La materia delle stelle

 di Roberta Pedrotti

Elisa Tomellini torna a Bologna per il festival pianofortissimo in duo con Francesco Grillo. Con leggerezza il programma passa da Ravel, a Lutosławski allo stesso Grillo senza che mai venga meno un'intensa qualità artistica, un modo di vivere il pianoforte sempre plastico, vitale, moderno e poetico.

Ci sono i divi autentici e quelli di cartapesta; ci sono gli antidivi di facciata e quelli sinceri. Elisa Tomellini è un'antidiva al cento per cento: si presenta con una semplicità disarmante, si rapporta con il pubblico con un'estrema naturalezza, non officia un rito nel concerto, ma nemmeno lo sovverte per esibire il suo estro. Porta con sé solo il genuino piacere di suonare e condividere la musica, acceso vieppiù da un legame speciale instaurato con il pubblico bolognese quando, sempre nel festival Pianofortissimo 2017, aveva compiuto uno dei passi decisivi per un rientro in grande stile sulla scena pianistica dopo quattordici anni di silenzio trascorsi sui tetti del mondo. [leggi la recensione]

Pochi giorni dopo il concerto di due anni fa in questo stesso cortile era entrata nel Guiness dei primati scalando il Monte Rosa per suonare a 4460 metri di altitudine, ma Elisa Tomellini non è semplicemente un fenomeno musical-sportivo, la pianista alpinista dei record. È un'artista vera, che torna a Bologna con un vecchio amico ritrovato, l'ex compagno di studi Francesco Grillo, oggi anche compositore a cavallo fra repertorio classico e jazz dai profumi brasiliani.

Si riallacciano legami, si riprendono discorsi partendo proprio dai più classici capisaldi della letteratura per duo pianistico: le Variazioni su un tema di Paganini di Lutosławski, La valse e il Bolero di Ravel in trascrizione. La veste, però, è assai disinvolta, con gli interpreti a presentare i brani e conversare come si è più abituati a vedere in una serata jazz. Si respira un'amichevole naturalezza che scalda i cuori e rinfresca l'atmosfera nel chiostro dell'Archiginnasio sotto un cielo vespertino solcato dalle rondini.

La cornice può ben alleggerirsi perché quando le dita si posano sulla tastiera e i piedi si avvicinano ai pedali non c'è bisogno d'altro. Nessun rito, nessun sussiego, nessuna posa scanzonata o irriverente può cambiare la sostanza, sia essa fragile o, come in questo caso, fragile non sia affatto, ma presenti in maniera allegra e confidenziale una serie di esecuzioni maiuscole. Basti pensare a Ravel, alla sua finezza di orchestratore filtrata dal pianoforte, alla struttura stessa del Bolero che, basandosi su timbri spessori e dinamiche di un grande organico, rischia di mortificarsi nella trascrizione. E, invece, si esalta proprio nella materialità molteplice del tocco di Elisa Tomellini, che scova, nel celeberrimo tema, mille riflessi, mille consistenze, una continua intelligente metamorfosi che rinnova e reinventa il discorso orchestrale e lo rende eminentemente pianistico. Abbiamo qui la misura perfetta del valore del concerto, nella plasticità di un suono che pare di poter toccare (impressionante la ripresa del tema imitando lo schiocco di uno xilofono) nell'incontro fra l'iterazione proteiforme della sinuosa melodia e l'implacabile incalzare del sostrato ritmico.

L'affiatamento con Grillo è sempre stimolante, quasi telepatico, un duettare in continuo divenire sia nel Bolero, sia nella estremizzazione del virtuosismo paganiniano verso dimensioni affatto novecentesche, sia nell'ambigua declinazione del valzer fra gioioso vitalismo e sfuggente malinconia. I due pianoforti si sovrappongono, dialogano, si alternano con complice sapienza e perfetta complementarietà interpretativa, come in un continuo inseguirsi di Yin e Yang.

È poi la volta di un'alternanza fra duo e solo per una serie di brani dello stesso Grillo: richiami notturni al pianismo russo tardo romantico, con un gusto melodico alla Rachmaninov, suggestioni fra Skrjabin e Medtner, meccanismi ritmici particolarmente raffinati che fanno di Supersonic un pezzo di grande impatto che non delude al secondo ascolto – come bis – rivelando anzi la sua concreta modernità.

Sì, c'è modo e modo di essere divi e antidivi, e quando il valore si sposa alla naturalezza, capita anche che le due cose possano coincidere.

foto Veronica Fornasari