L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Nella patria di Mahler

 di  Andrea R. G. Pedrotti

Ospite al Konzerthaus di Vienna con il suo direttore musicale Antonio Pappano, l'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia si conferma un eccellente complesso di livello internazionale, forte di un ottimo livello tecnico, di sonorità nobili e raffinate.

VIENNA, 15 maggio 2019 - Curiosando fra le variegate, quanto opinabili, analisi musicali, sovente anonime, presenti in rete, tempo fa mi capitò di ritrovare un'osservazione sulla tonalità della sesta sinfonia di Gustav Mahler, secondo la quale il La minore d'impianto si contrapponesse alle altre sinfonie mahleriane, che presentano un finale “positivo o quantomeno sereno”.

Dare una definizione semantica di un brano musicale è quantomeno arbitrario, specialmente se osserva com'è scritto quest'ultimo movimento e si analizza il momento biografico del compositore. Mahler era nel pieno della sua attività a capo dei teatri nazionali viennesi quando iniziò la composizione (1903) ed era sposato da appena due anni con l'amatissima Alma; poco dopo la prima esecuzione della sinfonia (1906) egli avrebbe lasciato la Wiener Hofoper e avrebbe avuto il dolore della perdita della figlia Maria Anna nel 1907. In quegli stessi anni, egli scoprì la grave forma di endocardite che lo avrebbe portato alla morte nel 1911.

In questa sesta sinfonia Mahler si dimostra ancora una volta uomo profondamente attaccato alla vita, proprio in una fase dell'esistenza che lo stava ponendo violentemente innanzi all'ignoto del trapasso, suo e della diletta prole. Il finale non è “negativo”, né “privo di serenità”, è sospeso, non prelude a una fine, ma si rivolge all'inconoscibile tipico del romanticismo tedesco e della cultura viennese. È lo stesso senso di cui è permeato il locale, e particolare, walzer con il suo perdersi nel vuoto, nella conclusione di un tempo ternario che c'è e non c'è. Il vigore del primo movimento è chiaro nel suo impeto inesorabile “Heftig, aber markig” (Allegro, energico, ma non troppo) e che dopo la riflessione dell'allegro moderato e dello scherzo (secondo la versione utilizzata in quest'occasione al Konzerthaus, chr inverte i due movimenti rispetto a quella del 1906) ci conduce a quell'ultimo pizzicato, bello e vitale nella sua pura semplicità.

Il suono di un'orchestra come i Wiener Philharmoniker ha in sé molto di quanto viene sottinteso nella scrittura di Gustav Mahler, poiché si avverte in ogni momento quell'aura che evoca un rubato e a un diminuendo, anche quando questo non venga eseguito.

L'orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia ha avuto il coraggio e il merito di portare a Vienna un programma costituito da un'unica sinfonia, la sesta appunto, scritta da una delle anime iconiche della capitale austriaca, un'anima che solo attraverso la musica sapeva dar pieno sfogo alla sua interiorità. L'organico romano è senz'altro una delle prime compagini europee, il suono è nobile, raffinato, avvolgente nella sua eleganza ed esegue con dedizione e qualità encomiabili una sinfonia assai insidiosa. Alla raffinatezza degli archi, si assomma l'eccellenza dei legni (clarinetto e primo flauto su tutti), la pulizia del suono degli ottoni e l'ordinata veemenza delle percussioni. Intelligente anche la scelta di alcuni professori capitolini di utilizzare l'impugnatura alla tedesca per i contrabbassi, tralasciando quella alla francese comunemente utilizzata in Italia.

È tutto assai bello nella purezza di un'esecuzione che però riceve dalla bacchetta di Sir Antonio Pappano encomiabile tecnica, ma non l'indispensabile profondità interpretativa di cui necessita Gustav Mahler, oltretutto con un'orchestra che non ha questo particolare stile nel proprio DNA, ma che, considerata l'eccellenza dei suoi componenti, può ben avvicinarsi al gusto necessario. La precisione della guida e l'unità delle sezioni in un autore assai ostico è ottima, come lo sarebbe sotto la guida di un ottimo Konzertmeister. In Mahler non si deve eseguire semplicemente alla lettera tutto ciò che è scritto, lo si deve eseguire comprendendo la profondità che sta alle spalle della più minuta indicazione. Ogni pausa indicata da Mahler racchiude in sé una straordinaria intensità intellettuale e umana, che non può essere scritta banalmente su un pentagramma, va avvertita e trasmessa, facendosi tutt'uno con la voce dell'anima di un uomo tormentato, ma vivo e dalla mente viva ancor più di quanto si possa immaginare.

Grandi applausi al termine da parte di un pubblico assai lieto di tributare il giusto merito a un'orchestra da anni indiscusso vanto della cultura italiana nel mondo.


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