L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il tragico meraviglioso

di Alberto Ponti

Con il baritono tedesco Matthias Goerne prosegue nel gennaio torinese l'esplorazione dell'universo mahleriano attraverso una scelta della sua produzione liederistica. Chiudono la serata due opere antitetiche di Béla Bartók sotto la bacchetta di un grande specialista del Novecento, Michel Tabachnik

Torino, 17 gennaio 2020 - Nonostante molti numeri della raccolta possano vantare la versione orchestrale dell'autore, il mondo poetico racchiuso nei Lieder di Gustav Mahler (1860-1911) tratti da Des Knaben Wunderhorn (1892-1901) è assai meno esplorato in sala da concerto rispetto ai grandi cicli successivi quali i Rückert-Lieder o i Kindertotenlieder. L'insieme contiene alcune delle pagine più ispirate e geniali dell'autore, che non a caso si pongono come veri e propri cartoni preparatori di movimenti delle coevi sinfonie. Basti citare, su tutto, il colossale scherzo della Seconda basato su Des Antonius von Padua Fischpredigt, o il finale della Quarta, costituito da un ampio Lied (Das himmlische Leben), pensato in origine per l’insieme.

Il baritono Matthias Goerne è indiscusso interprete di questa musica, da lui portata a livelli di eccellenza assoluta sotto direttori del calibro di Chailly, Honeck, Järvi. Nel programma di giovedì 16 e venerdì 17 gennaio, con Michel Tabachnik alla testa dell'Orchestra Sinfonica Nazionale, la scelta è caduta su sei titoli. Che la chiave di lettura sia improntata all’enfatizzazione del lato tragico lo si intuisce fin dall’attacco di brani come l’inquietante Das irdische Leben, con gli scarni staccati di flauti e oboi sul quale si appoggiano le velate quartine di violini, viole e violoncelli con sordina a tradurre con ruvidezza quasi visiva l’indicazione ‘spettrale con moto’ della partitura, oppure ancora di Rheinlegendchen, sulla carta pervasa da una maggior innocenza, eppur introdotta da un pungente squillo del corno. Le inquietudini d’amore del giovane contadino trovano un asciutto contrappunto nel tempo di valzer in 3/8, staccato senza licenze sentimentali, che nulla concede al tono di sogno ad occhi aperti evocato dal testo. Ed è su tale ricercata mancanza di ironia, anche dove la scrittura di Mahler potrebbe suggerirla, che si innesta la voce densa e profonda di Goerne, dall’intonazione possente e armonica nel registro più basso, con un effetto quasi di stupita sospensione del tempo nella prima parte di Urlicht, ma pronta a scattare con altrettanta fermezza verso l’acuto nel climax dei canti ispirati alla vita militare rappresentati da Wo die schönen Trompeten blasen, Revelge e Der Tamboursg’sell. Qui la soffocata cifra ironica si rovescia in graffiante sarcasmo nel denunciare l’insulsaggine degli ordini superiori, con gli accenti del solista che si avvicinano a tratti a un declamato già espressionista nei fatti, restituendo alla sala un Mahler fremente, vivo e modernissimo.

La precisa, analitica concertazione di Michel Tabachnik ha buon gioco nel dimostrare la sua piena versatilità nella seconda parte della serata dedicata a due opere di notevole importanza nel catalogo di Béla Bartók (1881-1945). Il concerto per viola e orchestra (1945) è l’ultimo lavoro del maestro ungherese, orchestrato e completato dall’allievo Tibor Serly. Luca Ranieri, prima viola dell’Orchestra Sinfonica Nazionale, si rivela un esecutore sensibile e attento alle sfumature di uno stile che ha negli assoli dello strumento felici momenti di ispirazione. Al carattere riflessivo dei due movimenti iniziali, con ampie oasi liriche intervallate da episodi di maggior concitazione agogica, resi da Ranieri con perfetto equilibrio tra forma ed emozione, si contrappone in chiusura un conciso Allegro vivace in cui ad essere esaltata è la tecnica del protagonista, capace anche in questo caso di coniugare il guizzo del virtuoso con la pura bellezza del suono.

Con un balzo indietro di oltre vent’anni si arriva alla pantomima Il mandarino miracoloso op.19(1918-24), tra i maggiori esiti dell’arte di Bartók e caposaldo, con le sue geniali intuizioni timbriche e armoniche, di tanta musica del ventesimo secolo. Nella suite tratta dall’opera Tabachnik, forte della lunga esperienza maturata fin dalla fondazione dell’Ensemble InterContemporain con Pierre Boulez, valorizza le possibilità espressive dei singoli strumenti, con l’autore che prevede spesso acrobazie al limite dell’eseguibile, inserendole all’interno di una cornice in cui la grande orchestra è impegnata con effetti di sconvolgente violenza sonora. Senza mai smarrire il bandolo della matassa, con esattezza matematica e allo stesso tempo intrisa di passione, l’occhio della bacchetta svizzera passa in rassegna le sensuali volute del clarinetto, chiamato a impersonare la ragazza adescatrice e poi preda della volontà di possesso del mandarino, i motivi danzanti imbastiti dagli altri fiati con oboe e fagotto in testa e i glissandi dei tromboni, leitmotiv del mandarino, prima di recuperare il clima sfrenato dell’esordio e chiudere il pezzo con l’amplificata brutalità della lotta tra la donna e il persecutore.

Pubblico non ampio, ed è un vero peccato, ma applausi scroscianti e meritatissimi per interpreti di alto livello.

Foto: PiùLuce per Orchestra Rai


 

 

 
 
 

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