L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Profondo candore

 di Roberta Pedrotti

A undici anni, la pianista Alexandra Dovgan non ispira la tenerezza o lo stupore per un giovane prodigio, ma l'ammirazione per una vera artista, che dell'età conserva una sorta di disarmante purezza, unita però a una maturità tecnica e a una profondità di visione senza tempo.

BOLOGNA, 18 giugno 2019 - Chi conosce Alberto Spano sa che ha un fiuto formidabile per i talenti del pianoforte (nel suo nutrito carnet i debutti italiani di giovani – allora – semisconosciuti come Daniil Trifonov o Jan Lisiecki), ma anche che non ama gli enfant prodige. Difficile, quasi impossibile che promuova l'esibizione di un artista che non si avvicini almeno alla maggiore età: quando capita, è facile aspettarsi qualcosa di eccezionale, tanto più se non solo si tratta dell'eccezione di una bambina di undici anni, ma dell'eccezione di una bambina di undici anni chiamata a inaugurare un festival raffinato come pianofortissimo, che in sette anni ci ha abituato e bei nomi e belle scoperte.

Chi ci riporta, dunque, all'appuntamento estivo con il pianoforte nel cortile dell'Archiginnasio bolognese, scrigno di genuino barocco petroniano dove rondini e pipistrelli usano farci amichevole compagnia nell'ascolto, è una minuta moscovita classe 2007. Alexandra Dovgan ha già debuttato al Festival Pianistico di Brescia e Bergamo e ha in tasca un contratto per il prossimo Festival di Salisburgo, sul suo conto Grigory Sokolov ha espresso splendide parole di elogio trattandola non da enfant, ma da artista matura. Chi è dunque Alexandra Dovgan? Curiosità, aspettative, pronostici si accavallano: chi è questa bambina fenomenale di cui tutti parlano ma che nessuno sembra considerare semplicemente una bambina prodigio?

Con naturalezza e disinvoltura si inchina salutando il pubblico, fa scivolare il fazzolettino sulla tastiera, si siede, si concentra e ci spiega chi è, da Scarlatti a Beethoven, costeggiando Bach con Rachmaninov, Moskovskij rivisto da Volodos. Insomma, nella prima parte del concerto dispiega come un bel ventaglio la disinvoltura nell'attraversare tre secoli di repertorio, snodi fondamentali della letteratura pianistica, banchi di prova in cui esibire la solidità del bagaglio tecnico. È quindi l'occasione per dire forte e chiaro ciò che Alexandra Dovgan non è: non è un talento ben ammaestrato, non è una macchinetta addestrata a sciorinare note. L'impostazione tecnica è eccellente, ma non è mai fine a sé stessa. Quel gesto disinvolto e sicuro dimostra l'età proprio nella naturalezza del porgere, una naturalezza disarmante che dell'infanzia ha la purezza, non l'ingenuità, non l'immaturità. Lo constatiamo nella squisita sensibilità ai colori della Sonata in fa minore K 466 di Scarlatti, nella gestione delle cellule melodiche e ritmiche, dei motti che costituiscono il codice genetico della scrittura beetoveniana e che nella Sonata n.10 in sol maggiore op. 14 n. 2 sono posti in un dialogo in cui anche l'iterazione si libera da ogni sospetto di meccanicità. Tale è la concentrazione della pianista che, proprio in questi delicati, serrati scambi, il suono improvvido di un allarme antincendio sembra non toccarla nemmeno: continua a suonare, segue il suo discorso senza colpo ferire, tutta compresa nella musica. Nondimeno, la limpida sonata scarlattiana in re maggiore K 436, il Bach della Partita n. 3 rivisto da Rachmaninov, Margariki dello stesso Rachmaninov per piano solo e lo studio di Moskovskij rielaborato da Volodos dimostrano una consapevolezza tecnica mai esibita, un virtuosismo mai sfrontatamente esteriore, la chiarezza di visione di una musicalità innata.

Questa bella panoramica su un giovane talento di prim'ordine si focalizza nella seconda parte, quando veramente Alexandra Dovgan spicca il volo fra Chopin e, soprattutto, Debussy. Stacca tempi sapientemente elastici, volentieri rapidi ma mai frenetici, mantiene sempre viva la tensione nell'equilibrio dinamico, nella capacità di dosare l'accento, risulta sempre personale senza scivolare nella stravaganza. Ha nelle dita l'arte del fraseggio e del colore, la esprime pacata, come fosse la cosa più naturale del mondo, come se fosse un'essenza distillata in anni e anni di carriera. Si chiudono gli occhi e non si pensa di aver di fronte una ragazzina di undici anni, ma è così: Alexandra Dovgan è un monstrum, nel senso latino di apparizione eccezionale, eppure il suo talento ha una sua serena normalità. Non è una chimera, una creatura mitologica innaturale, anzi. Tuttavia, ascoltare il Children's Corner di Debussy, raccolta dedicata alla tenera infanzia della figlioletta ma tutt'altro che semplice e infantile nella scrittura, ha un effetto perturbante. Il magistero del Doctor Gradus ad Parnassum scivola rapidissimo, sfrontato, sottilmente sfumato, prima di sospendere quasi il tempo nella Jimbo's lullaby (sembra una variazione dalla Porta di Kiev dei Quadri di un'esposizione), dell'andamento labirintico della Serenade for the Doll e dei suoni spettrali di The snow is dancing, addolciti nella Little Shepherd per poi esplodere nella fisicità brillante di Golliwogg's cake-walk. È musica ispirata all'infanzia, dedicata all'infanzia, ma non è musica per bambini, è musica per pianisti maturi, esperti, per interpreti scaltriti. La ascoltiamo come tale, ma apriamo gli occhi e vediamo l'infanzia: scatta la scintilla di un corto circuito fra l'interpretazione perturbante e la perturbante associazione con l'immagine della giovanissima musicista. Forse a quest'immagine pensava anche Britten, scrivendo lo scatenato assolo pianistico del piccolo Miles in The turn of the Screw? Certo, finché Alexandra Dovgan è così giovane, un direttore artistico e un regista capaci non dovrebbero sottovalutare un suo coinvolgimento scenico nell'allestimento di quest'opera. Per il resto, c'è tempo: si può scommettere che la carriera di questa piccola grande pianista durerà molto a lungo. Non ha proprio l'aria di bruciare le tappe, solo di seguire la sua natura, anche quando, con eleganza, ringrazia e concede due bis (uno studio di Sibelius, poi splendida la mazurka di Chopin di congedo), anche quando, con un sorriso timido davvero da bambina, in jeans e maglietta, firma accuratamente gli autografi di un pubblico già conquistato. Conquistato dall'arte, non dall'età.

foto veronica Fornasari

 


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