Opera ballo per eccellenza

di Irina Sorokina

Si alternano i cast per Aida in forma scenica all'Arena e si confermano l'eccezionalità di alcuni interpreti (su tutti, Angela Meade protagonista) e la debolezza della direzione di Diego Matheuz. Al fascino delle proiezioni in collaborazione con il Museo Egizio di Torino si contrappogono alcune scelte teatrali non altrettanto efficaci.

Verona, Aida, 19/06/2021

Verona, Aida, 22/06/2021

Verona, Cavalleria rusticana / Pagliacci, 25/06/2021

Verona, Aida, 26/06/2021

Verona, 1 luglio 2021 - Giuseppe Verdi e Marius Petipa hanno molto in comune. Il grande compositore italiano e il creatore di celeberrimi balletti di repertorio nacquero rispettivamente nel 1813 e 1818 e morirono nel 1901 e 1910, entrambe vite molto lunghe per l’epoca. Verdi parmigiano, Petipa marsigliese: in fin dei conti la pianura padana e la città portuale francese non sono molto lontane una dall’altra. Entrambi furono le figure più importanti del loro tempo nell’ambito del teatro musicale, il primo compositore, il secondo ballerino e coreografo. Ovviamente, ci sono differenze importantissime: Verdi di origini contadine, devoto alla propria terra d’origine, uno dei simboli del Risorgimento, Petipa membro di una famiglia di ballerini girovaghi, approdato nella capitale russa al servizio del ministero della corte, di cui faceva parte la direzione dei teatri imperiali, e alla fine diventato un vero cortigiano gradito allo zar Alessandro Terzo. Gli zar e i nobili russi amavano tantissimo il balletto e in una foto celebre il vecchio Petipa in frac e pluridecorato non è diverso dai direttori dei teatri imperiali.

Non ci sono notizie che si sianomai conosciuti, anche se nella vita di Verdi ci fu una parentesi russa: per il Teatro dell’Opera Italiana di San Pietroburgo creò nel 1862 La forza del destino, aspramente criticata dalla nascente scuola di operisti russi. Nella Forza ci furono gli episodi ballabili, in cui, sicuramente furono impiegati i danzatori del Teatro Mariinsky.

Ma ci sono somiglianze ben più importanti. Consultando l’elenco de balletti del Petipa maturo si realizza facilmente che ognuno di loro nacque come risposta in forma coreografica agli eventi politici più importanti d’epoca. Il balletto imperiale russo che agli occhi dei profani può apparire come un fenomeno arcaico, divertimento per funzionari e aristocratici a sfondo erotico, in realtà seguì attentamente le mode e le tendenze del secondo Ottocento: La fille du pharaon (1862) nacque in occasione dell’inizio dei lavori di costruzione del canale di Suez; la guerra in Spagna stimolò la nascita di Don Quisciotte (1869, 1871); La Bayadère (1877), ora tra i più popolari balletti del repertorio, fu la risposta all’interesse della società russa verso l’India, allora sotto il dominio inglese; Roxane, la beautè du Montenegro (1878) fu ambientata nel paese balcanico e cantava la gloria al popolo montenegrino che corse ad aiutare i fratelli slavi in rivolta; La Fille de neige (1879) fu l’eco della spedizione artica di Nils Nordenskjold.

Aida, composta nel 1871, cronologicamente si trova esattamente tra due balletti di Petipa, La Fille du pharaon e La Bayadère, entrambi ambientati nei paesi esotici. Un dettaglio storico parla da sé: La Fille du pharaon e Aida entrambe “egiziane”, furono legate alle opere grandiose intraprese in Egitto in quegli anni: la prima alla costruzione del canale di Suez, la seconda all'apertura di un teatro d'opera che era stato inaugurato con Rigoletto e ambiva ad sopitare una prima assoluta di prestigio. Ci sono parecchie somiglianze con La Bayadère: la rivalità di due donne, di cui una potente, nell’amore per un valoroso guerriero; il secondo atto della Bayadère presenta un ricco divertissment e nello stesso atto dell’Aida sono inseriti bellissimi ballabil; nel finale del balletto il tempio crolla seppellendo sotto le rovne tutti i colpevoli della morte di Nikiya, tra cui il guerriero Solor, e gli innamorati si uniscono nell’aldilà, e in un certo senso si uniscono nell’aldilà anche Aida e Radames.

