Al contadino non far sapere...

di Irina Sorokina

La necessità di reinventare la stagione con nuove regole e restrizioni diventa l'occasione per il debutto all'Arena di Verona di Gianni Schicchi. La produzione verte intorno al protagonista Leo Nucci, catalizzatore anche della realizzazione scenica, ma il buon successo della serata è meritato da tutto il lavoro di squadra di cast e direttore.

VERONA, 21 agosto 2020 - Mai visto Gianni Schicchi all'Arena di Verona, come mai visto l’intero Trittico pucciniano. Ma nei tempi del coronavirus molte cose sono state possibili e alcuni sperimenti che prima sembravano incredibili hanno dimostrato la loro efficacia. E così è andata con Gianni Schicchi all'Arena, prima parte di una sorta di “dittico” pucciniano composto dall’unica operina comica del grande compositore lucchese e dal galà che ha proposto un programma nutrito ed emozionante.

Molti ricordi e paralleli vengono in mente in quest’estate insolita. Uno di essi vede protagonisti il grande Arturo Toscanini e baritono torinese Giuseppe Valdengo. “Vedi, - diceva Toscanini a Valdengo - esistono degli eroi che sono già “fatti”, cioè disegnati dal compositore con la massima chiarezza. Questi personaggi non sono difficili da interpretare, ad esempio, Rigoletto, Otello, Boris Godunov, Don Basilio, Mefistofele di Boito e altri. Ho sentito i diversi cantanti in questi ruoli: addirittura, anche quelli dalle voci mediocri seppero produrre un effetto. Certamente, il costume e trucco aiutano a renderli tali. Ma esistono tali personaggi che necessitano di “essere fatti”; per crearli un cantante deve mettere tutta la sua anima e intelligenza, perché la chiarezza e semplicità non bastano per interpretarli, richiedono da un cantante di calare totalmente nei loro panni, riuscire a sentirli esattamente come li vedeva e sentiva il compositore”.

Il Gianni Schicchi pucciniano decisamente appartiene alla prima categoria. È disegnato da Puccini con la massima chiarezza, e per un “animale da palcoscenico”, che nel nostro caso è il celebre baritono Leo Nucci (classe 1942), non ha alcun segreto. In questa edizione areniana a Nucci è affidata anche l’ideazione scenica, il che non significa affatto calarsi nei panni del regista vero e proprio, ma suggerire ai compagni d’avventura qualche trucco efficace, un movimento, un accento, un colore. In un’intervista del celebre baritono rilasciata a chi scrive ormai secoli fa, nel 1999, l’artista sostenne che in moltissime occasioni i registi di turno gli sussurravano nell’orecchio: “Leo, l’hai fatto tante volte, io lo sto facendo per la prima volta. Mi aiuti?”. Nel caso in questione, nessuno sussurrava, mentre Nucci, un brillante teatrante, considerato storico ormai, ha proposto un quadretto scenico gustoso segnato da giusto spirito e piena complicità dei partecipanti. Senza le scene, ovviamente, vista la situazione particolare; è bastata un letto con un pupazzo steso, tutto il resto è stato fatto dai compagni d’avventura.

Sono stati bravissimi, questi compagni, e hanno fatto divertire assai. Tra gli antipaticissimi parenti del defunto Buoso si è distinta particolarmente nella parte di Zita Rossana Rinaldi, che ha sfoggiato voce sostanziosa e gradevolmente scura, accento perfetto e pronuncia fantastica; il suo “La……dro!” ha fatto pressappoco preoccupare gli spettatori per la sorte di Gianni Schicchi. Sono stati perfettamente al gioco tutti gli interpreti, Marcello Nardis – Gherardo, Rosanna Lo Greco – Nella, Zeno Barbarotto – Gherardino, Biagio Pizzuti – Betto di Signa, Giorgio Giuseppini – Simone, Gianfranco Montresor- Marco, Alice Marini – La Ciesca, Dario Giorgelè – Maestro Spinelloccio (a lui va una lode particolare), Nicolò Ceriani – Ser Amantio di Nicolao, Maurizio Pantò – Pinellino, Nicolò Rigano – Guccio. Una bellissima scoperta, vera gioia e godimento, Lavinia Bini nei panni di Lauretta: ha letteralmente colpito l'udito per sua voce morbida e lucente, il legato carezzevole e ha conquistato i cuori con sincerità e naturalezza. Appalusi a non finire al suo delizioso “O mio babbino caro”. Non è andata esattamente così per il suo innamorato; Enea Scala - Rinuccio che sarebbe stato perfetto per la baldanza e comprensione di stile, ma la nota dolente è andata alla voce, legnosa, a tratti secca, in difficoltà evidenti nella salita “incoronata” dall’acuto faticoso se non sgradevole nel bellissimo monologo “Avete torto!.. Firenze è come un albero fiorito”. Peccato davvero; se no, avremmo avuto la coppia di due innamorati da manuale.

E cosa dire del mattatore quasi ottantenne? È capace di stupirci ancora; chi potrebbe far concorrenza alla sua energia inesauribile, voglia di mettersi in gioco, capacità attoriali, forma fisica, infine (è arrivato sul palcoscenico in bicicletta), parola cantata scolpita così bene e espressiva al massimo? Ma nessuno, ovviamente. Il monologo della pezzolina meriterebbe centodieci e lode. Il suo Gianni è già entrato nella storia, come tanti altri personaggi da lui creati.

Sul podio Francesco Ivan Ciampa, pure lui in uno stato di grazia e coinvolto perfettamente dal gioco, ha diretto l’orchestra areniana in modo gustoso, se così si può dire, sapiente e equilibrato, sempre attento alle esigenze dei cantanti e minimi dettagli, ma con tanti bagliori di spirito e a volte tinte forti.

Non sono mancati i bis: Lavinia Bini ha deliziato con la sua interpretazione perfetta di “O mio babbino caro” e anche Enea Scala ha ripetuto “Firenze è come un albero fiorito”, con i pregi e i difetti di prima. Il Leo nazionale ha regalato “Largo al barbiere” spruzzando energia da tutti i pori e non poteva non coinvolgere il pubblico già divertito e compiacente; tuttavia, secondo il nostro parere, sarebbe stato meglio optare per un brano meno impegnativo sul versante vocale.

Successo pieno per tutti e serata stupenda che non si dimenticherà.

Alla fine, un parallelo inaspettato, di carattere storico e gastronomico. “Al contadino non fa sapere quanto è buono il formaggio con le pere”, dice il proverbio mettendo in risalto la combinazione gustosa fra formaggio gorgonzola e pere dolci. Quella sera in Arena al pubblico è stato offerto un piatto musicale che somiglia assai a questa combinazione. La parata dei parenti antipatici del defunto Buoso potrebbe essere associata con il formaggio puzzolente, mentre Lauretta e Rinuccio con le pere. Ma chi è l’autore di questa combinazione servita su quell'ampia tavolata chiamata palcoscenico dell’Arena di Verona? Il Maestro Leo Nucci, naturalmente. Del resto, il baritono nato sull’Appennino bolognese, non abita a Lodi, in Lombardia, regione dove nacque il Gorgonzola?