Parigi nel 1900. Il suono dei Wiener Philharmonikerè unico al mondo e unici al mondo i professori d'orchestra della filarmonica viennese riescono a rendere le particolari sfumature, i particolari colori, che Mahler richiede. Gli archi e gli ottoni trasmettono al primo accenno quel che stava nelle intenzioni del compositore, così come la particolare, profonda intensità dei legni. Si avverte una semantica introspettiva, trascendente, senza mai essere evanescente.

Il concertatore, Franz Welser-Möst si disimpegna con grande vigore nella prima parte, mentre al principio della seconda perde la concezione dello stacco che deve vivere fra i due distinti momenti della sinfonia. Quelle brevi battute in Mib minore sono uno dei momenti più belli dell'intera letteratura musicale. Il pianissimo di legni e ottoni guida una melodia sostenuta dal tremolio degli archi: l'uno non deve mai sovrastare l'altro, poiché la dolcezza del suono, l'intensità dell'espressione che albergava nell'occhio di Alma, come di qualsiasi altra donna, deve sapersi fondere con l'intensità soavemente nevrotica dell'animo femmineo. L'accenno delle percussioni, soffuse, che rilanciano ancora una volta, il pizzicato degli archi, prima che i volumi orchestrali aumentino sensibilmente e il coro, anch'esso sottovoce, possa far capolino e la tonalità possa tornare da minore a maggiore. Questo è lo snodo fondamentale della sinfonia, ma Welser-Möst perde di vista l'alchimia di strutture che deve comporre il messaggio della totalità femminile contenuto nella scrittura di Gustav Mahler. In assoluto per tutta la seconda parte si riscontra una linea che pecca, pur nell'eccellenza del risultato dato dall'orchestra, di una precisa immedesimazione nella profondità del pensiero mahleriano.

Assai coinvolgente l'attimo di silenzio comandato dal concertatore al termine dell'esecuzione, prima che la sala potesse esplodere in un caloroso applauso.

A contribuire al convinto successo di pubblico al Wiener Konzerthaus, oltre ai Wiener Philharmoniker, rammentiamo i cori Wiener Singverein (direttore Johannes Prinz), Wiener Singakademie (direttore Heinz Ferlesch), Wiener Sängerknaben (direttore Jimmy Chiang). I solisti erano Erin Wall (soprano, Magna Peccatrix), Emily Magee (soprano, Una poenitentium), Regula Mühlemann (soprano, Mater gloriosa), Wiebke Lehmkuhl (mezzosoprano, Mulier Samaritana), Jennifer Johnston (mezzosoprano, Mater Aegyptiaca), Giorgio Berrugi (tenore, Doctor Marianus), Peter Mattei (baritono, Pater Ecstaticus), Georg Zeppenfeld (Pater profundus).


 

 

 
 
 

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