Ma La fille du pharaon e La Bayadère somigliano all’Aida anche dal punto di vista teatrale. Entrambi i balletti appartengono al genere di grand spectacle che sostituì nel secondo Ottocento gli snelli e molto più brevi balletti romantici. Il grand spectacle affermatosi nei teatri imperiali, generosamente finanziati dal Ministero della corte dell’Impero Russo, si sviluppava lentamente, attraverso una serie di scene ballabili e pantomimiche, prevedeva le scenografie lussuose e gli effetti speciali, senza parlare dei costumi fatti dei tessuti preziosi e con l’impiego di fili d’oro, pietre preziose e merletti. Anche l’Aida verdiana, scritta su commissione del Kedivé Ismail Pascià per il suo teatro d’opera al Cairo, fu un grand spectacle per il quale le autorità egiziane non badarono a spese (solo l’onorario di Verdi fu centocinquantamila franchi corrispondenti a quindici milioni di euro d’oggi).

Perché questa escursione nella storia del teatro musicale del secondo Ottocento? Ma perché “esistono ravvicinamenti strani” come disse il sommo poeta russo Aleksandr Puškin e perché alcune idee furono nell’aria unendo paesi geograficamente non proprio vicini uno all’altro, come l’Italia e la Russia. Ma c’è un altro perché. Il nuovo allestimento dell’Aida andato in scena in Arena di Verona nel secondo anno segnato dalla presenza nella nostra vita del Covid-19 sembra somigliante al grande spectacle ottocentesco, senza, ovviamente, l’impiego dei mezzi così enormi che furono a disposizione della corte dello zar.

Dopo Cavalleria rusticana e Pagliacci ci stiamo abituando alle scenografie digitali, alla grandiosa ledwall di quattrocento metri quadri che abbraccia il palcoscenico con proiezioni delle immagini legate alla storia rappresentata (video design e scenografie digitali D-WOK). Nel caso di Aida la veste scenografica è creata in collaborazione col Museo Egizio di Torino e all’ingresso nella grande sala all’aperto si osservano con piacere i volti egizi dai grandi occhi e i colori oro, nero e azzurro. Queste bellissime immagini proiettate sulla ledwall potrebbero bastare, secondo il nostro parere, e avrebbero lasciato più spazio per l'azione. Tuttavia, la direzione artistica collettiva - non ci sono nomi di scenografo, regista e coreografo sulla locandina - ha optato anche per degli elementi scenici piuttosto grigi e anonimi. Ed ecco che i praticabili amati da Petipa hanno fatto capolino in Arena di Verona, ricordano gli Hymalaya dalle quale scendevano le ombre nella Bayadère o lo scoglio nella Fille du pharaon dove passeggiava un fiero leone intrepretato da una comparsa inesperta e impaurita che, dovendosi buttarsi giù, fece il segno della croce. Nell’Aida dei tempi del Covid-19i pochi elementi scenici presenti in ogni allestimento, dalle forme geometriche semplici e dai colori grigio e marrone, somiglianti al gioco del Lego, risultano piuttosto banali. Alle comparse non rimane altro che marciare in fila o stare ferme osservando le norme del distanziamento sociale ed è penalizzato anche il balletto (prima ballerina Eleana Andreuoli) che ha poco spazio ed è obbligato alle stesse norme. Le nuove coreografie fanno rimpiangere parecchio quelle “vecchie” di Susanna Egri.

La recita del primo luglio ha brillato grazie a un cast sotto molti aspetti strepitoso capitanato dal soprano Angela Meade nel ruolo del titolo, che può essere considerata la miglior Aida veronese ascoltata negli ultimi trent’anni. È dotata di uno strumento davvero eccezionale, sono pochi al mondo a cui la natura fa un dono così generoso. Fare dei paragoni non sempre porta i buoni frutti, ma viene a ricordare spontaneamente le parole del Toscanini della voce di Renata Tebaldi citate nel libro di Giuseppe Valdengo Cantai con Toscanini: “Una voce paradisiaca, una di quelle che penetrano nell’anima, voce pulita, splendente. Quando canta la Tebaldi, tutto si schiarisce come se apparisse il sole, e si sente il profumo della primavera” Abbiamo citato queste parole non per paragonare la voce della Meade a quella della Tebaldi, ma solo per descrivere le sensazioni che nascono ascoltando la voce del celebre soprano dei nostri giorni. Bellezza incomparabile del timbro e, poi, morbidezza e dolcezza, omogeneità e lucentezza, e ancora non basta. Pronuncia chiara, linea del canto impeccabile, espressività notevole. Angela Meade ci porta nel paradiso e le siamo molto grati. Riesce anche a creare un personaggio molto credibile, senza alcuna sfumatura melodrammatica. Il monologo finale del primo atto, come la romanza del Nilo potrebbero servire da manuale di canto.

