L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Tutto è silenzio, nessun qui sta...

di Roberta Pedrotti

Per l'inaugurazione di stagione "a porte chiuse", l'Opera di Roma non si scoraggia e inventa un Barbiere di Siviglia poetico e attuale, tradizionale e contemporaneo, divertente e commuovente, che sa raccontare la commedia e il mondo che la circonda mescolando il linguaggio televisivo e cinematografico con quello più schiettamente teatrale. Un grande omaggio all'opera e a chi la realizza sulla scena, in buca e dietro le quinte, con un cast assai ben assortito e la direzione di un Daniele Gatti in stato di grazia.

ROMA, 5 dicembre 2020 - “Tutto è silenzio, nessun qui sta...” canta Fiorello (Roberto Lorenzi) osservando il teatro dell'Opera di Roma deserto. Vuota la platea, vuoti i palchi e le gallerie. Lui e il coro, a debita distanza, possono sfilarsi le mascherine, i personaggi possono prender vita con i costumi classicissimi – e belli assai – di Anna Biagiotti. Ma il dipanarsi della più perfetta e archetipica delle commedie in musica, reale in sé, si incapsula in diversi piani di realtà, si intreccia all'esplorazione di diversi luoghi del teatro, esplorando i palchi, i corridoi, le quinte, al disvelamento dell'intervento dei tecnici rumoristi, delle sarte alacri nel cambiare i costumi a vista. Si iscrive e si intreccia nella realtà, con un uso delle mascherine che è insieme necessario, rispettoso (specie nel mostrare i lavoratori dietro le quinte in tenuta anti contagio) e teatralmente funzionale (riusciamo a riderne quando a Don Basilio si attribuisce la scarlattina e tutti la indossano mentre Daniele Gatti dal podio controlla la temperatura di Alex Esposito con un termoscanner), con una strepitosa corsa in moto per le strade di Roma durante “Largo al factotum”, con Daniele Gatti a scarrozzare il baritono Andrzej Filończyk verso il Costanzi prima di assistere alla sua vestizione e al suo ingresso nei panni di Figaro.

Mario Martone unisce le sue qualità di uomo di teatro e di cinema per realizzare un Barbiere di Siviglia dinamico, teatralissimo e pure televisivo, scaltro nell'uso dello spazio e delle inquadrature, ricco di riferimenti e citazioni che non si appesantiscono mai, esaltano l'essenza dell'opera e la mantengono in relazione con l'attualità. Ci si commuove quando Fiorello canta quel “Tutto è silenzio, nessun qui sta...”, ma ancor più quando sull'attacco di “Mi par d'esser con la testa” appaiono filmati di decenni di aperture di stagione lirica a Roma. Anche questa è un'inaugurazione, un'inaugurazione che si reinventa, interpreta l'attualità, sfrutta al meglio i mezzi a disposizione, ma guarda al teatro, alla festa del ritrovarsi, magari accalcarsi nei foyer, di incontrarsi, applaudire. Come ogni oggetto scenico, anche qui tutto può avere più identità e funzioni: la casa di Don Bartolo è un'immensa ragnatela, cavi tesi da un capo all'altro della sala delineano lo spazio da cui Rosina deve fuggire per coronare il suo amore con Almaviva. Ma quelle corde che legano la pupilla di Don Bartolo legano anche il teatro, sono l'incubo del 2020 che, simbolicamente, alla fine si tranciano con cesoie e si tramutano in stelle filanti. Non c'è bisogno di forzare le regole per dire che l'arte è libertà, bastano un simbolo e un pensiero. Si possono e si devono indossare occhiali e mascherine, anzi: la sicurezza è libertà e se ora essere sicuri è più difficile può sorgere lo stimolo creativo per superare la tragedia. I sacrifici di ora sono passi verso la fine delle limitazioni, ma, soprattutto, la libertà intellettuale, la cultura, l'arte, la musica, il teatro sono valori che superano ogni rinuncia materiale temporanea e necessaria.

Uno spettacolo come questo di Martone ci dice come anche dal dolore e dalle costrizioni l'ingegno può librarsi e rinnovare l'arte, come un capolavoro eterno, in questo caso Il barbiere di Siviglia, non cessi di rivelarsi, dare un senso alla vita, ai sacrifici, all'essere umani.

