L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Colpire il bersaglio

di Irina Sorokina

Una grande serata che lascia il segno, quella del primo agosto all'Arena di Verona. Sotto le stelle del firmamento brillano quelle di Anna Netrebko, di uno Yusif Eyvazov in strepitosa evoluzione, di Ambrogio Maestri ed Ekaterina Gubanova sotto la direzione magistrale di Marco Armiliato.

VERONA, 1° agosto 2020 - È stata una sfida, in un certo senso. Avvolto di un caldo eccezionale anche per la pianura padana, il pubblico non numeroso – solo tremila spettatori, visti i tempi del COVID – è arrivato in una piazza Bra certamente non così animata come in passato per passare i fastidiosi, anche se gentili controlli (immaginiamo l’indossare la mascherina con le temperature decisamente disumane) e prendere i posti debitamente distanziati sugli antichi gradini che videro ben altre quantità di spettatori. La serata, conclusasi poche ore fa, è stata intitolata Le stelle dell’opera e vi hanno preso parte solamente quattro cantanti accompagnati dall’orchestra dell’Arena di Verona sotto la guida di Marco Armiliato. Grandi aspettative? Certamente, visti i nome delle due star più acclamate del momento, Anna Netrebko e Yusif Eyvazov a cui hanno tenuto compagnia il baritono Ambrogio Maestri, che non necessita presentazioni, e il mezzo soprano Ekaterina Gubanova, anche lei russa e al debutto areniano.

Netrebko e Eyvazov, coppia nell’arte e nella vita, sono tornati a Verona in seguito al successo strepitoso nel Trovatore dell’anno scorso e sono riusciti a sorprenderci ancora. In un programma sapientemente strutturato, che è spaziato da “La vita è inferno all’infelice.. O tu che in seno agli angeli” da La forza del destino a “Vicino a te s’acqueta” da Andrea Chénier con una “sorpresina” in mezzo rappresentata da alcuni brani da Don Pasquale e L'elisir d’amore, la loro esibizione è andata in crescendo, ben sostenuta da una partecipazione eccellente del “gigante buono” (non sempre!) Ambrogio Maestri e soprattutto dal direttore Marco Armiliato alla guida dell’orchestra areniana.

Conosciamo bene il baritono lombardo che negli anni ci ha fornito le interpretazioni da manuale di una grande quantità di ruoli del repertorio italiano. La sua presenza non passa inosservata in ogni contesto, e anche nel gala offerto al pubblico areniano si è ritagliato un posto tutto suo, suscitando la simpatia e l’ammirazione del pubblico. È arrivato da una passerella leggermente zoppicando, come se fosse già calato nel panni del deforme Tonio dei Pagliacci, e ha dato via allo spettacolo con una splendida interpretazione di “Si può?.. Si può”, il Prologo del capolavoro di Leoncavallo (a proposito, lo stesso pezzo era stato scelto una settimana fa per aprire la serata eccezionale areniana dedicata agli operatori sanitari), cantato con un’infinita disinvoltura e forza comunicativa. La voce pastosa e limpida è volata libera sopra l’enorme spazio areniano.

Ekaterina Gubanova è stata una presenza nuova in Arena; il mezzosoprano russo ha lasciato la patria quando era studentessa del secondo anno del conservatorio e la sua carriera si è svolta preferibilmente all’estero. Possiede un vasto repertorio che spazia da Mozart a Berg e include opere di Bellini, Verdi, Puccini, Berlioz, Offenbach, Wagner, Čajkovskij, Musorgskij, Rimskij-Korsakov, Stravinskij, Britten e tanti altri. Ha esordito in Arena con “Stride la vampa” dalTrovatore, sfoggiando una voce di mezzosoprano salda e ben timbrata, con una leggera sfumatura aspra e senza una particolare morbidezza, ma di tutto il rispetto.

