L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Nella notte areniana, un delirio

di Irina Sorokina

Grande, meritato successo per il galà che ha visto Jonas Kaufmann debuttare all'Arena di Verona al fianco di Martina Serafin. Tuttavia, i grandi pregi dell'artista lasciano sempre spazio a qualche legittima discussione.

Verona, 17 agosto 2021 - Qualcuno si meraviglierà leggendo il titolo del nostro reportage. Poche ore sono passate dal momento della conclusione dell'evento più attraente delle ultime settimane dell’inedita, ma efficace stagione dell’Arena di Verona: Jonas Kaufmann Gala Event (così suona il suo nome esatto). Tutto esaurito ovviamente. L’acclamato tenore bavarese, al debutto in Arena, affiancato dal soprano austriaco Martina Serafin e accompagnato dall’orchestra della Fondazione veronese guidata da Jochen Rieder ha letteralmente stregato gli spettatori che continuavano a premiarlo con applausi generosi, indugiavano nel lasciare l’anfiteatro, discutevano e gesticolavano.

Il nutrito programma conteneva brani celebri del repertorio tedesco (Lohengrin e Die Walküre) e italiano (La forza del destino, Macbeth, Manon Lescaut, Andrea Chénier). La quantità di brani italiano ha superato alla grande quella dei tedeschi, scelta comprensibile. Siamo in Italia e in Arena viene un pubblico più vasto, desideroso di belle melodie segnate da passione sfrenata. E così è stato.

Un programma ben costruito e un inizio non alla grande, ma c’era da aspettarselo. L’orchestra areniana non vanta una frequentazione sufficiente del repertorio wagneriano e i due brani d’apertura, preludi del terzo atto di Lohengrin e di Die Walküre, hanno rivelato non poche difficoltà, tra cui l’insicurezza generale e il mancato equilibrio tra i gruppi di strumenti, nonostante la direzione sapiente e raffinata di Jochen Rieder. Jonas Kaufmann ha fatto il suo ingresso accompagnato dall’entusiasmo del pubblico; lui e Martina Serafin hanno eseguito scena terza e finale del primo atto di Die Walküre. Poco ha importato il fatto che fosse un'esecuzione in forma di concerto, i due cantanti sono calati perfettamente nei panni di Siegmund e Sieglinde, confermando la loro grande reputazione di interpreti wagneriani. Il tenore si è distinto per la lucentezza e la morbidezza del suono, per la dizione nitida e il controllo dei fiati impeccabile senza parlare del fraseggio in cui, sembra, ha raggiunto le altre vette. Non è stata da meno Martina Serafin, una partner attenta, dalla voce solare e sensuale.

Appena il terreno pericoloso dell’opera wagneriana è stato abbandonato, tutto è cambiato in meglio. Finalmente al proprio agio, l’orchestra della Fondazione Arena è sembrata un’altra, eppure i professori erano gli stessi e lo stesso era il direttore. Perfetta l’esecuzione della Sinfonia della Forza del destino, in cui gli strumentisti hanno mostrato una conoscenza così profonda del materiale che hanno messo quasi da parte il maestro Rieder, il quale poteva limitarsi del battere il tempo: velocità impeccabili, dinamiche giuste e armonia celestiale tra i gruppi. Molto bene anche il celebre Intermezzo da Manon Lescaut, dallo spirito fragile ed ermetico trasmesso perfettamente anche grazie al gesto chiaro e semplice del Maestro Rieder.

“La vita è un inferno all’infelice”, sempre dalla Forza del destino ha segnato l’inizio di una vera parata dei brani di successo che andava in un continuo crescendo. L’aria di Don Alvaro è di una difficoltà mostruosa e pochi nella storia dell’opera hanno saputo interpretarla in modo convincente. Tra loro, senza dubbio, Jonas Kaufmann, che è riuscito a trasmettere in pieno il dolore straziante del personaggio giocando su una sottigliezza inaudita del fraseggio, chiaroscuri e pianissimi estremamente raffinati. Il tenore bavarese è stato sostenuto alla grande dall’orchestra areniana (segnaliamo il clarinetto, ai limiti dell’espressività) che nelle mani del Maestro Rieder ha suonato con una grande sensibilità rispettando anche “i sussurri” iniziali del cantante.

Dopo Don Alvaro, Andrea Chénier è un altro personaggio “bello e dannato” che calza a pennello al carismatico tenore tedesco, che nell’Improvviso ha raggiunto vette d’interpretazione. C’è stato tutto, davvero tutto: spirito eroico, slancio nobile, declamato pensato ai minimi dettagli. Quel che è mancato, è stato un giusto squillo che, purtroppo, non fa parte delle fantastiche doti ricevute da Kaufmann dalla natura, tuttavia l’ovazione è stata pienamente meritata.

