Nel fumo di una pira spenta

 di Francesco Bertini

Non colpisce nel segno l'ambiziosa regia di Francesco Esposito per Il trovatore a Treviso, con un protagonista contestato e una compagnia di canto complessivamente dai valori alterni

TREVISO, 23 novembre 2014 - La stagione lirica trevigiana prosegue con Il trovatore, secondo titolo in cartellone dopo l’apertura con Sonnambula e prima della chiusura, in gennaio, con Il turco in Italia.

Un salto drastico separa l’allestimento tradizionale dell’opera belliniana dalla messinscena contemporanea del titolo verdiano. Il team composto da Francesco Esposito, regia e costumi, Carlo Guidetti e Eugenio Orlandi, scene, e Alessandro Pasqualini, disegno luci, idea uno spettacolo che ambienta la vicenda in luoghi minati dalla guerra. L’allestimento ambisce a veicolare messaggi plurimi ma non trova il percorso ideale per farlo: oltre allo stravolgimento di alcuni passaggi, vi è l’annichilimento quasi totale dei significati, causato in particolare dalle disadorne scelte registiche. A fronte di una contemporaneizzazione spaziale non c’è poi un’unitarietà tale, nella lettura, da rendere efficace il linguaggio adottato. Si trova di tutto un po’, anche nella scenografia che alterna climi indefiniti a elementi ben saldi nell’immaginario collettivo (un esempio su tutti, la celebre Citroën 2 CV). Si passa dagli zingari in camicia rossa, alle religiose tramutate in crocerossine, il tutto risaltato da costumi fin troppo rimarcati. Il clima sofferto, nel quale si svolge l’intera vicenda, è ulteriormente evidenziato dai colori tetri e dall’abusata scelta di invadere il palco di fumi e nebbie.

D’altro canto pure i solisti interpretano discutibilmente la partitura verdiana. Su tutti brilla in negativo la prestazione di Richard Bauer che suscita non pochi rantoli tra il pubblico. Il tenore brasiliano affronta Manrico dopo aver cantato, secondo il curriculum, alcuni dei ruoli più rilevanti dell’opera ottocentesca. Le condizioni nelle quali si è ascoltato a Treviso sono parse quasi intollerabili. Con il solo decoro del timbro, l’artista esegue l’impervio ruolo errando senza posa alla ricerca dell’intonazione, con emissioni spesso prossime alla rottura e perlopiù di dubbio gusto. Con tali premesse è impensabile un qualsiasi decoro nel fraseggio, di fatto inesistente.

Ad aprire l’opera è il personaggio di Ferrando affidato al basso Francesco Palmieri. L’ampio vibrato inficia la linea di canto che lascia intravvedere, solo a tratti, i pregi di uno strumento in origine apprezzabile.

Come evidenziato in occasione del Torquato Tasso bergamasco, Marzio Giossi esibisce voce ingolata, problema che la scrittura verdiana contribuisce a risaltare ulteriormente. In tal modo l’esibizione nei panni del Conte di Luna perde smalto per la dizione imprecisa, resa sovente poco chiara dalla gutturalità.

Quel che giova a Elena Serra, Azucena, è il forte carattere in scena. Ciò equilibra la vocalità sopranile, decisamente poco consona alla tessitura richiesta da Verdi. La Serra è infatti poco efficace nella zona centro grave mentre l’acuto suona spavaldo e raramente sfocato.

Chi invece risalta per potenzialità, nonostante le udibili disomogeneità, è Monica Zanettin. Nel ruolo di Leonora, il soprano trevigiano esibisce colore interessante, perspicacia interpretativa e fraseggio credibile.

Completano il cast, con prestazioni alterne, Lara Matteini, Ines, Marco Gaspari, Ruiz, Paolo Bergo, un vecchio zingaro e Luca Favaron, un messo. Il Coro Lirico Amadeus, preparato da Giovanni Dal Missier, assolve le parti affidategli senza grosse pretese.

A guidare l’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta, più diligente di alcune recenti prove, è Marco Boemi. Il concertatore si avvale della propria formazione pianistica, affiancata da lunga attività direttoriale, nella sapiente guida della compagine. Boemi accompagna dimostrando attenzione tanto alle esigenze dei cantanti quanto al tessuto musicale verdiano. I consensi finali, per tutti, non hanno mascherato alcune contestazioni all’indirizzo di Bauer.