Sinfonia diffusa

di Daniele Valersi

Gran finale per il ciclo beethoveniano dell'Orchestra Haydn nel Teatro Sociale di Trento con la Nona sinfonia diretta da Felix Bender. Solisti Magdalena Hinterdobler (soprano), Sophia Maeno (mezzosoprano), Eric Laporte (tenore) e Tuomas Pursio (basso baritono).

TRENTO 22 settembre 2020 - Quale conclusione di “Beethoven Spirit”, il ciclo completo delle nove sinfonie eseguito dall’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento nel 250° anniversario della nascita di Ludwig van Beethoven ci si aspettava, come è lecito, una Nona di grande effetto, dopo la serie che ha visto alternarsi sul podio Kolja Blacher (che siede nella fila dei primi violini e conduce suonando, da maestro di concerto), Andrea Battistoni, Michele Mariotti e Felix Bender e che ha donato momenti impagabili tanto al pubblico quanto ai musicisti. Il gran finale a Trento, in un Teatro Sociale con la platea diradata dal distanziamento, non ha deluso le aspettative riservando al pubblico una sorpresa non da poco e conseguendo un ottimo risultato artistico, che acquista ulteriore merito se si considerano le difficoltà oggettive che un’orchestra trova oggi nel presentarsi al pubblico, non ultima delle quali è il tempo riservato alle prove, drasticamente ridotto in questa occasione alla sola “generale”. Dalla platea si ha la prospettiva del palco in tutta la sua profondità, dove ogni spazio utile è occupato dagli orchestrali delle varie sezioni, per cui, logicamente, ci si chiede: e il coro? Lo si ascolterà fuori campo da dietro i pannelli? Improbabile, opzione acusticamente penalizzante. Un’invasione della platea à la Vick? Fuori norma rispetto ai protocolli sanitari vigenti. Mentre trascorrono i primi tre movimenti con la conduzione puntigliosa, energica e generosa quanto a slancio di Felix Bender, si fa strada la consapevolezza di assistere a qualcosa che infrange una tradizione esecutiva consolidata, la convinzione che si deve rinunciare a quel layout di voci e strumenti divenuto canonico per quella che è tuttora considerata la vetta eccelsa del sinfonismo di un’intera epoca. Durante il recitativo “Freunde, nicht diese Töne” i cantori hanno preso posto, in due per ogni palco, nella sezione centrale del secondo e del terzo ordine, cosa di cui solo una piccola parte del pubblico si accorge: l’entrata del coro consegue così il previsto effetto sorpresa, con gradimento di tutti i presenti per l’esito musicalmente felice, che non fa rimpiangere affatto la disposizione tradizionale. Molto migliore questa soluzione, piuttosto che quella di occupare parte della platea. Tutta la cavea risuona, a 360°; il teatro è pervaso da una sorta di effetto surround: l’inusuale disposizione di coro e orchestra, pensata per ovviare ai limiti di un teatro di ridotte dimensioni in tempi di distanziamento obbligatorio (che vista la situazione attuale nessuno avrebbe l’animo di criticare), potrebbe dimostrarsi un’idea vincente anche in un futuro in cui le normali condizioni di fruizione fossero ripristinate.

Per quanto riguarda la performance vera e propria, la compagine orchestrale si fa riconoscere fin dalle prime battute dell’Allegro ma non troppo, un poco maestoso per il suono terso e duttile che l’ha fatta apprezzare dalle molte illustri bacchette che la conoscono, per quella definizione che anche nel pieno orchestrale in “fortissimo” consente di non perdersi alcun dettaglio. Incalzante e vigoroso, ben ritmato, il Molto vivace percorre la sala col carattere di una gioiosa cavalcata, che acquista rilievo dai lunghi “crescendo” dosati ad arte. L’Adagio molto e cantabile si dipana attraverso tutte le raffinatezze dinamiche richieste da una pagina sommessa e tutta cantabile, intrisa di mestizia contemplativa; pure l’interruzione del raccoglimento segnata dall’inciso delle trombe è espressa con garbo. Nel quarto movimento, chiave di volta della costruzione, fusione e apoteosi di vocalità e strumentalismo, è l’ensemble vocale “Continuum” (preparato da Luigi Azzolini) a giocare il ruolo di superstar. Complici l’effetto sorpresa e la collocazione altolocata, le voci squillanti e ben timbrate brillano e conquistano la massima evidenza. Bender, volgendo le spalle all’orchestra, da buon ex Thomaner canta anche lui,come trascinato da un entusiasmo irrefrenabile. L’orchestra non dà segno di risentire del temporaneo deturnamento del direttore: svolge puntualmente e con bravura la sua parte, sfoggiando prestanza nell’orchestrazione “turchesca” del secondo episodio corale, trionfando infine nella conclusione preceduta dalla doppia fuga. Non era certo cosa da poco il compito dei cantanti solisti, chiamati a imporsi con una performance piuttosto contenuta in termini di durata a fronte di un’orchestra che gira a pieno regime e di un coro particolarmente brillante: Magdalena Hinterdobler (soprano), Sophia Maeno (mezzosoprano), Eric Laporte (tenore) e Tuomas Pursio (basso baritono) lo espletavano in misura soddisfacente, di modo che nulla è mancato all’evento, degna conclusione di un ciclo entusiasmante.