Sempre in mascherina, tranne che per un istante nel togliersi il casco da motociclista, Daniele Gatti è il concertatore sensibile che firma forse il suo miglior Rossini degli ultimi vent'anni (per quel che è dato sentire dalla tv e per la mia esperienza personale). Mai un'ombra di meccanicità, mai un artificio, un personalismo fine a se stesso, mai uno stacco di tempo o una scelta dinamica che non appaia semrpe perfettamente funzionale al discorso complessivo e in rapporto stretto con la dimensione teatrale e drammaturgica. Il suo è un gesto affettuoso, che sembra coccolare la partitura, tanto da riuscire ancora a stupirci con la bellezza di pagine arcinote e abusate. Non teme tempi un po' più rilassati, se l'azione, le distanze, il dinamismo interno li possono animare, e pure sa guizzare agile e repentino come nello scatto della stretta del finale primo, non frenetica ma certo inebriante nello scrollarsi di dosso la stasi di “Freddo ed immobile”.

Il gioco di squadra, con queste premesse, è servito e coinvolge tutti, dall'omino bardato di tutto punto che spruzza i soprabiti di Figaro e Almaviva dopo il temporale (ricordate i secchi in cui si inzuppavano i piedi Alberto, Parmenione e Martino nell'Occasione fa il ladro di Ponnelle?) a tutti i cantanti. Alessandro Corbelli, more solito, giganteggia per la mimica, l'arte sopraffina del gesto, dello sguardo, della minima inflessione della parola. Non si intende mai il confine fra l'attore magnifico e il musicista eccelso, ma, d'altra parte, tale confine non dovrebbe nemmeno esistere nel cantante d'opera, figuriamoci per un fuoriclasse come Corbelli, che delinea un Bartolo bieco ficcante e mai caricato. Irresistibile anche quando Martone lo fa insinuare in cabina di regia durante il temporale per interrompere la fuga degli innamorati. Alex Esposito, da parte sua, è un Don Basilio liberato da ogni incrostazione macchiettistica: è un opportunista, senz'altro, ma con dignità e una sua arguzia, come traspare dal portamento, dal gioco attoriale finissimo e dal canto elegante, tornito, intelligente. Filończyk, appena ventiseienne, è un bel Figaro comunicativo, fresco, sulfureo quel tanto che basta, sempre a fuoco vocalmente; speriamo davvero che possa mutare queste belle promesse in conferme future. La sua coetanea Vasilisa Berzhanskaya ha carattere e musicalità ben affinata: la voce ha un colore particolare, che non cerca l'omogeneità e pare coniugare diverse anime. La sua Rosina riflessiva e determinata – Martone ce la mostra spartiti in mano, ma anche intenta nella lettura della Corinna di Madame de Stael – convince e auguriamo anche a lei un radioso avvenire. Chi, seppur poco più che trentenne, sta già offrendo belle soddisfazioni è Ruzil Gatin: formatosi a Pesaro fra Accademia e gavetta, ribadisce la bella tecnica, il timbro limpido e accattivante, la facilità nelle tessiture acute da autentico tenore di grazia, ma dimostra anche una continua crescita come interprete. Peccato che gli sia stato tagliato “Cessa di più resistere”, ma è saggio anche procedere per gradi: siamo certi che verrà il momento e sarà quello giusto. Il già citato Roberto Lorenzi è ormai un Fiorello di lusso come si confà a una produzione di questa importanza anche simbolica; Patrizia Bicciré torna a offrire la sua collaudatissima e sempre raffinata Berta. Paolo Musio è Ambrogio, Pietro Faiella il notaro, muto ma intenso. Sparso sul palco per la serenata, distribuito nei palchi a circondare militarmente la casa di Don Bartolo o coinvolto con il cast a “rompere le catene” il coro preparato da Roberto Gabbiani dà bella prova di sé, così come l'orchestra dell'Opera di Roma e i maestri al continuo (cembalo Antonio Maria Pergolizzi e violoncello Andrea Noferini com'è giusto che sia). Alla fine non sentiamo nemmeno troppo il peso della distanza, perché non è il silenzio a seguire le ultime note e accompagnare i titoli di conda, ma il brusio e il chiacchiericcio dei camerini, la vita del teatro che resiste e ci prepariamo a ritrovare.

Una splendida esecuzione. Un grande spettacolo. Una prova d'amore per il teatro in tutte le sue componenti, una commedia che diverte e commuove. I tempi di crisi e difficoltà possono anche stimolarci a cercare nuove strade e risorse, a dare il meglio di noi. Durante le guerre ci si ingegnava per mettere in scena l'opera nonostante i bombardamenti, durante la pandemia ci si ingegna per portarla là dove il virus non può colpire: la testimonianza più preziosa della forza dell'arte e dello spirito per il tempo che verrà.

Da non perdere la replica su Rai5 la sera del 31 dicembre. E chi si lamenta di non poter uscire con un Barbiere così in casa?


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