L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Bellezza classica, confusione rara

di Irina Sorokina

Convince Otello al Teatro Accademico Musicale K. S. Stanislavsky e V. I. Nemirovich-Danchenko di Mosca con il baritono Arsen Sogomonyan recentemente passato al registro tenorile, Hibla Gerzmava, splendida Desdemona, e Anton Zaraev, Jago di grandi qualità. Lo spettacolo di Andrey Konchalovsky si basa su un impianto classico di grande impatto, con un imprevisto cambiamento negli ultimi due atti.

Mosca, Otello, 2 febbraio 2020 - “Esultate!” – iniziamo così il nostro resoconto dell’Otello moscovita che è apparso alcuni mesi fa al Teatro Accademico Musicale K. S. Stanislavsky e V. I. Nemirovich-Danchenko, il secondo teatro dell’opera della capitale russa. Non capita di esultare spesso, per una ragione molto chiara: è difficile, difficilissimo “beccare” il capolavoro del tardo Verdi in teatro. Motivi? Prima di tutto, la difficoltà di trovare un tenore adatto a interpretare il ruolo del titolo. Si ricorda l'Otello dei tempi d’oro del Bol’šoj (première nel 1978), con Vladimir Atlantov nel ruolo del protagonista, Otello in Arena di Verona, ormai più di vent’anni fa, sempre con Atlantov, Otello al Teatro Stanislavsky con Vjacheslav Osipov nel ruolo del titolo, nel 1996, Otello prodotto al Teatro La Fenice di Venezia visto al Filarmonico di Verona due anni fa. Di questi quattro Otello chi scrive ne ha visti tre, ad eccezione della produzione moscovita con Osipov, venuto prematuramente a mancare.

Visto che Otello in questione appare sempre al Teatro Stanislavsky viene a pensare che il titolo verdiano sia in un certo senso ad esso familiare e di questo fatto si può solo gioire, o, addirittura, esultare. E sono fortunati quegli spettatori che l’hanno visto o stanno per vederlo, gioiranno o esulteranno di sicuro. Questo Otello ha tutte le carte in regola per far emozionare e riflettere: sulla locandina c’è il nome del celebre regista cinematografico Andrey Konchalovsky, diventato classico in vita.

Compie un buon lavoro, bello e cesellato, il maestro (a proposito, aveva studiato musica e quindi ha qualche marcia in più quando ha a che fare con la Signora Opera). Cerca, prima di tutto, di non danneggiare né offendere l’originale verdiano e struttura ogni scena nel modo saggio, profondo e spettacolare. Impressionante la scena della tempesta, dove le onde scatenate vengono proietta su pannelli e il lavoro dettagliato sui movimenti scenici con una grandissima quantità dei coristi e mimi crea nello spettatore un effetto coinvolgente.

Mai vista una tale bellezza visiva in un Otello. Lo spettacolo del Teatro Stanislavsky è davvero eccezionale, un trionfo dei colori, forme, tessuti di lusso, accessori eleganti, tutto dovuto alla scene e costumi del britannico Matt Dili e del russo Dmitry Andreev. Il secondo atto ci rende partecipi di un saluto commuovente dei ciprioti a Desdemona. Chi ha visitato la Cipro del Nord riconosce addirittura la linea delle montagne che circondano Famagosta dove per poco governò lo storico Otello, i pannelli si girano scoprendo i giardini degli agrumi con frutti dai colori sgargianti; gli abiti dal taglio rinascimentale e dai colori brillanti sono la gioia per gli occhi.

Nel ruolo del titolo troviamo… un baritono, Arsen Sogomonyan, appunto, che fino a poco tempo fa vantava una lunga lista di parti baritonali e solo da qualche mese ha deciso di passare al repertorio del tenore drammatico. Abbiamo dei dubbi legittimi di fronte a questa scelta, tuttavia anche un Otello storico come Ramon Vinay immortalato in disco sotto la direzione di Arturo Toscanini, destava dubbi: la voce fu decisamente scura e non si distingueva per un buon squillo che gli ascoltatori avrebbero particolarmente gradito. Anche il tenore lettone Kristian Benedikt ascoltato al Teatro Filarmonico di Verona esattamente due anni fa, a febbraio del 2018, non aveva brillato per la bellezza del timbro.

Arsen Sogomonyan esce vincitore da questa difficilissima battaglia. Se alcuni, crediamo molti, avevano nostalgia del personaggio di Otello, sono rimasti decisamente soddisfatti. La forte personalità del baritenore Sogomonyan – chiamiamolo così - gli permette di calarsi perfettamente nei panni del Moro veneziano, in tutta la complessità del suo carattere: condottiero glorioso, uomo di giustizia, innamorato focoso, marito devoto che, purtroppo, soffre di un’eccessiva fiducia nell’umanità che lo fa cadere facilmente nella ragnatela tessuta da Jago. Sottolinea parecchio l’età e stanchezza di Otello, canta spesso seduto, fatto, forse dovuto alla sua enorme stazza. Non sfoggia un bel timbro, la voce risulta piuttosto anonima, ma sfrutta brillantemente le sue qualità d’interprete. Dimostra una perfetta comprensione dello stile del tardo Verdi, gioca sapientemente su chiaroscuri ed espressività della parola. La voce suona affaticata nell’”Ora e per sempre addio”, mantenendo però sempre il necessario spirito eroico, e i veri capolavori risultano “Dio, mi potevi scagliar” per il dolore insopportabile, perfettamente trasmesso, e “Niun mi tema” per l’avvolgente freddo mortale.