L’apparizione di Yusif Eyvazov è stata decisamente e gradevolmente teatrale. Ricordiamo bene il suo già eccellente Manrico nel Trovatore dell’anno scorso, ma quest’anno vediamo un Eyvazov diverso, ancora sulla strada del miglioramento. Ha una sorprendente capacità di evolversi, il tenore zero, e lo abbiamo notato ascoltando il suo Manrico, ma un anno dopo è riuscito a sorprenderci ancora. Ha perso il peso (può essere pericoloso per un cantante lirico) ed è apparso ringiovanito e soprattutto impeccabilmente elegante nell’andatura e nel portamento, cose che gli mancavano prima. Abbiamo osservato un gran signore dell’Opera quando percorreva la passerella che lo portava al palcoscenico. La classe non è acqua, dice il proverbio; si crede spesso che sia innata, ma Yusif Eyvazov ha dimostrato che possa essere acquistata grazie all’intelligenza e alla buona volontà. Ed ecco a noi un Eyvazov nuovo, slanciato, perfetto nel suo smoking, signorile nell’atteggiamento e maestro nel gesto. Ha eseguito la dolente aria di Don Alvaro con una profonda comprensione di stile, senso drammatico eccellente, accento da manuale, chiaroscuri carezzevoli, e anche il suo timbro è sembrato più ricco e interessante di un anno fa. Ha cantato molto bene “Leonora mia”, con un grande sincerità e trasporto notevole, e ha avuto l’ovazione meritata nonostante l’acuto finale leggermente affaticato.

Anna Netrebko ha esordito con un brano molto impegnativo come “Tu che vanità” da Don Carlo; nonostante le affermate apparizioni del celebre soprano russo nel repertorio di soprano lirico spinto, la vocalità di Elisabetta non le è risultata perfettamente consona. Il soprano russo ha cantato con una grande intensità drammatica e pathos autentico che non potevano che conquistare, tuttavia nella parte iniziale la voce è apparsa artificiosamente scurita e non sufficientemente fresca; è stato qualche momento del calo d’intonazione. Molto meglio il resto dell’aria cantato con una notevole espressività e soprattutto cordialità disarmante: linea, accento, colori.

Sulle orme di Don Carlo, Ekaterina Gubanova ha interpretato “O don fatale” con una grinta indiscussa e presenza scenica notevole. La già nominata sfumatura aspra del timbro del mezzosoprano russo potrebbe recare un certo fastidio, come anche la posizione a tratti bassa in “O mia regina”. Approvazione quasi piena per la sua interpretazione, anche se con qualche “ma”.

Di nuovo sul palcoscenico, Yusif Eyvazov ha presentato la sua interpretazione di “Forse la soglia attinse… Ma se m’è forza perderti” da Un ballo in maschera. Un anno fa sarebbe stato difficilissimo crederci che la voce e personalità del tenore azero sarebbero state adatte al ruolo di Riccardo; oggi, però, possiamo sostenere con certezza, che sia un buon Riccardo, anzi, un grande Riccardo. Ha cantato il celebre brano con impeto fanciullesco e ha saputo esprimere in pieno la grande nobiltà d’animo del personaggio verdiano. La voce si è colorata da molte sfumature ed è risultata ricca e ben timbrata anche se per alcuni istanti gutturale. Abbiamo apprezzato molto la sempre crescente musicalità del tenore e la perfetta sintonia con l’orchestra.

Dopo Riccardo, Adriana Lecouvreur. In ogni gala ci vuole un momento speciale, anzi specialissimo, con un’eventuale gemma che rimanga per sempre nel ricordo. Quale pezzo migliore per primadonna dell’aria di sortita del capolavoro assoluto di Cilea? Abbiamo ascoltato Anna Netrebko rapiti nonostante il soprano russo non sia stata particolarmente forte nel parlato iniziale (compito difficilissimo per ogni soprano che si cimenta conla parte di Adriana). Ma nel cantabile divino ha sfoggiato tutte le sue qualità come il grande fascino femminile, il pathos non esagerato, il declamato impeccabile, i chiaroscuri raffinati. Momenti da mozzare il fiatosulle gradinate non affollate: una grande interpretazione che avrebbe meritato un pubblico ben più vasto.

