L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

La tecnica invisibile

di Luigi Raso

Con Chačaturjan e Schumann, Valeriy Sokolov e Valčuha regalano una serata memorabile al pubblico napoletano.

NAPOLI, 26 settembre 2021 - Al violinista Valeriy Sokolov bastano le prime battute del Concerto per violino in re minore di Aram Chačaturjan per dimostrare di essere in possesso di una tecnica agguerritissima eppure invisibile, ben nascosta dietro il paravento di una naturalezza mai ostentata nell’esecuzione. E c’è da dire che il Concerto di Aram Chačaturjan, composto nel 1940 per le corde violinistiche ed espressive di un mito del violinismo di ogni era quale David Oistrakh, di insidie tecniche ne riserva ad iosa. Eppure Valeriy Sokolov, violinista ucraino - classe 1986 - affronta scale velocissime, l’intero armamentario dei colpi d’arco, bicordi, cambi di posizione della mano sinistra che danno vita a suggestivi portamenti, con una precisione e corposità di suono strabiliante.

Ma sarebbe riduttivo etichettare la lettura di Sokolov come una superba esibizione di un virtuosismo scevro da sterile esibizionismo: c’è molto, molto di più. L’interpretazione del violinista ucraino appare infatti volta ad evidenziare, tramite accenti e colori variegati, l’espressività di ogni singola frase che compone questo concerto dominato da motivi e atmosfere orientaleggianti, dalla rievocazione della musica popolare armena, il tutto attraversato da una vitalità ritmica che innerva, anche laddove appare sopita, l’intero concerto.

Se l’Allegro con fermezza del primo movimento vede la contrapposizione dei due temi - energico il primo, lirico e appassionato il secondo - affrontati con precisione oggettiva e incandescenza da Sokolov, nel meraviglioso Andante sostenuto del II movimento del Concerto, invece, il violino di Sokolov cambia registro, pelle e suono: il suono si fa struggente, intenso, caldo e crepuscolare; il fraseggio ancor più analitico e tormentato.

È una profonda meditazione quella che il magnifico violino di Sokolov disegna. Dopo il cupo Andante sostenuto, l’Allegro vivace del III movimento ci riporta a quell’esplosione di energia vitale e di danze che abbiamo ascoltato in apertura del concerto. È ancora una volta l’occasione per Valeriy  Sokolov di calare gli assi di quel bagaglio di tecnica eccelsa, suoni torniti, precisione e potenza della cavata, qualità già ammirate sin dalla vorticosa apertura del brano.

A rendere pregiata questa lettura del Concerto per violino di Chačaturjan contribuisce, e in modo determinante, l’ottima orchestra guidata da Juraj Valčuha, concertatore come sempre attento ad ogni dettaglio della partitura: scava in profondità, isola ed esalta colori e nuances, è attento al perfetto equilibrio e funzionamento della macchina orchestrale, compagine perfetta in tutte le sezioni per precisione, bellezza di suono, intensità e ampiezza dello spettro delle dinamiche.

Valčuha e Sokolov respirano in perfetto sincrono: l’amalgama sonoro e di intenzioni interpretative è di una coesione stupefacente.

Il suono del violino - valga come esempio l’acquerello sonoro del II movimento - scivola sul manto orchestrale che gli stendono Valčuha e la sua orchestra; ad essere percepita distintamente è ogni nota dei legni, ogni pizzicato dei contrabbassi, ogni cellula ritmica delle percussioni.

Il lavoro di analisi - scomposizione - riconduzione ad unità di Valčuha su questa partitura appare la prosecuzione di quello svolto recentemente sulla celebre Suite n.2  dal balletto Spartacus dello stesso Aram Chačaturjan (qui la recensione: https://www.apemusicale.it/joomla/recensioni/59-concerti-2021/12068-napoli-concerto-valcuha-07-07-2021 ), un approfondimento, quello delle opere del compositore armeno-sovietico, che, anche alla luce degli esiti altissimi delle letture del direttore slovacco, si spera possa proseguire.

Al termine del Concerto per violino, gli applausi per Valeriy Sokolov e Juraj Valčuha sono tanto calorosi che il violinista regala un bis dal virtuosismo funambolico, la Sonata n. 3 in re minore, op. 27, Ballade, di Eugene Ysaye, affrontata con precisione, dovizia di colori e perfetto dominio, con la consueta naturalezza, di qualsiasi difficoltà tecnica.

Dalle atmosfere esotiche e vagamente danzanti del Concerto per violino di Aram Chačaturjan si passa alla temperie romantica della Sinfonia n. 2 in do maggiore per orchestra, op. 61 di Robert Schumann, composizione che per il compositore tedesco rappresentava la vittoria dopo profonde sofferenze interiori. Nel dipanarsi dei quattro movimenti della Sinfonia, infatti, si percepiscono chiaramente la sofferenza, la lotta, l’anelito alla liberazione e la catarsi finale.

Juraj Valčuha coglie appieno la cifra “contrastata” che connota l’opera di Schumann. Dopo l’incipit ieratico, dal colore scuro, il concertatore si immerge al suo interno, estremizzando i contrasti, optando per dinamiche quanto mai mobili, a tempi che variano dall’incalzante al disteso (il meraviglioso Adagio espressivo del III movimento, ad esempio), ora dilatando ora stringendo il soffio vitale interno della Sinfonia.

Ne deriva un corpo e un flusso sonoro perennemente in tensione, pronto tanto ad accendersi quanto a ripiegarsi in se stesso.

Valčuha ancora una volta può contare su un’orchestra molto duttile, reattiva ad ogni minimo cenno espressivo, generosa in varietà dinamiche, dal suono curato in tutte le sezioni (particolarmente caldo e compatto quello degli archi di questa sera): il risultato del lavoro svolto da Valčuha nel plasmare l’empito sinfonico dell’Orchestra del San Carlo appare in tutta la nudità della propria evidenza.

Al termine, i lunghi applausi per Valčuha e l’Orchestra del San Carlo salutano l’interessante e trascinante concerto sinfonico, in linea con l’elevato livello artistico al quale Valčuha ha abituato il pubblico del San Carlo.


 

 

 
 
 

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