La stella indiscussa del Teatro Stanislavsky, Hibla Gerzmava, forma una coppia perfetta con Sogomonyan. Verdi parlò degli angeli shakespeariani che risultano così veritieri, e la Gerzmava disegna proprio uno di questi angeli. Non risulta, per fortuna, edulcorata; la nobile veneziana è dotata dal carattere forte, deciso e dimostra una grande voglia di vivere. Riteniamo che sia tra le migliori Desdemone del giorno d’oggi, è dotata di una voce chiara dal timbro lucente e gioioso, vanta un’assoluta omogeneità dei registri, sfoggia un legato incantevole, non sa cosa sia lo sforzo e, soprattutto, è attentissima alla parola cantata. Sono raffinati i colori e impeccabili i chiaroscuri nella Canzone del salice e nell'Ave Maria.

E’ formidabile lo Jago del giovane Anton Zaraev in possesso di uno strumento di lusso, possente e dai colori bellissimi. Si cala senza difficoltà nei panni del “cattivo” per eccellenza, seguendo il concetto di Verdi: il suo Jago desta una certa simpatia, recita benissimo la parte di un bravo ragazzo, bonaccione e piacevolmente rilassato. Tutto questo, però, è una facciata costruita con un’intelligenza diabolica. Canta il Brindisi con una grande sicurezza, insiste sulla velocità sostenuta e mostra il suo aspetto diabolico nel celebre Credo, dove raggiunge alte vette d’interpretazione. La voce, senza un minimo sforzo, vola liberamente, il timbro è virile e rotondo e il declamato è un’opera arte.

Vladimir Dmitruk è un ottimo Cassio, onesto, poco furbo e amante del gentil sesso. E’ un grande piacere ascoltare la sua voce di tenore, chiara e squillante, che non conosce difficoltà tecniche. Larissa Andreeva è un’ottima Emilia, piena di dignità e compassione.

I comprimari, Kirill Zolochevsky - Roderigo, Roman Ulybin – Lodovico, Maxim Osokin – Montano, Vacheslav Kirilyuk – un araldo, formano una squadra di lusso che si distingue per il canto adeguato e la recitazione perfetta.

Felix Korobov, alla guida dei complessi del Teatro Musicale K.S. Stanislavsky e V.I. Nemirovich-Danchenko, rivela forza impressionate e energia quasi incontrollabile, adottando spesso tempi stretti che rischiano a compromettere la sintonia tra l’orchestra e coro; tuttavia, non si arriva mai a un vero disastro. Tratta con amore tanti gruppi strumentali ricavando suoni di miele dai violoncelli che introducono il duetto d’amore del primo atto, e abbaglianti dalle trombe nel terzo. Nel programma di sala sono elencati strumentisti come Natalya Kislitsyna al violoncello e Valery Lopatin al corno inglese: meritano pienamente questo onore che, in realtà, è una cosa a loro dovuta.

Non per nulla abbiamo interrotto il discorso sulla regia iniziato prima. Sul sito del teatro si può leggere le dichiarazioni di Andrey Konchalovsky: “Il ruolo di regista dell’opera richiede l’umiltà. Il mio compito è, prima di tutto, di non togliere la musica all’ascoltatore. L’arte dell’opera esiste per la musica, soprattutto, quando si tratta della messa in scena di un’opera di un grande compositore. Il ruolo principale sulla scena appartiene agli interpreti musicali, direttore d’orchestra e cantanti. Loro definiscono il movimento degli elementi musicali ed essa porta gli ascoltatori e non gli spettatori, all’estasi. La cosa principale nella regia lirica è un tentativo di creare l’armonia estetica tra la parte visiva e quella ascoltata”.

Tali dichiarazioni hanno fatto credere che il grande regista del cinema avrebbe proposto al Teatro Stanislavsky un Otello classico o tradizionale. E, infatti, i primi due atti portano a riflessioni sul significato di classico e tradizionale. Secondo il nostro parere, la sua produzione dimostra l’appartenenza alla prima categoria, rivelando bellezza e stile narrativo che sono destinati di non perdere valore nel tempo. Ma solo fino al momento in cui nel terzo atto Otello, Jago, Cassio, Montano, Lodovico e gli ambasciatori veneziani non buttano sul palcoscenico gli abiti lussuosi dal taglio rinascimentale che attestano la loro appartenenza alla Serenissima e appaiono in uniforme dell’epoca fascista. Dietro di loro sorge il gigantesco busto del Duce.

Cosa intende dire Andrey Konchalovsky? Allude a una certa somiglianza tra Otello e Benito Mussolini? Perché impone alla testa del Duce, testimone dell’orribile omicidio, di girarsi dall’altra parte e mostrare allo spettatore la potente nuca del dittatore? Allude a una presa di distanza del tiranno dal condottiero ormai impazzito? Non troviamo la spiegazione a questo finale, ma ammettiamo che è di un grande effetto.

Bellezza classica, confusione rara: il nuovo Otello moscovita fa e farà parlare di sè.


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