Il fascino e il cuore

  di Irina Sorokina

Un programma tutto baritonale non nasconde la natura tenorile di Placido Domingo, ma la sua generosità, il suo carisma, la personalità e la statura artistica ne fanno comunque l'elemento catalizzatore di una serata "condannata" al successo, in cui brilla anche una splendida Anna Pirozzi e si apprezza il tenore Arturo Chacón-Cruz.

Verona, 4 agosto 2019 - Si sa, il tenore è la voce che esercita più fascino sul pubblico. Soprattutto su quello femminile. Sono loro, le donne, che si affezionano al tenore, che comprano i fiori per lui, che lo aspettano all’uscita del teatro dopo lo spettacolo, che a volte baciano la maniglia della porta che aveva toccato un attimo prima, fatto verificatosi in Russia. Che fantasticano su di lui e inventano storie d’amore impossibili. Un uomo a cui la natura fa il dono di essere un tenore è beato. Soprattutto se è in possesso di una voce di lirico spinto. Quindi, canterà Manrico, Don Alvaro, Don Carlo, Radames. Se canterà bene, il pubblico lo osannerà.

Questi sono i personaggi verdiani. La generazione dei compositori che viene dopo Verdi, riuniti sotto il nome di Giovane Scuola (e Giacomo Puccini, a parte) fa al tenore un regalo ancora più grande: il siciliano Turiddu in Cavalleria Rusticana, che ci rimette la vita per la relazione con una donna sposata, il capo comico di teatro itinerante Canio che sorprende la giovane moglie con l’amante e uccide entrambi durante la recita, il fedele e commovente cavaliere De Grieux che ama una giovane donna dai facili costumi e dal fascino irresistibile fino alla morte, il pittore Mario Cavaradossi che è coinvolto nella storia d’amore con una famosa cantante protetta della regina e in un affare politico legato alla Repubblica Romana e muore fucilato a Castel Sant’Angelo, il poeta dell’epoca della Rivoluzione francese Andrea Chénier che muore sulla ghigliottina insieme all’amata Maddalena di Coigny, Maurizio, il conte di Sassonia, figlio illegittimo del re di Polonia conteso da due donne di grande caratura, la principessa di Boullion e la famosa attrice Adriana Lecouvreur. Tutti questi personaggi sono irresistibili. Belli e dannati. Colpiscono l’immaginazione. Ognuno di loro ha assoli che letteralmente fanno impazzire il pubblico. Grandi hit senza tempo. Immortali.

Ci vuole un cantante speciale per dare vita a tutti questi personaggi, un prescelto dotato di un grande carisma umano e scenico e di una voce importante e resistente. E allora, al sentire i suoi assoli viene giù il teatro. Questo cantante è necessariamente un tenore. Ed è lui che il pubblico ama di più, i baritoni e i bassi non sono quasi mai oggetti del delirio collettivo.

Placido Domingo festeggia i cinquant’anni dal suo debutto in Arena di Verona: abbiamo detto già tutto. È lui, uno dei pochi, pochissimi, baciati dalla fortuna, in possesso di tutte le qualità necessarie per far innamorare e impazzire il vasto pubblico: fascino dell’uomo, bella voce, doti attoriali, arte di musicista. Centocinquanta ruoli affrontati nell’arco della carriera lunghissima, una grande intelligenza che gli ha permesso di conservare la voce e arrivare ancora in carriera alla sua età. L’Arena di Verona gli ha dedicato una serata di gala che ha attirato un’enorme quantità di persone ed era “condannata” a un successo stratosferico.

Non ha deluso i suoi fan, Placido Domingo. Ha affrontato una serata piuttosto lunga esibendosi in tre ruoli importanti del repertorio verdiano, Nabucco, Macbeth e Simon Boccanegra nelle omonime opere. Da qualche anno si esibisce nei ruoli baritonali, ma sua vera natura, quella di tenore, non la può nascondere.

Durante la serata areniana ha regalato grandi emozioni: un Nabucco complesso, lacerato e pentito, un Macbeth duro fuori e debole dentro e un Simon Boccanegra maestoso e altamente sensibile. Ha rivelato una voce ancora sorprendente, calda, piena, carismatica, che è letteralmente volata sopra l’enorme spazio areniano. Ha ancora colpito dalla sua tecnica impeccabile, emissione morbida, legato incantevole, accento da manuale, ma ha conquistato soprattutto per una qualità che nei giorni d’oggi è difficilissimo trovare: il cuore. Chiamiamola cuore, questa qualità: la voglia di concedersi totalmente al canto e musica, senza risparmiandosi, la capacità di parlare attraverso il canto delle cose che caratterizzano l’esistenza dell’uomo e regalare al pubblico momenti di gioia ed estasi.