Martina Serafin è ben nota al pubblico italiano che negli ultimi anni ha potuto ascoltarla in La Dama di picche al Comunale di Bologna, Manon Lescaut alla Fenice di Venezia, Tosca in Arena di Verona e al Municipale Giuseppe Verdi di Salerno; abbiamo nominato solo alcune delle sue esibizioni. La cantante austriaca è un raro esempio di armonia tra una spiccata personalità, un fisico splendido, una bella voce piena e solida, una grande tecnica, una raffinata musicalità. Si muove con una grande disinvoltura e non rivela una minima tensione sul palcoscenico; da sempre il suo problema, però, sono gli acuti non perfettamente focalizzati. Il suo primo assolo nel gala areniano è stato “Nel dì della vittoria… Vieni! T’affretta!” da Macbeth verdiano. Dopo alcuni anni abbiamo trovato la sua voce un po’ affievolita, ma la classe, la naturalezza e la versatilità della Serafin sono rimaste immutate. Diremmo che fosse troppo bella per il ruolo della diabolica Lady come la sua voce troppo lucente per la parte; ne è venuta fuori una sposa di Macbeth inaspettatamente sofisticata; purtroppo, non sono mancati alcuni acuti problematici e a tratti i colori opachi.

Molto meglio è stata “La mamma morta” da Andrea Chénier; il soprano ha vestito con semplicità disarmante i panni di Maddalena, convincente nei sussurri come negli slanci lirici. Ha iniziato quasi con la gola chiusa, seguito delicatamente tutti i passaggi tra il declamato e le frasi larghe per arrivare ad un estatico “Vivi ancora, io son la vita” e ha fornito un finale formidabile premiato da grandi applausi.

Dopo “Un dì all’azzurro spazio” e “La mamma morta” era logico che saremmo arrivati ad duetto “Vicino a te s’acqueta”, una perla di Andrea Chénier e dell’intera produzione giordaniana, intonata dai due artisti con grande entusiasmo e affiatamento sotto ogni punto di vista.

Naturalmente, non finiva qui, il pubblico scaldato aspettava qualche bis, e Kaufmann e la Serafin sono stati estremamente generosi, non si sono limitati delle briciole, ma hanno offerto un piatto succulento: ben sette pezzi. Una decisione saggia, non puntare esclusivamente alle grandi pagine tenorili quali “Nessun dorma” e “E lucevan le stelle”, ma alleggerire l’atmosfera e regalare dei momenti di pura gioia con Mattinata di Leoncavallo e Non ti scordar di me di Bixio da parte di Kaufmann per poi passare a due perle dell’operetta viennese, “Meine Lippen, sie küssen so Heiß” da Giuditta lehariana cantata da una Serafin focosa e il celebre duetto da Die lustige Witwe in cui due protagonisti della serata hanno deliziato il pubblico con un legato incantevole e dai passi di valzer. Il tenore bavarese ha eseguito anche Ombra di nube, un brano di Licinio Refice.

Il successo grandioso, ma rimangono alcuni se e no, pure sapendo che l’armata infinita dei fan del tenore tedesco potrebbe insorgere. L’altra sera abbiamo avuto fortuna di assistere ad un grande evento di altissima caratura musicale e teatrale nonostante l’assenza di scene e di costumi, con il video design firmato di D’Wok. Il “tenorissimo” Jonas Kaufmann ha saputo portare il pubblico al delirio, ma i dubbi riguardanti la sua arte non si risolvono mai. L’indiscusso interprete del repertorio wagneriano, punta molto anche su quello italiano, in un’intervista di più di dieci anni fa rilasciata ad Alberto Mattioli ammise che da sempre avesse sognato di cantare in Andrea Chénier e Cavalleria rusticana. Dopo l’uscita di scena di Tre Tenori (Domingo si improvvisa baritono ormai) il vuoto non è stato colmato, il pubblico perennemente affamato è in cerca di un vero eroe. Bellezza e carisma, intelletto e musicalità, fraseggio e sfumature sono le carte principali che gioca Jonas Kaufmann. Mi ricordo la discussione di una decina di anni fa sorta tra i melomani russi che si facevano la domanda: sarà possibile riconoscere la voce di Kaufmann senza annuncio? La maggior parte di loro e anche dei critici arrivò ad un rispettoso “no”. La voce di Kaufmann per sé è poco interessante, nel centro suona come baritono, l’emissione è poco ortodossa, non mancano suoni gutturali e addirittura strani e gli acuti non del tutto riusciti. Il grande artista compensa queste mancanze a modo suo: bellissimo uomo e attore consumato, disegna i personaggi incredibilmente vivi che entusiasmano il pubblico, fraseggia nel modo sofisticato ed è in continua ricerca dei colori. Ecco come garantisce un delirio felice allo spettatore. Gli siamo estremamente grati per le emozioni regalate, ma il vero tenore è un’altra cosa. Lo sentiremo mai nel futuro, un vero tenore? Una buona domanda.


 

 

 
 
 

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