Intorno a Bach, per Michelangeli

di Daniele Valersi

Nel festival trentino dedicato ad Arturo Benedetti Michelangeli, incanta - anche a dispetto delle avverse condizioni acustiche - il recital pianistico di Sofya Gulyak alle prese con un programma che, spaziando fra Busoni, Beethoven, Chopin, Prokof'ev, è permeato dalla presenza di Bach come nume tutelare sottinteso.

RABBI (TN), 21 agosto 2020 - Il festival “Omaggio all’arte pianistica di Arturo Benedetti Michelangeli”, meritoria iniziativa che ormai da nove anni porta pianisti del massimo livello a esibirsi in Trentino nei luoghi cari all’indimenticabile Maestro, ha avuto quest’anno tra i suoi illustri ospiti la prodigiosa Sofya Gulyak, che una volta di più si è confermata interprete straordinaria e musicista al cento per cento. Non basta la sua fama alata, non bastano gli assaggi piluccati sui canali social, non bastano i suoi CD recensiti con cinque stelle dalla rivista “Diapason”: solo ascoltandola in recital dal vivo si ha la misura del suo talento e della sua incredibile maturità musicale. È in grado di comunicare, con magnifica scioltezza e categorica sicurezza, tutto lo spessore delle diverse epoche e degli autori che propone; a San Bernardo di Rabbi, il 21 agosto, si è trovata a dover suonare nella palestra della scuola primaria, una sala acusticamente non ottimale: solo nelle prime due file si riusciva ad avere un ascolto soddisfacente, nel resto della platea la durata di note e accordi lunghi, nonché l’intensità di tutta la gamma del “forte”, venivano compromessi dall’altezza del soffitto, eccessiva in relazione alla superficie.

La prima parte del recital, che aveva le caratteristiche dell’anticlimax quanto a disposizione dei brani, si è svolta senza le interruzioni degli applausi tra un brano e l’altro: la solista non ha mai allentato la concentrazione né dato alcun cenno di conclusione, il pubblico recepiva le sue intenzioni e rimaneva in ammirato silenzio. Già l’iniziale Ciaccona di Bach-Busoni sarebbe stata da standing ovation, tributata peraltro alla conclusione del recital: non una mera sequenza di variazioni basate su differenti scansioni del tempo, ma intelligente rappresentazione delle indicazioni busoniane in partitura, dove “più vivo” è incremento di vitalità (non di velocità), “molto legato” fa rivivere il “fil di voce” violinistico sul cantino e “quasi tromboni” esige l’impianto sonoro organistico da attuarsi sul pianoforte, creazione genuinamente busoniana.

Con suprema bravura e suono sorprendentemente chiaro, Gulyak restituiva poi ai primi due movimenti della Sonata n. 30 op. 109 di Beethoven la loro quadratura di forma-sonata, senza però trascurare di mettere in evidenza i vezzi di gusto rapsodico che qua e là ne movimentano l’enunciazione (come le reiterazioni del ritmo puntato). Il tutto per preparare l’ampio spazio del “Gesangvoll, mit innigster Empfindung”, in forma di tema con variazioni, un gioiello avveniristico ma dai riflessi antichi, che richiede timbrica luminosa per risplendere, del quale veniva realizzato con pienezza il portato emozionale. Gulyak chiudeva la prima parte con le Variazioni brillanti su “Je vends des scapulaires” (dal Ludovic di Hérold), op. 12 di Chopin, che solo per la loro più breve durata si distinguono dallo spessore delle due partiture precedenti, assumendo un rilievo minore.

Un climax vero e proprio invece, anche se a due soli gradini, era la seconda parte che iniziava con le raffinate suggestioni tardoromantiche di Preludio, Fuga e Variazione op. 18 di César Franck, partitura che dall’originale versione organistica è trasmigrata a quella per due pianoforti fino a quella per pianoforte solo, che l’ha portata alla massima sua notorietà. C’è molto Bach sotteso al programma di Gulyak: rimarcabile anche nel procedimento delle variazioni beethoveniane (che rimandano alle Goldberg), è indubbiamente presente in quella del geniale Franck e ancora maggiormente nella Fuga, successiva all’esposizione di un preludio vagamente melanconico, di tono pastorale. Semplicemente sbalorditiva poi la nonchalance con cui l’artista sciorinava l’ardua Sonata n. 7 op 83 di Prokof’ev: precisione e implacabile icasticità negli episodi percussivi, giustapposti a momenti di apertura lirica dove era messa in campo una musicalità innata, padronanza assoluta di una partitura tutt’altro che semplice, che veniva esposta con quella chiarezza data dalla piena comprensione delle istanze dell’autore, con quella bravura che fa sembrare facili anche i passaggi più ostici. Fascinazione e autorevolezza risultavano ulteriormente accresciute dalla presenza: colpiva nel segno l’aria di imperturbabile serenità, la calma olimpica espressa dal viso e dal gestire di Gulyak, che dopo un “Precipitato” da mozzafiato si alzava tranquilla, come se niente fosse accaduto, rivolta alla sala con un sorriso appena accennato.

Tre i “fuori programma” concessi: l’Adagio dal concerto per oboe di Alessandro Marcello (trascritto da Bach), il movimento finale della Sonata in do maggiore dall’op. 36 di Clementi e l’Intermezzo n. 6 op. 118 di Brahms.