L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Lapislazzuli e ametiste

di Roberta Pedrotti

Graham Vick rimodella il suo allestimento della Zaide mozartiana completata da Italo Calvino a misura di streaming e realizza uno spettacolo per nulla rinunciatario o dolente, anzi: un vero inno d'amore verso il teatro e l'opera. Ne sono ottimi interpreti Giuliana Gianfaldoni, Giovanni Sala, Vincenzo Nizzardo, Paul Nilon, Pierpaolo Martella, Davide Capitanio e l'attrice Arianna Scommegna, con sul podio Alessandro Palumbo.

COMO, 20 novembre 2020 - Le avversità possono aguzzare l'ingegno e scoccare colpi di genio. Basta non arrendersi e avere, ovviamente, gli strumenti tecnici, intellettuali, la sensibilità giusta.

Ragionando sulle variazioni necessarie da apportare al programma 2020 di OperaLombardia, ma ancora immaginando pubblico in sala, Graham Vick propose di riprendere il testo di Italo Calvino per la Zaide di Mozart (Singspiel di cui ci sono pervenuti solo alcuni numeri musicali e di cui, quindi, non conosciamo con certezza nemmeno la trama), un raccordo con ipotesi drammaturgiche che proprio Vick, allora giovane di bellissime speranze, aveva messo in scena per primo nel 1980 a Batignano. La struttura con i numeri musicali collegati dagli interventi di una voce recitante si sarebbe ben prestato a un nuovo allestimento rispettoso delle norme sanitarie. Nel frattempo, per eguali ragioni, l'Opera di Roma in ottobre si trova in difficoltà a proporre il previsto Rake's Progress, che pure avrebbe dovuto avere la regia di Vick: ecco dunque che il cast romano si converte quasi integralmente e senza danni da Stravinskij a Mozart, mentre nasce una coproduzione fra la fondazione lirica della capitale e il circuito lombardo.

A Roma Zaide riesce ad andare in scena regolarmente, e ce ne ha parlato Stefano Ceccarelli (leggi la recensione: Roma, Zaide, 22/10/2020).

In Lombardia arriva, invece, quando scatta il secondo lockdown e la produzione si converte verso la diretta in streaming dal teatro vuoto. E qui entra in gioco la classe del grande regista, perché Vick non si limita a far filmare e trasmettere lo spettacolo così com'è: riesce a dargli senso e autonomia nella sia particolarissima forma, fa dell'emergenza un'identità, tant'è vero che ci auguriamo di vedere presto la registrazione pubblicata in dvd come testimonianza artistica di questi mesi cruciali e drammatici.

Non abbiamo, dunque, il rito finale dell'uscita muta degli artisti in proscenio a ricordare il vuoto delle platee, ma abbiamo uno schermo nero improvviso a interrompere le ultime parole della narratrice per un'opera che il finale non ce l'ha, che rimane aperta come sono aperti e sospesi, ancora da scrivere, ma non da abbandonare all'incoscienza o alla disperazione, i nostri destini. Poi, compare solo la foto di gruppo di tutti, tutti coloro che hanno dato vita a Zaide. Uno spettacolo che non racconta, dunque, il vuoto e l'isolamento del teatro in lockdown, ma l'amore fisico per il teatro, dipanandosi con sovrana maestria fra diverse dimensioni narrative. Una donna delle pulizie impegnata dietro le quinte – l'attrice Arianna Scommegna, bravissima, portavoce di tutti i fondamentali lavoratori “invisibili” alla ribalta – scova in un poveroso baule d'attrezzi e ricordi le pagine superstiti del Singspiel incompiuto, comincia a leggerle, a delinearne i personaggi, a ipotizzarne i caratteri, le storie, l'evoluzione degli eventi. E nasce il miracolo del teatro, l'azione che si sviluppa dal nulla, gioco e incanto sublime e sostanziale, non mero accessorio, carne e vita in sublime illusione che inventa e svela il vero. I macchinisti diventano gli schiavi, strappano la tuta a uno di loro e sotto, una seconda pelle più intima e autentica, c'è il costume settecentesco di Gomatz, appaiono sagome di guardie con scimitarre, le reti in plastica su ponteggi e impalcature sono le grate e le gelosie del serraglio. Ogni oggetto ha, almeno, una doppia identità, quotidiana e fantastica: questo è il teatro. Ed è teatro anche l'intreccio delle ipotesi, le scene che si sospendono e si ripetono – con l'orchestra che sintetizza i brani già ascoltati mimanti sinteticamente dai cantanti mentre la narratrice ne illustra nuove interpretazioni e nuovi possibili intrecci – senza perdere mai il filo e la tensione, ma dispiegando il labirinto di infinite possibilità e variabili, l'eterna imprevedibilità e vitalità dello spettacolo unico e irripetibile. Non ci fa soffrire, ma ci fa percepire tutta l'importanza del teatro e la drammaticità del momento Vick, insieme con Ron Howell per i movimenti mimici e Italo Grassi per scene e costumi davvero “parlati”, fra abiti da lavoro contemporanei e sogno esotico settecentesco, con un piccolo capolavoro nell'abito di Zaide: i capelli biondi avvolti in una fascia rossa, un panneggio blu che pare uscito da un dipinto rinascimentale e invece ammantala favorita del sultano, i suoi gioielli, sandali e tatuaggi all'henné, il suo semplicissimo sott'abito bianco con corsetto occidentale e gonna dalle sensuali trasparenze, prima di avvolgersi in garza bianca leggera leggera. Il soprano Giuliana Gianfaldoni li indossa come una principessa delle fiabe e canta da mozartiana provetta sia nelle insidiosissime arie elegiache “Ruhe sanft, mein holdes Leben” e “Trostlos schluchzet Philomele”, sia nella furibonda “Tiger! wetze nur die Klauen”, coniugando finezza musicale, esatta intonazione e morbida pastosità d'emissione. Nondimeno convince su tutta la linea, per la virile adesione allo stile e l'ottima prova d'attore, il Gomatz del tenore Giovanni Sala e si apprezza il nobile contegno con cui il baritono Vincenzo Nizzardo rende il carattere ambiguo e sfuggente di Allazim, del quale i materiali originale ci dicono così poco da suggerire a Calvino sviluppi opposti: pirata rinnegato, sincero benefattore, cieco utopista, lussurioso violento, innamorato ora di Zaide, ora di Gomatz, ora del potere, di se stesso, di un'idea. Paul Nilon è il veterano della compagnia e indirizza un'emissione non sempre freschissima in un'ottima caratterizzazione di Soliman, mentre il più giovane è Pierpaolo Martella, che canta molto bene e con spirito l'aria della venale guardia Osmin. Davide Capitanio completa la locandina come schiavo, ma con lui dobbiamo lodare almento i vari figuranti, nonché i tecnici e tutti coloro che in un modo o nell'altro sono aprte del microcosmo teatrale.

Sul podio dell'orchestra dei Pomeriggi Musicali c'è Alessandro Palumbo e fa un ottimo lavoro per mantenere con leggerezza il filo di un discorso chiaro pur nei suoi mille intrecci alternativi. Lo splendore di un Mozart ventitreenne alle soglie di Idomeneo e di Die Entführung aus dem Serail ci viene restituito lieve e prezioso in un tessuto teatrale non meno impalpabile e pregiato: come scrisse, allora, Calvino e come ripete, oggi, Arianna Scommegna “lapislazzuli e ametiste incastonati in un mosaico azzurro, indaco, pervinca”.

foto Alessia Santambrogio e Filippo Taddei


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