La tentazione del nome

di Roberta Pedrotti

Dedicato a un manoscritto di controversa attribuzione scarlattiana, ma di altissima qualità musicale, il concerto della Stagione Armonica per il Bologna Festival fa rivivere il pathos delle celebrazioni del Sabato Santo.

BOLOGNA, 09 ottobre 2014 - Un testo o un'opera d'autore ignoto costituiscono una tentazione cui è difficile resistere, sfuggendo alle sirene potenti dell'attribuzione al nome famoso, della scoperta dell'inedito o del testo perduto, ma anche del rassicurante canone di un gruppo di demiurghi familiari e consolidati cui far risalire buona parte dell'arte e dello scibile umano, come se l'oblio del tempo non avesse offuscato e celato le migliaia di nomi che pure hanno popolato, con alterne fortune, la storia dell'arte e del pensiero. Talora, poi, la tentazione ha radici più materiali e opportunistiche, come nel caso dei copisti che, tramontata la moda vivaldiana, ribattezzavano partiture con il nome allora più monetizzabile di Galuppi, o semplicemente di chi riteneva più prestigioso, attraente e d'effetto proporre il lavoro di un nome celebre in luogo di uno di padre ignoto o creatura d'un qualche Carneade, foss'anche di genio. Dalla filologia classica a quella moderna, dalla critica d'arte a quella musicale, la tentazione del nome ricorre inesorata in ogni tempo con l'ambizione di racchiudere nell'arco di un noto ben delineato l'inafferrabile pluralità della creatività umana.

Ci immerge in un problema filologico di dubbie attribuzioni e in questo mondo di sirene e suggestioni il concerto Delizie e Tenebre del ciclo Il nuovo l'antico del Bologna Festival con l'esecuzione delle musiche per la liturgia del Sabato Santo raccolte in un volume custodito presso la Regia Accademia Filarmonica felsinea frutto della rilegatura di tre differenti manoscritti che solo nel frontespizio della sezione, la seconda, dedicata alle Lamentazioni presenta il nome di Alessandro Scarlatti, cui è riconducibile, anche se per una sola fonte, anche un legame con la mano del copista che redasse il secondo codice. Il direttore Sergio Balestracci nota una precisa impronta stilistica scarlattiana, ammettendo tuttavia la complessità della questione e la legittimità dei dubbi musicologici in assenza di documenti incontrovertibili e in presenza, viceversa, di un'attribuzione corroborata da una falsa lettera di commissione, opera moderna e smascherata senza tema di smentite. Che si tratti o meno di Scarlatti, in realtà, è problema relativo. Interessa di più osservare le caratteristiche di una raccolta confezionata come modello esemplare e funzionale delle celebrazioni della ricorrenza più solenne della cristianità. Interessa riflettere sulla necessità o meno di associare queste musiche a un nome noto e da lì proverrà la molla dell'indagine musicologica per chiarire se quel profumo scarlattiano sia profumo di un'epoca o di una scuola o, viceversa, frutto del genio individuale dell'Autore. La drammatizzazione liturgica declina una staticità affettiva affatto rara nella poetica barocca, giacché statica è la celebrazione del Sabato, che dopo l'azione incalzante della Passione (l'ultima cena, la notte al Getsemani, l'attesa, il tradimento e l'arresto, il processo, la flagellazione, il suplizio e la deposizione) e prima della trionfante risurrezione si ripiega nella cupa e dolorosa meditazione sulla morte, nella riflessione sulle profezie dell'Antico Testamento. Nulla avviene e l'affetto contraddice ogni anelito alla varietas, mentre le tenebre calate sulla terra pesano e incupiscono anche la possibilità di caravaggeschi chiaroscuri. È la scansione corale del testo latino, in tutta la sua prorompente, onomatopeica espressività, è l'eredità madrigalistica dell'uso plastico delle dissonanze, è il severo disegno del contrappunto prescritto nella solennità cattolica, è il lirismo trattenuto e ispirato del nuovo teatro degli affetti a fare delle Lamentazioni, di nove responsori e del Miserere finale, la meditazione e la sacra rappresentazione del mistero dell'attesa e del dolore.

Per precisione, avorio timbrico, sensibilità a tutti i livelli del testo, verbale e non verbale, la prova dell'ensemble vocale La stagione armonica è una vera gemma poetica. Non da meno la prova dell'organista Carlo Rossi, che ha intercalato i responsori con la Fuga K. 58 di Domenico Scarlatti, il Recercare del Secondo Tuono e la Fantasia in e la mi (ovvero, nell'antica notazione guidoniana, in Mi) di Bernardo Pasquini, l'Adagio in Do maggiore, la Fuga del Primo e del Terzo Tono e l'Adagio assai di Alessandro Scarlatti. Il gusto per l'ornamentazione e il tocco prezioso non travalicano mai dalla solennità compunta del rito e non cedono al richiamo di un più lezioso gusto galante. La delicatezza e la profondità della meditazione, non vengono mai meno e si trasmettono quasi per osmosi in uditorio folto come non sempre è dato vedere in S. Filippo Neri, e appagato dal bis dello splendido Miserere che chiude la raccolta. Se anche tutte le note racchiuse in essa non saran poi state di Scarlatti, di certo non hanno recato disdoro alla sua fama e alla sua memoria, anzi: avrebbe avuto di che esserne fiero.