Prima e dopo

di Irina Sorokina

L'Arena riparte dopo lo scoppio della pandemia con un concerto pensato per essere benaugurante, con una carrellata di artisti e brani celebri dal repertorio, soprattutto, operistico.

VERONA, 25 luglio 2020 - Prima e dopo: queste due parole, forse, descrivono nel modo incisivo e laconico il festival areniano degli anni passati e l’anno in corso, questo maledetto. Prima – la celebre lapide all’ingresso in piazza Bra con le parole di Romeo “non esiste mondo fuor le mura di Verona, ma solo purgatorio, tormento, inferno”, il Liston, splendente salotto sotto il cielo, le parole d’orgoglio della gente della città veneta “Godo di essere veronese”, l’atmosfera vivace e festosa, una miriade di turisti e tanti melomani da tutto il mondo. A queste caratteristiche eterne di Verona si aggiunge il celeberrimo festival lirico; anzi, gioca il ruolo fondamentale nella vita della città nei mesi estivi. Così era prima. Adesso veniamo al dopo; questo “dopo” è come si presentano Verona e il suo cuore pulsante, un festival nei tempi di coronavirus. È lui che ha deciso per Verona e l’Arena costringendole di annullare tutto ciò che si aspettava con il batticuore da tanti mesi, una programmazione ricca segnata dalla partecipazione di molte stelle della lirica. Ha deciso, ma non ha vinto: la direzione dell’Arena di Verona ha proposto una soluzione che possiamo considerare un atto di coraggio e fiducia, riconoscendola, comunque, come uno sperimento mai visto. Questa soluzione, questo esperimento è costituito da undici eventi, tutti diversi tra loro, che permettono a un pubblico poco numeroso (al posto di tredicimila cinquecento spettatori ce ne sono solo tremila) di non perdere uno degli eventi lirici più importanti dell’anno.

Un bel nome per la serata inaugurale, Il cuore della musica, bello e giusto, perché la città veneta da sempre è uno dei cuori più grandi e vivi della musica in tutto il mondo. Una serata dedicata agli operatori sanitari che per lunghi mesi hanno affrontato una crisi mai vista prima, e la battaglia ancora non è finita. Gli spettacoli in Arena si svolgeranno seguendo il protocollo ben preciso: misurazione della temperatura all’ingresso, uso della mascherina chirurgica obbligatorio, rispetto della distanza di sicurezza di almeno un metro dalle altre persone, pulizia a inizio e fine turno dei locali dei servizi igienici e di tutte le superfici di contatto, rispetto delle misure di prevenzione e protezione statali, locali e aziendali etc.

Non si può negare la sensazione di un certo disagio entrando in Arena; dopo tanti anni di riti, questi ultimi vengono annullati: niente saluti affettuosi, baci e abbracci, niente assembramenti, nessun venditore di bibite e gelati, poche conversazioni vista la distanza obbligatoria. Le gradinate appaiono troppo spoglie e la pedana rossa per accogliere l’orchestra dall’inizio non convince. Tutto è troppo diverso da come siamo abituati a vedere, niente palcoscenico, niente folla. Mancano troppe cose che devono essere sostituite da qualcosa che possa far dimenticare la perdita, pur temporanea, del nostro mostro sacro, l’Arena, appunto. Fortunatamente, questa cosa chiamata Musica non tarda ad arrivare.

La Musica o, meglio, la Signora Musica è rappresentata da ben ventidue cantanti (annunciata all’inizio l’indisposizione improvvisa del soprano Rosa Feola e ide baritono Luca Salsi) e quattro direttori d’orchestra, senza parlare della madrina della serata, il celebre soprano Katia Ricciarelli, e del giovane violinista virtuoso Giovanni Andrea Zanon. Le vere eccellenze artistiche calcano lo spoglio palcoscenico rosso in mezzo all’Arena, e affermano con certezza che l’Opera può fare a meno delle scene, costumi e regie. La serata inaugurale dell’Arena di Verona-2020 funziona benissimo e riscuote un grande successo senza la componente teatrale. Ma prima di godersi una bella serata, Katia Ricciarelli introduce un giovanissimo ragazzino, Lucas: sarà lui a dirigere Il canto degli Italiani che ascolteremo in piedi.

Può essere solo una bella, anzi, bellissima serata; ventidue cantanti di grande nome e cantano dei brani celebri dalle opere italiane che meglio rispecchiano la loro personalità e vocalità. Apre Roberto Frontali con “Si può?.. Si può” dai Pagliacci; mostra la sua naturalezza ed eleganza, la voce suona limpida e a volte un po’ rauca, il che non nuoce, ma contribuisce alla maggiore espressività. Il declamato dinamico e raffinato e le sfumature di dolore e rassegnazione rendono esemplare il celebre monologo per baritono.

