Benvenuti e arrivederci

di Roberta Pedrotti

Chiude il ciclo dei concerti del Rossini Opera Festival 2020 il debutto pesarese di Karine Deshayes. Artista d'indubbio valore, appare dapprima cauta in ossequio all'autore e al contesto, sciogliendosi via via fino a vibranti interpretazioni del repertorio francese. Sul podio si confermano personalità e qualità del giovane Nikolas Nägele.

PESARO 19 agosto 2020 - Peretyatko, Alaimo, Pratt, Florez, Antoniozzi, Bordogna, Corbelli. Dopo una serie di cantanti di casa (talora non solo metaforicamente) a Pesaro e che al Rof hanno legato ricordi indelebili, chiude il ciclo dei concerti 2020 un debutto assoluto. Karine Deshayes avrebbe dovuto approdare nella città di Rossini come protagonista dell'attesa Elisabetta regina d'Inghilterra, rimandata per ovvie ragioni al prossimo anno, e si presenta invece con un recital tutto suo. Una bella occasione, ma anche una responsabilità non indifferente. 

Il programma si apre con una carrellata rossiniana che alterna parti scritte per Gertrude Righetti Giorgi, Rosina e Angelina, a ruoli Colbran come Elena e Armida. Si spazia, dunque, dal contralto brillante al soprano, seppur di tessitura piuttosto bassa, dall'opera buffa a quella seria, dai toni di commedia a quelli di fiaba, cavallereschi, sovrannaturali. Un bel biglietto da visita per l'artista francese, che mostra chiara dizione, voce luminosa, ben timbrata, salda in tutta l'emissione, adeguatamente duttile. Si avverte giusto un po' di comprensibile prudenza soprattutto espressiva, una sensazione di cautela per un debutto sentito come così importante pur in una carriera già consolidata. Insomma, abbiamo l'impressione di un'artista consapevole, animata da un profondo rispetto per il contesto e l'autore, intelligente nel gestire la situazione, sì da accattivarsi le nostre simpatie.

Per esempio, nel rondò dalla Donna del lago non punta sulle nuances d'ambiguità che forse si esalterebbero in un teatro al chiuso con acustica naturale e magari in un allestimento completo: più che sull'esitazione sulla parola "felicità" e sull'abbinamento di questa con i reiterati "avversità" del coro (qui assente, è vero, ma il concetto del pezzo non cambia) sembra optare per baleni di follia, piccoli scatti nervosi che ben risolvono, ad ogni modo, i controversi "affetti" di Elena. In generale sceglie variazioni sobrie ma personali, sfoga comodamente in acuto, è musicalmente sempre precisa e attenta, anche nelle diaboliche variazioni di "D'amore al dolce impero", cui, appunto, si potrebbe solo imputare un magnetismo non proprio irresistibile, compensato dall'affabile bonomia dell'artista.

Dal Pesarese al belcanto di Bellini e Donizetti il passo è breve e Karine Deshayes affronta con disinvoltura crescente sia la cavatina di Romeo sia quella di Elisabetta in Maria Stuarda. Si badi bene, l'accresciuta sicurezza non sembra tanto dipendere da un'affinità di repertorio (ha tutte le carte in regola per cantare un ottimo Rossini, e lo dimostra), quanto dal procedere della serata in cui si instaura sempre più una confidenza con il luogo e il pubblico, da un certo qual timor reverenziale che sembra baluginare qua e là nella volontà di non tradire il genius loci e il suo pubblico. Difatti, il vertice arriva con gli ultimi due brani in programma, "Ô ma lyre immortelle" da Sapho e "Plus grand dans son obscurité" da La reine de Saba di Gounod. Qui Deshayes gioca in casa, perfettamente a proprio agio, la voce si libera in un fraseggio intenso, ben articolato, partecipe. L'emissione che abbiamo sentito sempre a fuoco, si scalda ora di un pathos ben calibrato, che poi nel bis si trasformerà in gustosa, ironica seduzione cantando Les filles de Cadix di Délibes. 

Nikolas Nägele accompagna con entusiasmo il percorso di Karine Deshayes. Con l'Orchestra Filarmonica Gioachino Rossini non fa mancare alle sinfonie del Turco in Italia e della Cenerentola l'energia scattante di dinamiche ben dosate, il crescendo gestito a dovere, un incedere incalzante ma non omogeneo, anzi, forte proprio delle sue sfumature e di un piglio che si evidenzierà poi nella marcia marziale e nel gioco di variazioni dell'ouverture, così come nella porzione di danze che introduce "D'amore al dolce impero" di Armida. Coglie benissimo lo slancio corrusco e romanticheggiante ma pur sempre belcantista della sinfonia dei Capuleti e i Montecchi, così come l'ambiziosa grandeur borghese che non riesce a non tradire umori popolareschi nella Valse del Faust di Gounod. Con la voce è complice e sostegno preciso e sensibile, dalla leggiadria di "Una voce poco fa" al trasporto delle due arie di Gounod o all'esotismo ammiccante di Délibes. Conferma, insomma, che un valore aggiunto di questo Rof "d'emergenza" è stato proprio lo spazio offerto a tre giovani direttori di cui speriamo di sentir parlare ancora molto in futuro: lo stesso Nägele, Alessandro Bonato e Michele Spotti. E, fra tanti graditi ritorni con programmi diversissimi e sempre eloquenti della personalità degli artisti e del loro rapporto con Rossini, anche il benvenuto pesarese per un'interprete che tanto si è dedicata a Rossini. Arrivederci. Speriamo presto e in sicurezza.