L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Schönberg nella terra di Puccini

di Luca Fialdini

All’interno del Festival Puccini di Torre del Lago prosegue il progetto firmato da Giorgio Battistelli Puccini la musica e il mondo, che porta dopo lunga assenza nell’alta Toscana il Pierrot Lunaire

TORRE DEL LAGO (LU) 10 agosto 2021 - Nella sua seconda stagione da direttore artistico, Giorgio Battistelli inizia a introdurre in cartellone alcune novità di grande interesse e poco in linea con il passato recente del Festival pucciniano, motivo in più per apprezzarle. L’evento che in questo senso attira di più l’attenzione è senza dubbio il Pierrot lunaire di Arnold Schönberg. L’invito desta curiosità e lo Spazio panchina rossa accoglie un pubblico sorprendentemente folto: ormai non ci si dovrebbe stupire dato che Schönberg appartiene al gruppo dei classici, ma per il pubblico italiano - specie se di provincia - tutto quel che viene dopo il 1880 e che non sia opera è «pianta fuori stagione».

La cornice è offerta dal progetto Puccini la musica e il mondo, l’espediente elaborato da Battistelli per includere nella programmazione del festival anche lavori di altri compositori. Il trait d’union, in questo caso è duplice perché oltre alla reciproca conoscenza (per lo meno attraverso le opere) tra Schönberg e Puccini, esiste anche l’aneddoto sul viaggio compiuto da quest’ultimo proprio per andare ad ascoltare il Pierrot lunaire. Ma in Pierrot c’è più di un aneddoto che aiuta a contestualizzare; come sottolineato da Marco Angius nell’ introduzione al concerto, la partitura costituisce un punto di svolta nella storia della musica perché «esiste un prima e dopo Pierrot». L’importanza di un’opera si misura soprattutto in virtù di quanti abbiano dovuto confrontarsi con essa e delle conseguenze da essa generate: Pierrot ebbe conseguenze a dir poco immediate, basti pensare alle Trois poésies de la lyrique japonaise di Stravinskij o ai Trois poèmes de Stéphane Mallarmé di Ravel, non nati sulla scia del lavoro di Schoenberg ma di certo fortemente influenzati.

Per l’esecutore, l’approccio a un titolo del genere è abbastanza spinoso e tutto si gioca su diversi equilibri: ora tra i singoli strumenti, ora tra i gruppi che sporadicamente nascono e si disfano nella partitura, ora tra strumenti e voce. Fin dall’attacco di Mondestrunken si intuisce la chiarezza della direzione di Angius, che unisce una nitida visione della musica di Schoenberg a precisione nel gesto tali da rendere il tutto assai più fruibile anche al pubblico. Dal canto suo l’Ensemble Giorgio Bernasconi dell’Accademia del Teatro alla Scala risponde in modo eccellente alle indicazioni del direttore; i sei esecutori (curiosamente ci sono due esecutori per violino e viola) affrontano questa pagina tutt’altro che facile visibilmente con gusto. Calibratissimi i colori degli gli interventi e ottimo il profilo ritmico, incisivo e pulito.

Assolutamente maiuscola la prova del soprano Livia Rado, che si fregia di uno strepitoso Sprechgesang. Da una parte è molto interessante il modo della Rado di affrontare la parte anche con una serie di artifici ben riusciti (uno su tutti l’uso delle false corde), dall’altra è sorprendente il suo rapportarsi con l’ensemble in continua evoluzione: prima ne emerge nettamente, poi ne sembra quasi un elemento estraneo, infine si immerge completamente nelle linee degli strumenti. Era da diverso tempo che non si assisteva a un Pierrot tanto elegante e di questa intelligenza.

C’è da augurarsi che il progetto prosegua nel suo percorso e, perché no, con il tempo riesca ad acquisire maggior respiro.


 

 

 
 
 

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