Segue Fabio Armiliato con il non meno celebre e molto impegnativo “Un dì all’azzurro spazio” da Andrea Chénier; pezzo si cui inciampare e cadere è più facile del bere un bicchier d’acqua. Se la cava, il vecchio leone; riesce a cogliere il carattere sublime della musica di Giordano, dimostra temperamento e grinta, ma i difetti, come la mancanza del timbro indimenticabile, una certa disomogeneità della linea vocale e un evidente affaticamento rimangono, scappa pure una nota imprecisa.

Ad Armiliato succede Sonia Ganassi con la romanza di Santuzza da Cavalleria rusticana. Il talento e la carica drammatica della cantante non sono in discussione come la sua voce ben timbrata e leggermente scura. Tuttavia la scrittura di Mascagni non le sembra congeniale; la preferiremmo nei ruoli rossiniani come Elisabetta d’Inghilterra o Cenerentola.

La parola “grande” spesso accompagna il basso parmigiano Michele Pertusi che con la sua interpretazione dell’aria di Filippo II “Ella giammai m’amò” conferma la sua imponente statura artistica. Il re di Spagna viene disegnato esclusivamente coi mezzi vocali e appare come vivo in tutta la sua profonda sofferenza grazie all’accento impeccabile e il declamato sofisticato.

Finora tutto bene; ma se la vicinanza dei personaggi di Filippo re di Spagna e il ciarlatano di campagna Dulcamara volesse alleggerire un po’ l’atmosfera e dare un tocco comico alla parata dei pezzi del gala, l’intento non è del tutto riuscito. Il ben noto baritono Alessandro Corbelli nel famoso ”Udite, udite, o rustici” dall'Elisir d’amore non appare perfettamente a suo agio: la voce chiara, omogenea e sicura sembra quasi una vocina, e lo sforzo di produrre l’effetto comico risulta eccessivo.

Gli succede una deliziosa Annalisa Stroppa con “Una voce poco fa”dal Barbiere di Siviglia e sfoggia  una voce ben timbrata dai colori scintillanti, dalle mille sfumature e dalle agilità sicure. L’avvenenza e la voglia di divertirsi rendono questa Rosina ancor più convincente e seducente; al pubblico piace molto.

Simone Piazzola è un Giorgio Germont di lusso; la vocalità del personaggio che insiste di intonare le sue prediche a favore dei comportamenti virtuosi gli calza a pennello; riesce a cogliere perfettamente la miscela pericolosa di ipocrisia e perbenismo tipica del padre di Alfredo. Canta “Di Provenza il mar, il suol” con grande garbo, sfoggiando un cantabile dolcissimo e un accento perfetto; la voce chiara sembra volare sopra l’enorme spazio areniano. Anche per Simone Piazzola grandi applausi del pubblico.

Da questo momento la serata si anima ulteriormente e i brani che succedono all’aria di Germont suscitano l’entusiasmo crescente del pubblico. Maria José Siri apre questa “parata vocale”, come vogliamo chiamare il resto della serata, intonando ”La mamma è morta” da Andrea Chénier. Un brano che di per sé ha un grande impatto sul pubblico e qui, grazie alle qualità dell’interprete, ottiene un notevole successo. Il timbro della Siri risulta leggermente opaco, in sintonia perfetta col tono dismesso e rassegnato; insieme provocano un silenzio quasi religioso in sala sotto il cielo aperto. Arriva al culmine timidamente, sfoggia filati eleganti e usa sapientemente i chiaroscuri. Il successo della sua Maddalena è grandioso.

Dietro le quinte è già pronta la sua “rivale”; chiamiamo così una strepitosa Barbara Frittoli che si esibisce nell’aria di sortita da Adriana Lecouvreur, uno dei pezzi più fortunati del poco prolifico Cilea che richiede una vera primadonna sotto tutti gli aspetti e non perdona una minima sbavatura. La Frittoli si dimostra di essere primadonna; “Io son l’umile ancella” brilla grazie al timbro bello e lucente, il fraseggio elaborato nei minimi dettagli e l’intelligenza d’interprete. Anche per lei grandi applausi.

Fabio Sartori garantisce la presenza di molti titoli in cartellone: non ha un particolare carisma né il timbro affascinante, ma canta con grande sicurezza e regala una valida interpretazione di "E lucevan le stelle".

