Riccardo Muti

Un Mozart per ricominciare

di Francesco Lora

Il Ravenna Festival ha festeggiato insieme l’apertura della nuova rassegna, il proprio trentennale e la ripresa dell’attività artistica in tempo di pandemia: Rosa Feola, Riccardo Muti e “la” Cherubini per Skrjabin, Mozart e un pubblico a posti distanziati.

RAVENNA, 21 giugno 2020 – Posti distanziati e biglietti introvabili; riscoperta dell’aperto spazio della Rocca Brancaleone; ingressi del pubblico contingentati a partire da settanta minuti prima; termometri elettronici, mascherine chirurgiche e gel disinfettanti; programma snello, niente intervallo e figura inopportuna se si chiede del bagno; uditorio diviso a metà tra quello presenzialista e casuale, che applaude tra un movimento e l’altro di una sinfonia, e quello di musicofili militanti, che dopo mesi di silenzio devono reimparare ad applaudire. Il Ravenna Festival ha festeggiato insieme l’apertura della nuova rassegna, il proprio trentennale e la ripresa dell’attività artistica in tempo di pandemia, pur tra tutte le dovute precauzioni e anzi dettandone il manifesto.

C’è Riccardo Muti sul podio e intorno a lui c’è l’Orchestra giovanile “Luigi Cherubini”. C’è la presidente del Senato della Repubblica, c’è il ministro per i Beni e le attività culturali, c’è il governatore dell’Emilia-Romagna e c’è il direttore generale dell’Unesco. C’è più di un viso amico, che bisogna riconoscere dagli occhi in su. C’è Il Canto degli Italiani, in una morbida esecuzione solo strumentale: niente trionfalistica fanfara introduttiva, canto chiuso nella mente di ciascuno. Le ultime luci del solstizio d’estate se ne vanno mentre si ascolta Rêverie di Aleksandr Nikolaevič Skrjabin, promessa di un sogno di normalità che può tornare, con la sua atmosfera esotica, alata, onirica, così volontariamente diversa dal resto del programma, tutto dedicato a Mozart.

Una prima sezione è formata dal mottetto Exsultate, iubilate e dall’«Et incarnatus est» della Grande messa in Do minore. Autore perfidissimo, questo Wolfgang Amadé, anche e soprattutto quando dischiude i suoi paradisi melodici: il secondo brano dura dieci minuti abbondanti e corrisponde al passo del Credo durante il quale era – e sarebbe tuttora – obbligatorio scendere in ginocchio e rimanervi. Soprano più che all’altezza del compito: Rosa Feola vanta forbitissimo “giro” del suono in maschera, omogeneità timbrica lungo registri solidi e con un’inedita sfumatura brunita, vocalizzazione di qualità anche perché non adulterata da vezzi e trucchetti anglo-germanici, comunicativa semplicità d’eloquio che sveglia il ricordo della giovane Mirella Freni.

Muti incalza vispo nel mottetto, e nel versetto sospende la brezza. Quale sia il suo attuale approccio a Mozart, risulta ancora meglio chiaro nella successiva lettura della Sinfonia n. 41 “Jupiter”. L’impianto ritmico passa in second’ordine rispetto a un flusso melodico liquido, denso, soffuso, alato e alonato; legatissimo; con un meticoloso lavoro d’altri tempi sul suono e con uno spirito di conversazione al contrario franco e basilare. Di ogni accordo si apprezza anche il riverbero, mentre i tempi indugiano all’estremo possibile: a una durata apparentemente nella norma corrisponde, in verità, un testo oltremodo dilatato e mascherato dietro i ritornelli disattesi (quelli nei movimenti secondo e quarto). Un Mozart per ricominciare, ma non secondo la via facile.