Chailly alla Scala, doppia Quarta

di Francesco Lora

Beethoven (ufficialmente) e Mahler (poco alla volta) sono al centro di due integrali sinfoniche curate al Teatro alla Scala dal proprio direttore musicale: le rispettive Sinfonie n. 4 hanno costituito il programma concertistico del 26-29 settembre.

MILANO, 28 settembre 2019 – Una Quarta con una Quarta: insieme tengono i capi di due discorsi parallelamente in atto al Teatro alla Scala. Il primo discorso è quello intorno alle sinfonie di Beethoven, del quale, nel 2020, si celebreranno i 250 anni dalla nascita: il teatro milanese ha apparecchiato in modo ufficiale l’esecuzione di tutte e nove le partiture, e le ha affidate al proprio direttore musicale, Riccardo Chailly, di volta in volta alla testa delle tre compagini di casa alla Scala, ossia l’orchestra titolare, quella della relativa Accademia e l’altrettanto relativa Filarmonica. Il primo concerto della serie è quello qui recensito, tenuto il 26, 28 e 29 settembre, e occupato nella sua prima parte dalla Sinfonia n. 4; la conclusione avverrà il prossimo giugno, con l’ovvia apoteosi della Sinfonia n. 9.

Il secondo discorso è quello intorno alle sinfonie di Mahler, per il quale la Scala non ha invece formalizzato alcun progetto. Basta però guardare le due stagioni passate e quella testé inaugurata per osservare non solo il corposo ruolo del compositore nei programmi dei diversi concerti, ma anche lo specifico impegno di Chailly onde dare via via conto anche di queste altre nove partiture, le quali stanno in cima alle di lui predilezioni poetiche e specialità esecutive: dopo aver diretto alla Scala la Sinfonia n. 1 con la Gewandhausorchester, nel 2015 [leggi la recensione], dall’anno scorso alla scorsa primavera egli ha già lì dato, con l’orchestra e il coro residenti, esecuzioni memorabili delle Sinfonie nn. 3 [leggi la recensione], 5 e 6 [leggi la recensione].

Il momento della Sinfonia n. 4 è giunto con quello dell’omologa di Beethoven, in un’accoppiata “numerale” che ha balzato da un capo all’altro dell’Ottocento. Indugiante, calda e pulviscolosa la lettura beethoveniana, con distanze prese rispetto alle tentazioni filologiche, in certune delle quali Chailly era già (ben) incappato a Lipsia. I tratti che lì sembrano denotare incertezza – le sonorità poco lucide, gli attacchi non affilati – divengono i bastioni della lettura mahleriana: nell’incastro di linee melodiche tra strumenti, ciascuno tutela gli specifici gesti, colori e respiri instillati dal concertatore, in modo sfumato, arioso e pensoso, e a costo di disallineamenti poco matematici ma assai inebrianti; fino al Lied dallo Knaben Wunderhorn, ove il canto di Christiane Karg è professione di freschezza sorgiva.