Gli succede Riccardo Zanellato, anche lui una specie di garanzia, possiede una solida voce di basso di bel timbro e offre un’interpretazione da manuale di “Studia il passo… Come dal ciel precipita” dal Macbeth verdiano.

La vocalità del tenore di origini albanesi Saimir Pirgu è molto adatta al ruolo di Riccardo in Un ballo in maschera; la sua voce possiede la naturalezza capace di commuovere e la sua sensibilità musicale è fuori dal comune. Un successo pienamente meritato al suo “Ma se m’è forza perderti”.

Quanto a sensibilità musicale, gli fa concorrenza una bravissima Eleonora Buratto che letteralmente “strega” il pubblico dal suo “Un bel dì vedremo” da Madama Butterfly. La voce lucente vola senza fatica e l’interpretazione è elegantemente misurata, mai sopra le righe. Clorosi applausi anche per lei.

Francesco Meli è sempre generoso nel regalare dei momenti indimenticabili e canta “Ah! sì ben mio” da Il Trovatore nel modo raffinatissimo, conquistando da una perfetta comprensione dello stile; la voce nobile accarezza l’orecchio nonostante un leggero affaticamento.

Donata D’Annunzio Lombardi possiede voce è un po’ leggera se confrontata con quelle che si cimentano col ruolo della primadonna assoluta che è Floria Tosca. Disegna una Tosca umile e commuovente e poco “divina”, non sforza la voce dolce che solo a tratti rivela una carica drammatica. Sfoggia un buon legato e un fraseggio estremamente espressivo; l’acuto non del tutto perfetto esprime perfettamente il pianto desolato dell’anima torturata.

Carlo Lepore è un formidabile e versatile artista che gioca in questo riuscito gala un ruolo tutto suo. Dopo un forte coinvolgimento emotivo garantito dalle grandi pagine verdiane e pucciniane viene il momento di riposo e di sorriso; il suo protagonista è Leporello mozartiano. Chi meglio di Lepore si può calare nei panni del monello-ombra del dissoluto padrone? Ne ha tutte le qualità necessarie, la voce chiara e gradevole, la padronanza di stile assoluta, il senso dell'umorismo e la simpatia assoluta. Un grande successo anche per lui.

Anna Maria Chiuri è formidabile artista pure lei, un vero Proteo in gonnella. In questa occasione veste i panni di Azucena nel Trovatore, e disegna una zingara tutta sua, la rende meno drammatica e più equilibrata, gioca sui chiaroscuri e vanta una dizione nitida.

Alex Esposito, un Proteo anche lui, canta magnificamente “O tu, Palermo” da I Vespri siciliani, sfoggiando voce piena e potente e una tecnica salda che da sempre gli permette di affrontare con successo ruoli diversi.

Daniela Barcellona non sbaglia quando sceglie “O mio Fernando” da La Favorita di Donizetti. L’aria celeberrima mette in risalto tutte le sue incomparabili qualità, la voce ben timbrata e vellutata, le note gravi seducenti e quelle acute sicure e squillanti. Canta con impeto, il suo canto accarezza l’orecchio e colpisce il cuore. Per lei un successo personale davvero strepitoso e tutto meritato.

Per concludere, arriva Leo Nucci, il Leo nazionale, una leggenda vivente (classe 1942). Un vero e instancabile mattatore, chi riesce alla sua età a cantare l’opera intera. Nella serata inaugurale della particolarissima stagione areniana in corso, non può far altro che cantare “Cortigiani, vil razza dannata” da Rigoletto come solo lui sa fare, con un’eccezionale carica drammatica. Non importa se la voce a tratti risulta usurata, non importa qualche imprecisione: il Leo nazionale è il più grande Rigoletto vivente e nessuno sa se sarà possibile superarlo.

Ben quattro direttori si succedono sul palco rosso, Andrea Battistoni, Francesco Ivan Ciampa, Marco Armiliato, Riccardo Frizza e, come sempre, una menzione d’onore va al coro areniano, preparato da Vito Lombardo che interpreta magistralmente le pagine celebri quali “Gli arredi festivi” e “Va’, pensiero” da Nabucco e“Patria oppressa” da Macbeth. Completa il programma il famoso Capriccio n. 24 in la minore di Paganini interpretato dal giovane virtuoso Giovanni Andrea Zanon.

Una serata tanto impegnativa quanto gioiosa finisce con un ulteriore segno di gioia: tutta la squadra dei cantanti intona O sole mio suscitando un grande entusiasmo del pubblico e sulle gradinate viene proiettato il tricolore. Un buon segno di speranza.