Angeli e demoni

di Roberta Pedrotti

L'ultimo concerto lirico sinfonico del XLII Rossini Opera Festival contrappone il divismo sopra le righe di Erwin Schrott alla bella prova musicale di Alessandro Bonato e dell'orchestra Sinfonica Rossini.

PESARO 21 agosto 2021 - Il terzo e ultimo concerto lirico-sinfonico di questo Rof 2021 ribalta le prospettive. Dopo la classe di Mariangela Sicilia e Maxim Mironov nei loro percorsi ragionati sul Belcanto a partire da Rossini, Erwin Schrott porta prepotentemente sotto i riflettori un divismo ingombrante e accentratore, istrionico e gigione. In un programma parecchio eterogeneo, che pare incentrato solo sull'eclettismo del dotatissimo basso uruguayano, già inserire un'aria sacra può suonare inconsueto, quando poi si tratta del “Pro peccatis suae gentis” dallo Stabat Mater rossiniano, vale a dire un pezzo eseguito nello stesso festival e nel suo proprio contesto giusto la sera prima con altro basso, l'opportunità e il buon gusto possono essere discussi. Schrott, per di più, entra in sala, si leva la giacca e intona il solennissimo brano in bretelle e maniche di camicia, come semmai ci si potrebbe aspettare per un Figaro o un Leporello. Il personaggio, divo sui generis, è noto e non stupisce più di tanto anche quando si fa prendere la mano e punteggia il programma di lunghi monologhi grondanti elogi, autoelogi e spiritosaggini. I suoi fan lo amano anche per questo, gli altri pazientano e si concentrano sulla musica. Il guaio, però, è che al di là della cornice appariscente, degli effetti speciali, della bellezza del timbro, della pastosità degli armonici e della ragguardevole estensione, insomma di doti vocali di primissimo ordine, l'artista non offra poi granché, il musicista non brilli per finezza ed esattezza, il cantante mostri qualche segno di affaticamento. L'aria sacra rossiniana sembra solo un pretesto per esibire una gamma sonora; i due Verdi francesi (“Elle ne m'aime pas” e “Et toi Palerme”) sono fraseggiati con una certa libertà che non corrisponde però a una scintilla interpretativa indimenticabile; le Quatre chansons de Don Quichotte di Ibert soffrono nell'impostazione il passaggio dalla versione pianistica (cui Schrott è evidentemente più avvezzo e in cui il rapporto fra due soli esecutori si fa più elastico) alle esigenze musicali della versione per orchestra, tanto più che talora anche l'intonazione non sembra impeccabile. Così, se in chiusura due ballate demoniache, “Son lo spirito che nega” di Boito e “Le veau d'or” di Gounod, dovrebbero consacrare l'esuberante vocalità e temperamento di Schrott, in realtà lo trovano stanco, con qualche suono sfocato e attacco arruffato di troppo.

C'è, però, l'altra faccia della medaglia, perché là dove il cantante si prende qualche libertà di troppo e dà sfogo alla sua esuberanza, l'orchestra resta esatta lo riacciuffa dove può, si fa ritrovare sempre in carreggiata, fa quadrare i conti. Anzi, anche qualcosa in più, perché soprattutto alle prime parti dei fiati, alla spalla Henry Domenico Durante e al primo violoncello Luca Bacelli della Sinfonica Rossini andrà dato il merito di aver reso giustizia a un programma tanto eterogeneo assecondando le peculiarità di ogni pagina. Anzi, sotto la direzione di Alessandro Bonato abbiamo sentito oggi (e nella posizione non felicissima del primo ordine dietro la fila dei tromboni) la più ampia gamma dinamica e il miglior equilibrio sonoro dell'orchestra in platea durante questo Rof 2021. Il maestro veronese, al quale sarebbe ormai ora di affidare produzioni di primo piano, non fa solo funzionare le cose nel miglior modo possibile, ma dà anche una lettura ben definita senza perdere di vista le esigenze del canto, assicurando l'insieme senza limitarsi ad accompagnare passivo, bensì come parte attiva. Nella sinfonia di Le siège de Corinthe, in apertura, sentiamo subito lo stacco personale e coerente della Marche lugubre grecque, un'evoluzione dei temi nel crescendo che non ha nulla di meccanico, ma si sviluppa con impeccabile, continua articolazione dinamica. La base tecnica in Verdi è la medesima, consequenziale e fluida, con un preciso sguardo d'insieme, senso ritmico e cantabile, strette che non sono mai banalmente fragorose, ma sempre controllate a partire dall'incipit più sottile. Eppure si sente benissimo che Verdi non è Rossini, che il modo di scandire gli accenti, il fraseggio, lo spirito sono altri, ben distinti, anche se la radice formale è la medesima e il giovane Giuseppe non può non guardare al già mitizzato Gioachino. Sentiamo il pianissimo impalpabile ma fremente pronto a deflagrare – non prima di una ben cesellata parentesi pastorale – nella sinfonia di Giovanna d'Arco, sentiamo l'incalzare della drammaturgia tematica in quella di Nabucco, intimamente energica com'è giusto che sia. E, poi, nondimeno, il sospiro ansioso e spossato nella penombra dello studio di Philippe II o l'aggirarsi dell'ombra di Jean de Procida fra i repentini bagliori della riva palermitana, la tensione dell'uno e la serenità edenica dell'altra. Tutto un altro mondo, poi, quando l'organico si rimodella per Ibert e cambia totalmente di sonorità e dinamiche. Segue quella che potrebbe essere una prima esecuzione assoluta nei programmi del Rof: l'Intermezzo dalla Manon Lescaut di Puccini, sfrondato da ogni sentimentalismo di maniera e perciò ancor più struggente, un'altra, controllatissima, forma di crescendo in cui, fra sensualità e abbandono nostalgico, baluginano ancora giovanili speranze, fino a dissolversi nuovamente nella sospensione del pianissimo e del silenzio attonito che segue per qualche istante. Cupo e scintillante, perfettamente controllato nel ritmo, è, poi, il dittico diabolico: Mefistofele/Méphistophélès è irridente, ma conviene prenderlo sul serio.

Alla fine, un bis. Rojo tango, omaggio alla terra natale di Erwin Schrott con la partecipazione dell'ottimo bandoneonista Cristiano Lui. Schrott canta, ammicca, improvvisa dei passi di danza con un'ignara professoressa dell'orchestra. Bonato e la Sinfonica Rossini schioccano al meglio il ritmo latino.

Il successo è calorosissimo, le chiamate alla ribalta ripetute. Chi applaude il divo e il personaggio, chi la musica e i musicisti, alla fine non sono mancate soddisfazioni per tutti.