L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il violino del maestro

di  Mario Tedeschi Turco

Kolja Blacher, direttore e solista, guida l'Orchestra Giovanile Italiana in un progremma che spazia da Mozart a Čajkovskij fino alla Concertante Musik di suo padre, Boris Blacher.

Verona, 7 febbraio 2020 - Dopo la Bundesjugendorchester, alla rassegna concertistica del Ristori veronese è la volta di altri ragazzi: l’Orchestra Giovanile Italiana si è presentata nella serata del 7 febbraio con la direzione e il violino di Kolja Blacher, in un programma composto dall’ouverture del Flauto magico, dal Concerto per violino e dalla Fantasia sinfonica “La tempesta” di Čajkovskij, infine dalla Concertante Musik, op. 10 di Boris Blacher.

Era da attendersi come piatto forte il Concerto di Čajkovskij, naturalmente, visto l’alto profilo del solista, e così è stato: il solismo di Blacher è robusto nella sonorità ma analitico nel fraseggio, così che la cavata poderosa sul suo Stradivari Tritton (1730) ha servito al meglio le variazioni sul tema del primo movimento, dialogando con gli incisi alternati di archi e fiati con intonazione ferma, varietà dinamica, forse poca cantabilità “slava”, a dire il vero, e maggior propensione al gesto esecutivo che rileva la struttura lasciando in ombra quanto di viscerale il testo pur contiene. Ma è una scelta portata avanti con coerenza: detto di una seconda cadenza prima della riesposizione, verso la fine del medesimo movimento, che ha impressionato per sonorità grandiosa e agilità digitale trascendentale, nell’Andante in sol minore, con il suo tempo ternario e l’organico privato di trombe, timpani e due corni, l’intenso lirismo del tema al solista è stato restituito con un’austerità controllata, ancora aliena da abbandoni e tuttavia penetrante nell’oscillazione dei chiaroscuri. Molto buona poi l’intesa con l’orchestra, attenta e precisa in quei momenti in cui gli strumenti si isolano dall’ensemble per dialogare individualmente con il solista. L’Allegro vivacissimo finale ha fatto udire autentici fuochi d’artificio, eppure anche una leggerezza, diresti una sprezzatura, pur nel virtuosismo, del tutto in linea con la scelta interpretativa di cui si è detto: un Čajkovskij eroico e monumentale, per dirla in formula, che guarda a Occidente ma pienamente appagante per rigore, logica, uniformità, tecnica e coesione.

Un taglio schiettamente preromantico ha ricevuto la lettura dell’Ouverture mozartiana, con Blacher che ha suonato con l’orchestra: estremamente ordinata e compatta, la compagine è stata ammirevole per la precisione degli attacchi e l’omogeneità dei volumi dal principio al termine.

Meno bene, purtroppo, la Tempesta: nell’apertura che evoca il mare, poi animato dall’arrivo di Ariel, si è sentito un deciso squilibrio dinamico tra gli archi e le note tenute degli ottoni; meglio le rapide e irregolari volate dei legni, tuttavia, ma il suggestivo bozzetto impressionistico di Čajkovskij è andato in parte perduto. Non immacolati anche i corni nel seguente Allegro moderato, e in generale il peso delle percussioni è risuonato decisamente tonitruante ben oltre l’effetto mimetico implicito nel testo. Migliore senz’altro il lirismo dell’intensa melodia all’Andante con moto e Andantino, poi ancora problemi assortiti di emissione degli ottoni e grevissimi interventi di timpani e grancassa nel crescendo finale immediatamente prima della ripresa del tema iniziale. Vero è che già il testo non è forse felicissimo, in questo passaggio, e che il gesto interpretativo clamoroso è dunque autorizzato, ma la pecca dell’esecuzione ci è parsa di natura prettamente tecnica, nella scarsa omogeneità della formazione del suono al di là di ogni taglio interpretativo.

Il concerto si è concluso con la Concertante Musik di Blacher padre, composta nel 1937, che è un magnifico esempio di brano mainstream anni ’30, in cui certo macchinismo ritmico si unisce a un’arte del contrappunto, a un gusto per il frantumarsi dei dettagli timbrici, a una severa oggettività antisentimentale la quale, contesta in un libero stile «polidiatonico» (Armando Gentilucci), si rivela probabilmente più oggi che ieri come una notevole interpretazione del Moderno, nelle sue taglienti simmetrie e nel suo vitalismo secco, materico. Sono dieci minuti di musica che conducono l’ascolto in una climax non priva di un entusiasmo diretto, giovanile, e nell’interpretazione di Blacher figlio ci è parso che esattamente questo carattere di giubilante strutturalismo sia stato deliberatamente cercato. E ottenuto, specie per il piglio assai autorevole della sezione archi, con legni e ottoni che hanno mostrato questa volta uguale precisione nell’emissione e nel controllo dinamico. Un’ottima riuscita, bissata integralmente a furor di popolo al termine della serata.


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