A fianco al grande Placido, colleghi di valore: prima di tutti, Anna Pirozzi che si conferma uno dei soprani drammatici più importanti del giorno d’oggi, vanta una voce salda e resistente al limite del credibile, una tecnica formidabile e capacità d’interprete. Presente in tutte le tre parti della serata, ha cantato Abigaille (Nabucco), Lady Macbeth e Amelia/Maria (Simon Boccanegra). Ha fatto una bella figura il tenore messicano Arturo Chacón-Cruz (lo avevamo sentito due anni fa in Arena nel gala zarzuela sempre con Placido Domingo protagonista), dotato da una bella voce di tenore con un timbro smaltato e un buon squillo che ha cantato le parti di Ismaele (Nabucco), Macduff (Macbeth) e Gabriele Adorno (Simon Boccanegra). Meno successo per il bravo basso croato Marko Mimica che nella profezia di Zaccaria da Nabucco è sembrato fuori posto pur essendo dotato di una voce decisamente bella; quest’ultima è risultata un po’ esile per gli spazi areniani e alcune note, sia acute sia basse, piuttosto problematiche, senza parlare dello spirito ieratico del personaggio che, probabilmente, non gli è consono. In Simon Boccanegra ha ricoperto il ruolo di Fiesco.

La serata ha offerto la partecipazione di molti cantanti ottimamente preparati che hanno coperto i ruoli di comprimari: Géraldine Chauvet – Fenena ed Elisabetta Zizzo – Anna in Nabucco, Romano Dal Zovo – il Gran Sacerdote di Belo in Nabucco e Medico in Macbeth, Carlo Bosi – Abdallo in Nabucco e Malcolm in Macbeth, Lorrie Garcia – Dama sempre in Macbeth.

Il coro areniano sotto la direzione di Vito Lombardi da sempre merita grandi elogi che non sono mai eccessivi. Nella stagione in corso si è dimostrato superlativo in tutto e nell’allestimento tutt’altro che felice di Carmen ha giocato il ruolo di salvagente. Non si doveva certo salvare la serata del cinquantesimo anniversario di Placido Domingo in Arena, tuttavia anche in questa occasione il coro areniano ha avuto una parte importantissim.

Sul podio Jordi Bernàcer ha fornito una prova sufficiente e una lettura convincente dei brani scelti (l’orecchio ha sofferto un po’ nell’ascolto della Sinfonia di Nabucco).

Pensando a una serata di gala, si poteva immaginare prima ancora di leggere il programma che si sarebbe trattato da una specie di panettone gastronomico da palcoscenico. Si sa, il panettone gastronomico può essere farcito a piacere, e, nel caso del gala in questione, gli ingredienti facilmente immaginabili ci sono stati tutti: grandi masse corali, scene di battaglia, uso delle bandiere, danze, luci suggestive ed effetti speciali come le proiezioni. Anche a costo di fare un po’ da sorridere, l’antico anfiteatro romano con i suoi spazi e atmosfere detta alcune “leggi” che difficilmente ci si riesce a violare.

Per quanto riguarda la struttura della serata, si è optato per l’esecuzione dei brani importanti come la Sinfonia, di brani dell’atto terzo e l’intero atto quarto di Nabucco, l’atto quarto di Macbeth e brani dagli atti secondo e terzo di Simon Boccanegra. Pensiamo che qualsiasi forma fosse stata scelta per un evento così importante e atteso sarebbe criticata e addirittura contestata. Diciamo soltanto che l’idea non è rivelata molto efficace: un tentativo di dare qualche senso drammaturgico a quel che accadeva sul palcoscenico non ha raggiunto lo scopo. Nella prima parte il celebre coro "Va’ pensiero" è stato eseguito ben due volte, prima sul palcoscenico e dopo con una grande parte del coro disposto tra le file delle poltrone. La cosa, non annunciata nella locandina (si è presunto, forse, che il pubblico chiederebbe un bis comunque), ha creato alcuni attimi d’incertezza. Hanno seguito la profezia di Zaccaria e l’atto quarto intero. Un evidente disagio hanno creato i cambi scena, piuttosto lunghi. Più omogeneo è apparso il quarto atto di Macbeth e molto dignitosa la sequenza dei brani da Simon Boccanegra.

Un merito particolare va riconosciuto a Stefano Trespidi, il cui nome appare sulla locandina, come è giusto che sia, in qualità di regista (ha praticamente coperto lo stesso ruolo dell’ultima Traviata, senza essere nominato, però). Come per i brani scelti e la forma delle serata, qualsiasi lavoro avesse fatto, sarebbe stato criticato. Ha cercato di dare il suo meglio e ci è riuscito, offrendo al pubblico soluzioni molto semplici, ma efficaci e adatte agli spazi areniani. Tre soluzioni diverse: uno stile “oratoriale”, maestoso e piuttosto statico per Nabucco, una sequenza dei quadri diversi, tutti dinamici per Macbeth (l’intima scena del sonnambulismo della Lady e le scene della battaglia), un affresco storico piuttosto lussuoso per Simon Boccanegra. In questo tentativo di organizzare per il meglio la serata e la ricerca di soluzioni, è stato affiancato dallo scenografo e projection designer Ezio Antonelli e dal light designer Paolo Mazzon. Insieme hanno fornito al numeroso pubblico uno spettacolo godibile, anche se disomogeneo e a tratti stancante. Nel futuro, lo auguriamo, si possono trovare le soluzioni diverse. Il corpo di ballo ha avuto l’occasione di esibirsi sulle note della Sinfonia di Nabucco coreografate da Giuseppe Picone. Nell’esecuzione di movimenti semplici ed essenziali si è sentita la mancanza di prove sufficienti, cosa che accade sempre nel caso di manifestazioni simili.

Una serata eccezionale, com’era prevedibile. Applausi a non finire per tutti e gioiosi fuochi d’artificio nel cielo notturno della bellissima città di Verona.

foto Ennevi