L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Oh strano sognator

di Roberta Pedrotti

Splendidi artisti, temperamenti diversi e complementari, Ludovic Tézier e Roberto Tagliavini festeggiano il compleanno di Verdi al Regio di Parma e chiudono in bellezza un festival per molti versi memorabile, esempio di idee, volontà, valori nel momento in cui tutto sembra appeso a un filo.

Parma, Macbeth, 11/09/2020

Parma, Ernani, 25/09/2020

Parma, Requiem (Verdi), 18/09/2020

Parma, concerto Gergiev, 02/10/2020

PARMA, 10 ottobre 2020 - Il compleanno di Verdi va festeggiato. A Parma più che mai e più che mai quest'anno a chiusura di un Festival sofferto, ma che ha saputo dimostrare quanta determinazione, quanta volontà, quanta vitalità animi il lavoro in teatro, che è saputo passare dagli spazi aperti del Parco Ducale alla riapertura del Regio con seicento posti in piena sicurezza.

Nemmeno nei cast sono mancati imprevisti, fra cantanti bloccati fuori dai confini italiani o altri che devono correre a salvare recite e sostituire colleghi in intricatissimo domino globale. Così, capita che purtroppo Luca Salsi, titolare designato del recital del 10 ottobre, sia afflitto da una dolorosa lombosciatalgia e ceda il testimone al collega di registro Ludovic Tézier, già ripartito dopo il Macbeth inaugurale alla volta di Barcellona (per Il trovatore) e poi di Parigi. Capita che a Tézier si affianchi un basso, parmigiano come Salsi, che già aveva fatto splendida figura in Ernani ed era subentrato al concittadino Pertusi nel Requiem, Roberto Tagliavini. E, dunque, nell'emergenza si ricompone una serata di tutto rispetto, con locandina e programma da leccarsi i baffi: arie e duetti da Un ballo in maschera, Don Carlo, Attila, Otello, Luisa Miller e Falstaff.

C'è spazio anche per offrire due momenti solistici al pianista, Milo Martani, che suona con mordente e brillantezza la Parafrasi da Rigoletto di Liszt e la Fantasia da concerto La forza del destino opera prima di Martucci. Da un lato la virtuosistica rielaborazione del solo Quartetto, dall'altro una carrellata attraverso l'opera intera che dallo spunto della sinfonia tocca e sviluppa poi “Le minacce, i fieri accenti”, “Seguirti fino gli ultimi”, “Pace mio Dio”, “Al suon del tamburo”.

Al gioco musicale che scava, smonta, rimonta temi e forme di un numero o di un'opera intera, e fa in qualche modo speculazione da salotto sulla drammaturgia musicale di più ampio respiro restringendola al solo dato sonoro, rispondono frammenti di teatro cantato. Non siamo qui ad ascoltare voci, insomma, ché se le voci ci sono e sono notevolissime il loro valore consiste proprio nel piegarsi nella musica al personaggio, alla situazione, alla parola scenica.

I temperamenti sono diversi e questo è un valore aggiunto, come evidenzia subito nel duetto da Don Carlo. La voce scura, pastosa di Tézier corrisponde alla determinazione politica di Posa, a una visione che non ammette compromessi ed è tutta votata all'ideale, ma con i piedi per terra, senza escludere di sporcarsi le mani: un Machiavelli utopista e “novator”, prototipo di alcuni rivoluzionari francesi. Per contro, Tagliavini soppesa la parola con la maturità di chi sente di conoscere il mondo e se ne distacca non senza amarezza. Se Tézier arrota quasi provocatorio “Ei fu Neron”, Tagliavini risponde disincantato “Oh strano sognator! Tu muterai pensier, se il cor dell'uomo conoscerai qual Filippo il conosce” e sentenzia cupo, regale e realista “Ti guarda dal grande inquisitor”.

Tagliavini sembra una rivelazione, anche se a ben guardare – e in rapporto ai suoi poco più di quarant'anni – ha già calcato i palcoscenici di Londra e Salisburgo, ha in tasca altri contratti importanti. L'indole riservata, la privacy mediatica, perfino l'atteggiamento al momento degli applausi fanno poi saltare ancor più all'occhio l'interpretazione da fuoriclasse. L'emissione è tutta sulla parola, la voce di autentico basso cantabile si muove con naturalezza nel testo, nel senso drammatico di quel che canta, chiarissimo in ogni inflessione e ben accompagnato da gesti efficaci e misurati. Basterebbe pensare a quel sottile velo di scherno e provocazione che balena, nella cabaletta di Attila, su “vedrai se pavido io là m'arretro”, ma se “Mentre gonfiarsi l'anima” è l'asso nella manica favorito da quasi ogni basso, è con una pagina meno appariscente come “Il mio sangue, la vita darei” che Tagliavini lascia a bocca aperta per la qualità del fraseggio, la scelta dei colori, la bontà del legato e la scioltezza della grande cadenza finale.

Al di là dell'indubbia qualità artistica, la personalità di Tézier è più estroversa e spavalda, anche al di fuori dei personaggi che si alternano nel corso del concerto. A coronare il suo Marchese di Posa c'è l'irrinunciabile scena della morte, in cui si apprezza la consapevolezza musicale di “Io morrò”, che si lega come un'unica elegia funebre senza rimanere intrappolata nella cantilena. Ma abbiamo anche l'accorato “Alla vita che t'arride” di Renato, o un Credo di Iago d'un nichilismo cupo, secco, assertivo, che fa da sorprendente pendant con la cieca gelosia di Ford. Infine, più che irruente è doloroso e introspettivo il suo “Cortigiani, vil razza dannata”. Qualche segno di stanchezza qua e là s'era sentito, ma l'indomito Tézier non si è nascosto e, fra gli scroscianti applausi finali, ha ammesso un fastidio alla gola attribuito a una fibra della mascherina. Oratore abilissimo, non ha dato l'impressione di scusarsi (nessuno, invero, aveva mosso obiezioni per un paio di note sporcate in una serata simile), bensì di ricordare il rispetto del pubblico e l'umanità dell'artista che, con cuore e tecnica, deve superare anche imprevisti e inciampi. Quindi, si rifà con un “Eri tu” fuori programma che finisce per essere il suo brano migliore della serata, e per lo scoramento amaro dell'invettiva, e per la bellissima idea di piano nostalgico e ferito nell'attacco di “O dolcezze perdute, o memorie”.

E mentre Tagliavini sembra quasi sfuggire ai meritati applausi e alle ripetute richieste di bis (cosa avremmo dato per l'incontro fra Sparafucile e Rigoletto, o fra Attila ed Ezio, Simon Boccanegra e Fiesco!), Tézier è l'altra faccia della medaglia e porta in proscenio, con la determinazione e l'eloquenza del suo Posa, la gratitudine verso il pubblico e verso Verdi, l'importanza di ritrovarsi in teatro ancora una volta e nonostante tutto. Non poteva esserci modo migliore per chiudere queste Scintille di Festival Verdi che resistono e reagiscono alla tragedia e agli ostacoli: un ventaglio di speranze, dolori, amarezze, battaglie, ideali e disincanti nel riserbo e nella comunicazione, nel personaggio sul palco e nell'essere umano che lo fa vivere, nel pubblico che partecipa e abbraccia anche a distanza. O forse sì, un modo migliore ci sarebbe stato: svegliarci dall'incubo, ma arricchiti dall'esperienza.


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