L’eterno classico

 di Stefano Ceccarelli

All’Accademia Nazionale di Santa Cecilia il maestro Antonio Pappano, suo direttore stabile, presenta un concerto assai bello che è pure un tuffo nella storia della musica: da Gabrielli, passando per Vivaldi, fino a Stravinskij, per tornare a Mozart, il cui Concerto K 488 è eseguito da Stefano Bollani.

ROMA, 23 ottobre 2020 – Prima della nuova, funesta interruzione delle attività concertistico-teatrali su suolo italiano, all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, nella sala principale, messa in sicurezza per l’occasione, va in scena un concerto che – a causa di problematiche inevitabilmente connesse al Covid-19 – ha dovuto persino vedere un cambio di programma, quasi all’ultimo minuto. Comunque, i due protagonisti principali rimangono invariati: parlo del maestro Antonio Pappano e del pianista Stefano Bollani.

Nella seconda versione, la serata si apre con una perla rarissima eppur bellissima. Due Canzon (dalle Sacrae Symphoniae) per ottoni (trombe e tromboni) del veneziano Giovanni Gabrielli. Pur non trovandoci nella Basilica di San Marco a Venezia, i trombettisti si pongono in alto sugli spalti, ben distribuiti a creare proprio l’effetto di più fonti sonore in più punti della sala – a tentare di riprodurre, cioè, l’originale disposizione dei musicisti nella maggior chiesa veneziana. L’effetto è impressionante, quasi commovente nel considerare che si tratta di un compositore, Gabrielli, pochissimo o nulla eseguito nelle moderne sale da concerto, del tutto inesperte di quel tipo di repertorio. Gli esecutori sono bravissimi, tutti dell’orchestra ceciliana; Pappano arieggia il ritmo e fa ben notare le stratificazioni armoniche, prodromi della moderna concezione orchestrale. In un ideale percorso veneziano, si passa poi ad Antonio Vivaldi, precisamente a L’Estro Armonico, raccolta assai celebre di concerti: quello eseguito in questa occasione è il Concerto in si minore per quattro violini, violoncello, archi e basso continuo, n. 10, RV 580. Ancora, solisti sono membri dell’orchestra dell’Accademia, che dimostrano di sapersi cimentare con un repertorio tutt’altro che agevole. Vivaldi scorre così, sotto la direzione pulita, attenta, di Pappano, in tutte le sue più intime sfumature, nel dosaggio raffinatissimo dei colori, dei ritmi, dei tempi e degli attacchi, tutti elementi che rendono la sua scrittura inconfondibile a chi la conosca persino un minimo.

Un balzo temporale notevole separa Stravinskij da Vivaldi. Ma Pappano sceglie di dirigere un pezzo che è, comunque, un monumento del classicismo stravinskijano, anzi, meglio, del neoclassicismo: Pulcinella, naturalmente la suite da concerto dall’omonimo balletto. Pappano, qui, è molto raffinato nel dirigere le accattivanti melodie cucite assieme da Stravinskij, che si appropria e rielabora un ricco patrimonio melodico settecentesco, che non può essere tutto attribuibile a Giovanni Battista Pergolesi, come il compositore stesso programmaticamente afferma. Pappano – dicevo – è eccellente nel dirigere una straordinaria orchestra, che sa cavare ritmi e colori nettissimi: si pensi ai ritmi incalzanti della Tarantella o al gioco degli ottoni e dei vari strumenti sulla Toccata. Un eccellente esempio del tocco coreutico che Pappano riesce a infondere alla scrittura di Stravinskij è la Gavotta, dove gli strumenti a fiati sembrano gentilmente invitarsi l’uno con l’altro a danzare. Insomma, tutta la suite riesce benissimo, tanto che al termine del rutilante Minuetto – Finale scatta naturale e immediato un caloroso applauso.

Il tempo di portare il pianoforte in sala e si attacca il Concerto per pianoforte e orchestra n. 23 in la maggiore K 488 di Wolfgang Amadeus Mozart. Stefano Bollani esegue la scrittura mozartiana con totale rispetto dell’agogica, degli effetti, lasciando cantare le melodie e i passaggi senza appesantirli. Il tocco è leggero ma mai banale, soprattutto nei passaggi più movimentati, come nel I e nel III movimento; potrei citare, ad esempio, la cadenza finale del primo Allegro, che mette in mostra tutte le doti virtuosistiche di Bollani. Quello che voglio dire è che Bollani potrebbe sembrare meno spettacolare di alcuni interpreti puramente mozartiani, ma restituisce a Mozart l’impressione di una lettura genuina. Forse, il momento in cui ciò si percepisce meglio è nell’Adagio, dove il passaggio iniziale, una melodia brunita e tristemente cullante, è eseguita con estrema naturalezza da Bollani, a dispetto di molte letture più concettuali, rallentate, attente microscopicamente al dettato di Mozart. Peraltro, l’Adagio si riempie a poco a poco di colori con l’entrata dell’orchestra, per ondeggiare, poi, fra le due atmosfere, una più cupa e una più luminosa. Pappano è in ottima sintonia con Bollani e l’orchestra dona un’eccellente performance. Alla fine del concerto, gli interpreti sono lungamente applauditi. Tanto durano gli applausi che Bollani si profonde, addirittura, in tre bis: una rapsodia in stile jazzistico, ma base mozartiana, che parte dal celebre Rondò “Alla turca” (il III movimento della Sonata n. 11), un pezzo originale di Bollani stesso, Il sentiero, sorta di sensuale valzer fortemente jazzato, e il Maple Leaf Rag di Scott Joplin.