Montaggi e scomposizioni

di Alberto Ponti

La freschezza e l’energia di due brillanti solisti avvicina i capolavori di Bach alla sensibilità contemporanea per il cartellone di MiTo.

TORINO, 17 settembre 2021 - Che Johann Sebastian Bach (1685-1750) sia l’autore universale per eccellenza è luogo comune fin troppo ripetuto. Resta il fatto che la sua musica si presta a trascrizioni e manipolazioni anche arditissime senza perdere nulla dell’originale carica espressiva. Se il grande rammarico dei curiosi del futuro, tra cui si inserisce lo scrivente, sarà quello di non essere più a questo mondo tra uno o due secoli, quando nuovi strumenti o possibilità tecniche apriranno all’arte musicale frontiere ora inimmaginabili come sempre accaduto nella storia, ci conforta la certezza assoluta che Bach continuerà a suonare attuale.

Ottimi spunti sono quelli forniti da due giovani ma già ben affermati solisti, Miriam Prandi e Alexander Romanovsky, nel concerto significativamente sottotitolato ‘Abbracci’. Pezzo forte della serata sono state la Suite n. 6 per violoncello solo BWV 1012 e la Partita n. 3 in la minore per clavicembalo BWV 827, nella trascrizione pianistica, eseguite alternando uno ad uno i sette movimenti delle due composizioni. Ne sortisce un raffinato e intrigante gioco di specchi, un intelligente montaggio in cui è possibile cogliere le evidenti e sottili analogie così come le profonde differenze in grado di rendere evidente la vastità dell’oceano bachiano.

Miriam Prandi è una violoncellista di sicura e robusta tecnica ed entra in scena con fresca spavalderia nell’affrontare l’impegnativo Preludio della Suite, pagina assai estesa, e nel metterne in luce le caleidoscopiche sfumature che paiono avvicinarlo in certi passi ad esperimenti del più stretto linguaggio contemporaneo. Anche Romanovsky, da par suo, è abile a sottolineare, con qualche licenza indice di notevole personalità, il lato estroso ed innovativo del linguaggio per tastiera fin dal primo pezzo, Fantasia, anch’esso articolato e imprevedibile. I tempi che seguono si rifanno a stilemi di maggior convenzionalità ma il duo di esecutori conquista una platea attenta a non perdersi neppure una nota. Ecco dunque lo scarto su minime variazioni dinamiche a insaporire il contrappunto delle Allemande oppure, nelle Correnti, un improvviso balzo ritmico, calcato con sapienza, a introdurre una punta di inaspettato, conturbante parossismo.

E cosa dire delle Sarabande, dove in un rimando di echi a distanza, la calda arcata del violoncello dialoga con i preziosi arabeschi disegnati dal pianoforte. I brani successivi fino alle due Gighe conducono a un crescendo di emozioni, nel vorticoso rincorrersi delle voci in terzine in un’alternanza di staccati e legati luminosa e cristallina.

Che l’intesa tra Prandi e Romanovsky sia eccellente lo conferma anche la Sonata n. 3 in sol minore BWV 1029, in origine nata per viola da gamba e cembalo dove, nell’esemplare bilanciamento ed equilibrio tra strumenti, ha certo un peso la formazione della giovane musicista, esibitasi in passato anche al pianoforte, che bene conosce i limiti fin dove ci si può spingere senza rischiare di prevaricare il compagno. Altrettanto si può dire di un fuoriclasse del calibro di Romanovsky, tutt’altro che acquiescente in una parte se vogliamo poco virtuosistica, ma dove la cura e il fascino del suono, sempre esatto e accattivante nei bassi e nei controcanti, tradiscono una sensibilità affinata con la frequentazione abituale e meditata del repertorio degli ultimi tre secoli.

La trascrizione proposta in chiusura, opera dello stesso Romanovsky, del primo tempo del Concerto per due violini, archi e continuo BWV 1043 riesce a ricreare, nonostante la scomposizione dell’originario discorso in toni assai distanti dall’organico primigenio, un autentico senso di vertigine barocca.

Successo pieno e meritato, come in moltissimi concerti della presente edizione di MiTo Settembre Musica, e finale tra gli applausi dopo l’abbandono romantico del bis con il Largo dalla Sonata op. 65 di Chopin.