Dopo questo momento così intenso e sublime, al pubblico è stato offerto un grazioso intermezzo, Eh si, i brani da una grande carica drammatica hanno fatto il posto a due pezzi provenienti dalle opere buffe di Gaetano Donizetti, la Sinfonia da Don Pasquale e il duetto “Quanto amore! Ed io spietata” dall'Elisir d’amore intonato da Anna Netrebko e Ambrogio Maestri. E qui apriamo una parentesi: non abbiamo potuto che riconoscere il fatto che questo tipo di repertorio ha sempre calzato a pennello al soprano russo. Da molti anni affronta con successo i ben altri titoli, tuttavia, è sempre lei, una vera tigre del palcoscenico, dal fascino femminile unico, senso d’umorismo raro e grande voglia di giocare. Ecco perché questo “ritorno” o “intermezzo” è risultato così gradevole e ha suscitato tanti sorrisi di soddisfazione: abbiamo visto e ascoltato l'Anna Netrebko di una volta, affiancata da un grande Ambrogio Maestri, pure lui desideroso di spezzare l’incantesimo del repertorio drammatico e regalare degli attimi preziosi di leggerezza.

Una decisione azzeccata, concludere il programma con tre brani celebri da Andrea Chénier, “Un dì all’azzurro spazio”, “Nemico della patria?” e “Vicino a te s’acqueta”. Per quanto riguardo l’Improvviso, è quasi inevitabile il ricordo dell’interpretazione di Franco Corelli; bisogna rammentare, però, che viviamo in un’epoca totalmente diversa e le voci simili a quella di Corelli non nascono più. E nei giorni nostri l’interpretazione che ha fornitoYusif Eyvazov può essere riconosciuta pressappoco impeccabile. Dietro essa c’è stato, sicuramente, uno studio molto approfondito di stile, accento, dizione e pronuncia. Possiamo definire il canto del tenore scultoreo, passionale e asciutto nella misura giusta. È stato molto aiutato dall’intelligente direzione di Marco Armiliato e dall’orchestra areniana in una forma perfetta. Non avevamo alcun dubbio riguardo la maestria di Ambrogio Maestri (in fin dei conti, il cognome parla per sé); anche lui ha fornito un’interpretazione memorabile. È apparso posato, sicuro di sé, mescolando con disinvoltura i sentimenti contradditori di Gerard e cantando con passione ben misurata. Un gran finale, il duetto degli amanti in vista della morte sulla ghigliottina, un impatto inevitabilmente forte sul pubblico; Anna Netrebko, una vera donna dotata di fascino irresistibile e vocalità tutta sua, è riuscita produrre una catarsi nella sala sotto le stelle affiancata dal partner che in un anno solo è riuscito a crescere ancora sia come cantante sia come uomo di teatro. Dolcezza e coraggio, pathos e amarezza, due belle voci in una perfetta armonia.

Un riconoscimento speciale è andato a Marco Armiliato alla guida dell’orchestra della Fondazione dell’Arena di Verona che si è dimostrato preciso e ironico, passionale e asciutto, prima di tutto un abilissimo maestro, una garanzia che passo per passo ha trasformato la sua direzione in arte altissima. Rimarranno memorabili le sua interpretazioni della Sinfonia di I vespri siciliani dove i violoncelli hanno intonato il tema in sol maggiore scuotendo i cuori e quella di Don Pasquale dove la leggerezza del suono e i giochi graziosi dei gruppi strumentali hanno regalato tanti momenti di puro piacere.

In russo c’è un’espressione “udarnyj večer“, difficilmente traducibile, qualcosa tipo “una serata che ha fatto un colpo”. È proprio vero, ieri sera in Arena, al pubblico è stata offerta una serata che ha fatto colpo, tutto ha funzionato a perfezione, programmazione, esibizione dei cantanti segnata da un coinvolgente spirito di complicità, direttore versatile, orchestra in una stato di grazia, atmosfera speciale coronata dal Quartetto di Rigoletto come bis con tutti gli artisti. Quindi benvenuto il colpo cioè la grande musica che provoca le emozioni a tratti incontenibili. Successo pieno e meritato. Da ripetere.

foto Ennevi


 

 

 
 
 

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