L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Strauss e Mahler

 di Stefano Ceccarelli

Il secondo dei concerti in programma nella stagione sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretti da Daniele Gatti ha un programma tutto tardoromantico e novecentesco: si apre, infatti, con il Concerto n. 2 in mi bemolle maggiore per corno e orchestra di Richard Strauss, eseguito da Alessio Allegrini, e si chiude con la Sinfonia n. 5 in do diesis minore di Gustav Mahler. La serata è apprezzata e applaudita dal pubblico.

ROMA, 27 febbraio 2020 – L’ultimo dei due concerti diretti da Daniele Gatti per l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia presenta un programma che oscilla dal tardoromantico al Novecento maturo, ma ancora classicheggiante di R. Strauss. Un programma, dunque, che sulla carta si presta particolarmente alle doti e ai gusti di Gatti, che è ben noto, in particolare, per le sue letture mahleriane.

Il Secondo concerto per corno di R. Strauss è interpretato da Alessio Allegrini, componente dell’Orchestra dell’Accademia e virtuoso cornista. Allegrini, infatti, fin da sùbito mostra di che pasta è fatto: il controllo del suono è quasi perfetto, e quest’ultimo esce dal corno naturale, compatto, ben dosato nei volumi e, persino, nei colori, cosa ben ardua – com’è noto a chi sia un minimo pratico di musica – per un ottone. L’Allegro non troppo scorre, nella sua frammentazione tematica e sensualità cromatica, assai piacevole, con Gatti che crea un amalgama orchestrale chiaro e distinto nelle sue componenti, al solito analitico, che consente quella chiarezza eccezionale dove può inserirsi il corno. Il passaggio all’Andante con moto avviene, sostanzialmente, senza soluzione di continuità, ingenerando un effetto cromatico piacevole: tutto l’Andante è cullato da Gatti, che lascia all’orchestra e al corno di Allegrini ampia cantabilità. È qui che il cornista dipinge i suoi interventi a fior di labbra, facendoci conoscere un lato in effetti poco noto dello strumento, solitamente calato in orchestra: mi riferisco alla sua cantabilità baritonale, alla possibilità di velare il disegno orchestrale di una dolceamara malinconia. Il finale Rondo, d’impianto dichiaratamente più classicheggiante, dà largo spazio alle evoluzioni del corno, soprattutto nelle sue – queste sì tipiche – sonorità di corno ‘da caccia’. Nel congedarsi fra calorosi applausi, Allegrini esegue una trascrizione per corno solo de Lerendez-vous de chasse di Rossini.

Il secondo tempo è occupato dalla Quinta di Mahler. Gatti è un direttore la cui sensibilità si adatta perfettamente alla musica mahleriana: attento ai particolari, spesso dilatando l’agogica per farli risaltare al meglio e assai analitico nelle diverse parti dell’apparato di contrappunto, Gatti è il direttore perfetto per esaltare tutte le movenze di un affresco mastodontico come la Quinta. Se, dunque, la tenuta generale della direzione di Gatti è incredibilmente tesa, viva, a cavare tutte le venature del ritmo cangiante di Mahler, pronta a gestire enormi masse di suono, non viene meno, dicevo, l’attenzione a caratterizzare ogni minimo particolare della partitura – del resto, i più attenti avranno fatto caso al fatto che Gatti ha diretto la Quinta senza spartito, a dimostrarne la sua profonda conoscenza (l’ha già diretta in Accademia, del resto, nel 1994 e 1997). Per esempio, nel I movimento Gatti riesce a conferire il giusto colore, ironicamente mesto, al Trauermarsch. Ma, sul lato opposto, quando c’è da sfrenare l’orchestra, Gatti non ha certo paura di farlo: ecco i passaggi più tesi (Stürmisch bewegt) equelli più slanciati(Mit grösster Vehemenz). L’eccellente pasta di cui è fatta l’orchestra dell’Accademia la si può ammirare nell’esecuzione dello Scherzo, cangiante in mille screziature, dove il direttore allarga e restringe l’agogica, giocando con ogni sonorità dell’orchestra. Il pubblico avrà certamente apprezzato la splendida esecuzione del celebre Adagietto, un po’ il pezzo che il grande pubblico attende nella Quinta, giacché colonna sonora di Morte a Venezia di Luchino Visconti. Il tema, cantato malinconicamente dagli archi, è puntellato dalle dolcezze dell’arpa: il tutto è commovente fino alle lacrime. La serata si chiude nell’energia inarrestabile del Rondò-Finale, caratterizzato da una dirompente luminosità, che fa scattare, naturale e fragoroso, l’applauso per direttore e interpreti.


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