Per fortuna, viene affiancata da Anna Maria Chiuri, Amneris di tutto il rispetto e anche di più. La Chiuri - in possesso di una voce ben timbrata, dai riflessi contraltili, morbida e equilibrata - dà un’autentica lezione di come si deve cantare la parte della principessa egizia. Trasmette la grandezza e una certa superbia, il trasporto e il tormento amorosi, l’ira contro l’ingiustizia e, alla fine, la rassegnazione. Coglie bene la sostanza del personaggio, una donna a cui la vita donò tutto, ma destinata di perdere più di tutti. La Chiuri è anche un’ottima attrice, si muove bene, senza mai accorrere ad una gesticolazione melodrammatica, e per questa risulta credibile e desta compassione sincera da parte di chi la guarda e ascolta. Una grande interpretazione.

Come spesso succede, l’artista che sul palcoscenico è l’oggetto della passione amorosa di due donne importanti non è all’altezza delle aspettative. Non fa eccezione il tenore Jorge de Leòn nei panni di Radames. È ancora aitante, sfoggia ancora squillo, tuttavia, più si va avanti più la voce risulta affaticata e indurita, per arrivare all’ultimo atto in stato preoccupante. In "Celeste Aida" possiamo goderci di una buona linea del canto, ma il perfido si bemolle finale accenna ai problemi che nel corso della recita si aggravano.

Simone Piazzola è un grande Amonasro dalla voce ben educata e versatile. Con una vocalità simile, non ha bisogno di ricorrere a forzature e “rovinarsi le unghie”, usando la colorita espressione della lingua russa. Troviamo il suo Amonasro in un perfetto equilibrio tra la grandezza umana, l’intraprendenza, l’indomabilità pronti a scivolare verso l’ignobile inganno. Quello di Piazzola è un canto nobile, senza esagerazioni né urli, mai sopra le righe.

Ottimi i due bassi che non si perdono tra i superlativi interpreti di quest’Aida (notiamo tra parentesi che entrambi sono stranieri). Simon Lim e Rafal Siwek sono in possesso delle belle voci, di un’ottima scuola e della notevoli capacità di stare in scena e possono essere paragonati alle pietre preziose che circondano i diamanti in centro di una corona.

Carlo Bosi è un messaggero sicuro e eroico dalla dizione limpida e Yao Bohui una sacerdotessa corretta dalla voce con la sfumatura melanconica.

Il cast superlativo capita però, nelle mani del direttore d’orchestra in evidenti difficoltà di gestire tutta la grande armata composta da solisti, comprimari, coristi, ballerini e figuranti, necessari per Aida in Arena – e sono molto meno delle messe in scena nei decenni precedenti. Diego Matheuz fa l’impressione di non aver un polso sufficientemente autorevole per tenere insieme tutti gli artisti e sono stati molti i momenti in cui “la piramide” musicale, se così si può dire, è sul bordo del precipizio. Ci sarebbe voluto un direttore ben più energico e “duro” (naturalmente viene in mente il nome di Daniel Oren, il più “areniano” dei maestri); se non si è in possesso della durezza e un po’ di “cattiveria” e slancio, il compito di dirigere Aida negli spazi areniani diventa pressappoco impossibile e si riduce al battere il tempo.

La seconda recita della nuova Aida bella è stata comunque emozionante, con ovazioni ai cantanti. Per questa stagione inedita al segno di superamento di numerose difficoltà, l’Aida dallo spirito arcaico e dalle tinte modeste risulta imperfetta, ma accettabile. Tuttavia se qualcuno è devoto a un’Aida all’antica, la rievocazione dell’allestimento del 1913 supera alla grande la messa in scena attuale per quanto riguarda l’armonia e l’eleganza. Supponiamo che nonostante tante Aide apparse negli ultimi trent’anni in Arena di Verona - tra cui quella “geometrica” in cobalto e argento di Pier Luigi Pizzi (1999), quella sovraffollata, tutta in oro di Franco Zeffirelli (2002), un infelice spettacolo di Giampiero Solari con le scene di Sergio Tramonti che sembrava di essere ambientata in un parco a tema per bambini (2007) e quella futuristica del gruppo teatrale catalano La Fura dels Baus (2013) - l’Aida creata con l’uso dei bozzetti di Ettore Fagiuoli e messa in scena da Gianfranco De Bosio continuerà ad essere rappresentata e ammirata da un vasto pubblico.