Dal crepuscolo all'alba

di Roberta Pedrotti

Per il Bologna Festival, percorso a ritroso nella musica vocale polacca dal crepuscolo del XX secolo ai primi decenni del XIX, da Lutoslawski a Chopin passando per Szymanowski e Panufnik. Non desta particolare entusiasmo l'esecuzione del duo Klisowska-Faes.

BOLOGNA, 5 novembre 2014 - Nell'omaggio alla musica polacca del Bologna Festival non poteva mancare un percorso dedicato al canto. Un percorso a ritroso, nel tempo, che parte dal XX secolo, da Lutoslawski e dal suo ciclo, trascritto nel 2007 da Eugeniusz Knapik dall'originale versione con orchestra, Chantefleurs et Chantefables (1989-1990) su versi del surrealista francese Robert Desnos, morto nel '45 a Terezin. Francese è anche la radice stilistica vocale, che rimonta al canto impressionista di Debussy, alla melodia rarefatta, dilatata, parcellizzata fra intervalli inusuali, assai difficili da intonare. Se lo Sprechgesang tedesco è una sorta di evoluzione musicale della recitazione, queste forme sembrano la decantazione del melos, il suo sciogliersi lasciando una sorta di spettro evanescente. C'è davvero un che di fantasmatico nello scandire, così, le filastrocche di Desnos, i loro nonsense infantili fra giochi, immagini floreali, salti di cavallette e canti d'uccelli.

Segue Szymanowski, con il ciclo Pieśni księźniczki z baśni (Canti della principessa delle fiabe) op. 31 del 1913, su versi della sorella Zofia. Una serie di immagini notturne, quasi ossessive nel tradurre il senso del fiabesco e del mistero, dell'amore sfuggente e rimpianto condiviso dai due fratelli: sempre un vocalizzo in apertura e in chiusura, più o meno articolato nel suo tracciare arabeschi sonori, cui risponde, al centro, l'abbandono all'intonazione del testo. Un eterno ritorno a un'arcana fantasia orientale e mediterranea.

Il ponte verso la radice di ua scuola nazionale polacca parte ancora da Lutoslawski, o, meglio, dal suo amico e quasi coetaneo Andrzej Panufnik, con il quale formò, nel secondo dopoguerra, un duo pianistico. Panufnik, personalità romanzesca, artista noto per lo più come direttore e pianista, dedicò nel 1949 un Hommage à Chopin, di cui vengono proposti tre estratti: Preludium, Vivo e Postludium. Nei vocalizzi senza parole del soprano, invero, il richiamo all'ispiratore appare piuttosto remoto, quasi l'idea di Chopin fosse filtrata attraverso tutte le esperienze successive, le sue peculiarità viste nell'ottica dell'eredità futura, tanto che il postludium più che al pianista di Varsavia fa pensare a Britten e al canto “Malo, malo” da The turn of the Screw.

Dall'omaggio, allo Chopin vero e proprio. Allo Chopin propriamente, originariamente vocale, non le trascrizioni che il mezzosoprano Pauline Viardot, per esempio, realizzò di suoi pezzi per tastiera. Tre dei Canti polacchi op. 74, composti nella sua lingua fra il 1827 e il 1849, su suggestioni popolari, dimostrano tutta l'affinità con il canto la capacità di scrittura con la voce, naturale quanto quella per la tastiera, quasi fossero uno stesso strumento, senza che l'uno forzi l'altro. E colpisce anche l'eleganza con cui Chopin coglie, raffinatissimo, un tono cullante, quasi ingenuo in alcuni testi popolari, o accompagna perfino i doppi sensi evidenti della Canzoncina lituana, resa (non senza ironia) con un garbo squisito.

La voce che ci accompagna in questo percorso è quella di Joanna Klisowska, soprano polacco la cui attività si concentra soprattutto sul repertorio cameristico e barocco. L'emissione, difatti, tende a evitare la ricchezza d'armonici, fissa e sottile per centrare (non senza qualche rischio) le difficili intonazioni imposte da questo programma, soprattutto da Lutoslawski. Purtroppo l'impressione netta di un'occlusione non perfetta delle corde vocali sporca gli attacchi e causa un effetto di aria nella voce poco propizio sia alla precisione musicale cui la sua preparazione violinistica potrebbe tendere sia all'efficacia del fraseggio e al pieno dominio di colori e dinamiche. Anche il bis con Heidenröslein di Schubert appare piuttosto scolastico e scorre via senza lasciare il segno. Come non lo lascia il pianista Filippo Faes nelle Mazurke di Szymanowski che si alternano ai cicli vocali nel corso della serata. Nei pezzi cantati è affiatato, abituale partner artistico della Klisowska, ma non suggerisce particolari intuizioni artistiche, al di là della viva passione espressa nell'introduzione al programma a inizio concerto.

Resta l'interesse culturale di un percorso d'ascolto più unico che raro, dal tramonto del XX secolo fino alle radici di un secolo e mezzo prima. Dall'ultimo stadio di una vocalità quasi prosciugata, distillata nella parola e senza la parola, al melos raffinato, colto e popolare, di un autore che consacrò il suo genio soprattutto al canto delle dita su una tastiera.