Apoteosi bruckneriana

di Andrea R.G. Pedrotti

Christian Thielemann e i Wiener Philharmoniker esaltano la scrittura dell'Ottava sinfonia di Bruckner nella versione di Robert Haas già diretta da Karajan; il pubblico che affolla la Großer Musikvereinssaal, sede della prima esecuzione assoluta, tributa agli interpreti un meritato trionfo.

VIENNA, 13 ottobre 2019 - Nella cornice della Großer Musikvereinssaal, sede della prima esecuzione assoluta, trionfa l'esecuzione dell'Ottava sinfonia di Bruckner con la bacchetta di Christian Thielemann a guidare i Wiener Philharmoniker.

La versione scelta per l'esecuzione di questo 13 ottobre è quella curata da Robert Haas e pubblicata nel 1939. Indipendentemente dalle elucubrazioni di natura filologica che si possano proporre a proposito della correttezza di questa edizione, non se ne può certamente negare una coerenza musicale e drammaturgica, spesso assai labile nelle partiture del compositore austriaco.

La versione di Haas non è la più eseguita, ma fra i suoi sostenitori può contare maestri del calibro di Herbert von Karajan e, fra i contemporanei, Christian Thielemann. L'impronta wagneriana è evidente in un testo musicale che impone l'eccellenza dei bassi orchestrali e degli ottoni. Sono proprio gli ottoni, infatti, a esaltarsi al Musikverein, grazie all'unica brillantezza del suono che i professori dei Wiener Philharmoniker riescono a trasmettere ai loro strumenti. Non scordiamo che l'autore richiede per l'organico quattro tube wagneriane, che, nell'amalgama del suono dei Wiener Philharmoniker, sanno fondersi in una chimica acustica di impareggiabile intensità.

Thielemann, forte della sua inappuntabile tecnica, è, a oggi, uno fra i più grandi interpreti del repertorio tedesco, lirico e sinfonico; in quest'occasione ha palesato, una volta di più, le sue capacità, riuscendo a esaltare l'eccellenza tecnica dell'organico che aveva innanzi, sfruttando nella più minuta fra le sfumature l'immensa gamma cromatica di cui i Wiener Philharmoniker sono indiscussi profeti.

Le sezioni sono equilibrate, tanto da sembrare un unico strumento, come una vera orchestra dovrebbe essere, cioè un organico e non insieme di professori. I Wiener Philharmoniker affrontano la partitura con una coesione eccellente ed è qui che il concertatore può esaltarsi. Christian Thielemann sfrutta nell'agogica la più piccola fra le pausa, conferendo unità alla drammaturgia del testo e facendo risaltare l'intervento dei timpani, anch'essi strumento iconico dell'eccellenza musicale viennese.

Belli, intensi e coinvolgenti i primi due movimenti, ma è al terzo che si attende la prova dell'orchestra, con quel “Adagio. Feierlich langsam, doch nicht schleppend” (Adagio. Lento, solenne, ma non strascicato) complesso sia nella tecnica, sia nell'interpretazione. Qui abbiamo un pianissimo assai più complesso da eseguire rispetto a un fortissimo e, se reso a dovere, può avere anche un effetto assai più coinvolgente. Thielemann e i Wiener Philharmoniker rispondono al cimento onorando la loro fama, tanto indiscussa, quanto meritata, propongono un fraseggio morbido, intenso, quasi trascendente in sonorità, che conducono a un quarto movimento che accelera la solennità del terzo (Finale. Feierlich, nicht schnell, cioé Solenne, non veloce) con un'apoteosi che strappa autentico entusiasmo da parte di un pubblico felice di occupare ogni stipo possibile e immaginabile della più elegante fra le sale da concerto eurepee.

Al termine gli applausi sono fragorosi sia per gli strumentisti, sia per Thielemann, che concede numerose uscite, anche in solitaria, dopo il commiato dell'orchestra, a un pubblico abituato all'eccellenza internazionale, ma che dimostra, ancora una volta, la sua incontenibile bulimia artistica e intellettuale. Tale desiderio era palese ancor prima del concerto, quando, all'esterno del Musikverein si potevano scorgere numerose persone all'affannosa ricerca di un biglietto che consentisse loro di assistere all'esecuzione di questa sinfonia di Bruckner.