L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Viaggio virtuale, Viaggio reale

di Roberta Pedrotti

Il viaggio a Reims dell'Accademia Rossiniana completa il Festival autunnale 2020: un'appendice programmata pensando di poter compensare le limitazioni estive e che invece la seconda ondata pandemica ha costretto a trasferire solo su platee virtuali. Al di là di come lo streaming possa restituire pregi e difetti di ciascuno in una situazione estrema, quel che conta è il poter continuare a condividere un percorso di studio, approfondimento e perfezionamento, un lavoro che potremo poi ritrovare, speriamo al più presto possibile, nella sua naturale dimensione di fronte al pubblico.

PESARO, 26 e 28 novembre 2020 - Dopo il simbolo dell'immortalità di un capolavoro, Il barbiere di Siviglia, ecco quello della sua rinascita: Il viaggio a Reims, che dopo un prudente ritiro per ragioni politiche – essendo la celebrazione di un sovrano dal regno breve e non proprio felice – era riemerso con occasionali mascheramenti – le pagine rielaborate per Le comte Ory e un paio di rimaneggiamenti semiclandestini – ma dall'oblio era uscito solo nel 1984, grazie a Janet Johnson, Philip Gosset, Claudio Abbado, Luca Ronconi, la Fondazione Rossini e il Rof.

Da quando Alberto Zedda ne fece la palestra e la vetrina dei ragazzi dell'Accademia Rossiniana, nel 2001, Il viaggio a Reims è un simbolo di rinnovamento anche per le giovani generazioni di artisti.

Dopo averlo riproposto radunando alcuni ex allievi nel cartellone estivo, il Festival non ha rinunciato a dare spazio a nuovi interpreti, posticipando per ovvie ragioni audizioni e corsi in vista di due recite autunnali, entrambe in diretta streaming. Anche solo vedendo, comunque, alcuni ritorni dagli anni passati e solo due ruoli principali con doppio interprete, possiamo immaginare che le cose non siano state facili. Nulla è facile, soprattutto quest'anno, ma l'importante è lanciare un messaggio importante, che non è quello della consacrazione immediata di nuove stelle del canto. No, l'abbiamo ripetuto ogni estate anche in condizioni normali: in questo Viaggio a Reims vediamo solo una fase del lavoro di crescita e formazione di un cantante, c'è chi si impone subito all'attenzione e si avvia a una brillante carriera, chi magari colpisce a un primo impatto e poi non mantiene le promesse, chi, invece, passa in sordina ma poi trova modo di riscattarsi e farsi valere in questo o altro repertorio. Figuriamoci quando l'ascolto è mediato da microfoni, connessioni web, televisiori o computer. Non siamo qui a giudicare, nemmeno nella misura in cui potremmo esprimere valutazioni in teatro, ma siamo qui per partecipare a un importante saggio di lavoro musicale e teatrale collettivo.

È questo anche il motivo per cui è importante continuare a far musica se le condizioni di sicurezza lo permettono: perché anche il tempo sospeso della pandemia possa essere messo a frutto nello studio, nell'approfondimento, nel perfezionamento, nell'esercizio, come avviene con la preparazione e la messa in scena del Viaggio a Reims.

È questo il motivo per cui, viceversa, i concorsi di canto che si svolgano esclusivamente on line non hanno il minimo senso (a meno che il cantante non aspiri a una carriera da youtuber o da star di tiktok piuttosto che teatrale) e meglio varrebbe studiare e prepararsi per esperienze in presenza, ora o non appena possibile.

Ci siamo, a distanza, perché il lavoro degli cantanti, dell'orchestra, dei docenti, dei tecnici, di tutto il microcosmo del teatro (e di quel minimo di indotto che, in assenza di pubblico, riguarda almeno il vitto e l'alloggio degli artisti) merita la presenza anche virtuale del pubblico e della critica.

In questa distanza, in questa condizione filtrata di visione e ascolto, conforta il sempreverde allestimento di Emilio Sagi ripreso da Matteo Anselmi, commuove il ricordo della costumista Pepa Ojanguren, scomparsa quest'estate. E convince quel che s'intende della concertazione di Alessandro Cadario a capo dell'Orchestra Sinfoniza G. Rossini: l'articolazione è chiara e controllata, la morbidezza non manca di spirito rifuggendo frenesie esteriori in favore di un bell'equilibrio dinamico.

Le alternanze riguardano lo scambio dei mezzosoprani fra Melibea e Maddalena e l'alternanza di due Don Profondo. In generale si può notare come nella replica i risultati siano stati generalmente migliori, com'è logico tanto più considerando che un cast giovane può trovarsi in maggior difficoltà nel gestire una situazione atipica come la trasmissione in streaming in un teatro senza pubblico, quindi anche le possibili annotazioni devono tenere conto di più variabili (a proposito: se la situazione è così delicata con un ascolto omogeneo, pensate a quanto possa essere aleatorio il risultato di un concorso basato solo su files inviati da diverse persone!).

Fra i due mezzosoprani, Nutsa Kazaidze appare più scura e contraltile di timbro, Marta Pluda, più comoda in tessiture più acute, entrambe si destreggiano con buona musicalità, la seconda con il vantaggio della naturale comunicativa da madrelingua. Nondimeno efficaci, sul versante femminile, Patricia Calvache (Folleville) e Michela Guarrera (Madama Cortese), mentre Lara Lagni (Corinna) mostra qualche fragilità (attenzione all'appoggio!) che penalizza il suo potenziale. Ekaterina Sidorenko è Delia, Sophia Erznkyan Modestina. Per tenuta complessiva, come Don Profondo, forse si è preferito Askar Lashkin a Gianni Giuga. Il “veterano” Francisco Brito (allievo dell'Accademia nel 2006 e rivisto anche negli anni successivi al Rof) è un Belfiore saldo nella sua maggiore esperienza, mentre Matteo Roma (Libenskof già nel 2019, Belcore nell'estate 2020) può vantare una bella facilità in acuto, ma talora sembra farsi prendere dall'emozione. Lorenzo Grante e Alberto Bonifazio impersonano rispettivamente e con disinvoltura Trombonok e Don Alvaro, mentre non pare molto a suo agio come Lord Sidney Nicola Ciancio. Alan Starovoitov è Don Prudenzio, Christian Collia Don Luigino/Zefirino/Gelsomino, Stefano Marchisio, altro ritorno dalle precedenti edizioni, Antonio.

Naturalmente, quando un'Accademia propone un'opera così impegnativa in condizioni così estreme, men che mai la critica può prendersi altrimenti che come affettuoso consiglio. La speranza, anzi, è di ritrovarsi presto tutti a Teatro, con una parte piccola o grande a Pesaro come altrove, per potersi confrontare di persona, misurare l'emozione, il rapporto naturale con il pubblico, le scelte di repertorio, l'evoluzione della natura e della tecnica, per risentire sempre più messi a punto i pregi e ridimensionati i difetti che lo streaming ci restituisce ora. Non è il risultato di oggi che importa, è il lavoro di oggi, che darà, ne siamo certi, i suoi frutti domani, in un teatro pieno e finalmente festante.

Grazie Pesaro, arrivederci in carne ed ossa!


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