Non è Šostakovič

 di Roberta Pedrotti

 

Ottima la prova di Nikolaj Znaider sul podio dell'Orchestra del Comunale di Bologna per un programma consacrato ad aspetti meno consueti della musica del Nord, fra Russia e Finlandia: dalle suggestioni naturalistiche di Sibelius alle prime esperienze di Čajkovskij, con il preludio delle fanfare di Ščedrin.

 

BOLOGNA, 22 novembre 2014 - Šostakovič passò la vita dilaniato fra le costrizioni del potere, fra la coscienza lucida di un alto ideale e della sua perversione nelle logiche del regime. La tensione fra libertà e censura, fra profonda convinzione e spirito critico di fronte agli uomini e alla storia fu centro pulsante della sua arte.

Ma qui non c'è Šostakovič, a Bologna arriverà fra qualche giorno con quel capolavoro di tragedia e satira che è la Lady Macbeth di Mcnsk; c'è Ščedrin.

Rodion Konstantinovič Ščedrin, nato nel 1932 e premiato a più riprese dai diversi governi sovietici e post sovietici, non si pone tanti problemi quando compone, per esempio, l'ouverture festiva Sinfonia di fanfare (1967), tripudio militar carnascialesco che sembra cucito su misura per introdurre una parata ufficiale e dar libero sfogo agli ottoni.

Non si nega che, di fronte a un brano non proprio bello ma che sollecita con spericolata evidenza la sezione più delicata dell'orchestra, ci si affaccia all'ascolto con un certo timore. Grazie alla bacchetta elegante e sicura di Nikolaj Znaider l'esito è comunque efficace, con una precisione, se non assoluta, rara negli ottoni bolognesi.

Tutt'altro clima è quello suggerito dall'animo poetico del finnico Sibelius, che immortala nell'ambizione internazionale della sua quinta sinfonia quel che definì uno degli eventi più straordinari della sua vita: la visione di uno stormo di una quindicina di cigni. Tutto si dilata in un lirismo dai colori boreali che potrebbe perfino apparire ingenuo, se non avesse la sua ragion d'essere proprio nello straniamento suscitato da questa Pastorale nordica composta durante il primo conflitto mondiale, di questa comunione estatica con la natura che non pare aver nulla del panismo dionisiaco che a latitudini appena più basse allignava al tempo.

A questa curiosa contrapposizione segue un altro “non capolavoro”, ancora di area slava (non è slava certo la Finlandia, ma fu comunque sotto l'influenza zarista alla Rivoluzione): la Prima Sinfonia di Čajkovskij. A un trentaquattrenne compositore “di regime”, a un maturo compositore riconosciuto come simbolo nella sua nazione, segue un esordiente timido e ambizioso, che mostra già frementi i germi del genio, idee in attesa di uno sviluppo che a breve verrà, ma che per ora vuole iscriversi in forme accademiche un po' sussiegose, che per ora (nonostante la Sinfonia ci si presenti nella versione successivamente rimaneggiata dall'autore) non trovano pieno controllo e piena libertà, pur aspirando alle suggestioni quasi di poema sinfonico, con i riferimenti, nell'intestazione dei primi due movimenti, al “Sogno di un viaggio d'inverno” e a una “Terra desolata, terra nebbiosa”.

Znaider padroneggia perfettamente questo linguaggio e dirige con fluida chiarezza, salda guida per l'orchestra. Una bella bacchetta, ma, una volta tanto, se la serata non entusiasma, è proprio per il programma in sé assai discreto, senza il punto di forza di una scoperta sorprendente o di un riconosciuto capolavoro.

En attendant Šostakovič e le sventure di Katerina Ismailova.