Caruso a casa di Caruso

di Luigi Raso

Un percorso, dalla messa in suffragio di fronte alla cappella dove riposa alla casa natale, in ricordo del grande tenore napoletano nel centesimo anniversario della scomparsa.

Una giornata a Napoli nel ricordo di Enrico Caruso, a 100 anni dalla sua scomparsa: la città natale ha ricordato il grande tenore con varie iniziative: concerti, conferenze, inaugurazioni di mostre, spettacoli teatrali ispirati alla sua vita. Noi abbiamo deciso di ricordarlo visitando i luoghi legati alla sua vita - purtroppo breve - iniziata e conclusasi proprio a Napoli.

Cominciamo dalla fine.

Lo scorso 2 agosto, come ogni anno, è stata celebrata un Messa in suffragio e in onore di Enrico Caruso nello spazio prospiciente la cappella gentilizia – il cui restauro voluto dalla Regione Campania è stato terminato pochi giorni fa - nel cimitero di Santa Maria del Pianto. Alla Messa sono presenti appassionati, il Presidente del Comitato nazionale delle celebrazioni carusiane, Franco Iacono, e una discendente del tenore, Serena Caruso e persone comuni, semplici appassionati. Prima dell’inizio del rito religioso a propagarsi tra i vialetti del cimitero è soprattutto la voce di Caruso (Pietà, Signore! di Louis Niedermeyer, per lungo tempo attribuita erroneamente ad Alessandro Stradella). La cappella è aperta; ci si può avvicinare al grande sarcofago che contiene i resti di Caruso. Un tempo le spoglie imbalsamate del tenore erano visibili, coperte da una lastra di cristallo. Si narra che la figlia Gloria, in visita presso la tomba del padre, restò tanto impressionata che ordinò la copertura della teca.

Dalla morte alla nascita.

Nella mattina del 2 agosto è stato inaugurato il primo museo a Napoli dedicato a Caruso. Incredibile, vero? Dopo un secolo dalla morte, a Napoli ancora non c’era un museo dedicato a Caruso; così come ancora non ce n’è uno - ma sono trascorsi “soltanto” 54 anni dalla morte! C’è tempo... – dedicato a Totò. E dove è sorto il Museo Caruso? Proprio nella modesta casa natale del tenore (due piccole camere, per un totale di circa 40 metri quadri) in via Santi Giovanni e Paolo 7, zona Ottocalli (la denominazione deriva dagli otto cavalli di dazio che si dovevano pagare in quella zona per poter accedere in città). Per l’istituzione di questo museo bisogna ringraziare la passione e, soprattutto, la generosità di Raffaele Reale, titolare di una gioielleria che insiste sulla facciata della palazzina di Caruso. Raffaele Reale ha comprato e ristrutturato a sue spese l’immobile adibendolo a museo, con tanto di illuminazione e sofisticato impianto di antifurto. Ma non finisce e finirà qui. Reale ha provveduto alla tinteggiatura delle scale che conducono alla casa-museo, la cui porta di accesso è coeva alla nascita di Caruso (1873). A breve sorgerà, nel cortile interno del palazzo, un caffè letterario.

All’interno, durante il via vai di abitanti del quartiere, di appassionati, giornalisti, si ammirano caricature firmate da Caruso stesso, antichi 78 giri autografati dal tenore, lettere, e una parte dei cimeli carusiani provenienti della collezione di Gaetano Bonelli, direttore del Museo e già fondatore di un personale quanto suggestivo Museo di Napoli. Altri cimeli sono stati prestati, grazie anche ai buoni uffici di Federico Caruso, discendente diretto del tenore, dall’Enrico Caruso Museum di Brooklyn, dalla collezione di Aldo Mancusi. Se a Napoli latita l’iniziativa culturale del Comune, che non è mai stato in grado di istituire e intitolare ad uno dei suoi figli più famosi nel mondo un museo, quella di isolati sognatori è, all’opposto, tenace e abbondante. Il “miracolo laico”, come lo definiscono Raffaele Reale e Gaetano Bonelli, direttore del Museo, è senza dubbio un bell’esempio di iniziativa privata culturale, alla quale hanno preso parte, soprattutto nei convulsi giorni antecedenti l’inaugurazione, il maestro Armando Jossa e il baritono Sergio Valentino, corista del Coro del Teatro di San Carlo e cultore della memoria e dell’arte di Caruso. Questa casa modesta, quando era ancora abitata, fu meta di emozionante pellegrinaggio per Luciano Pavarotti e, più recentemente, per Jonas Kaufmann che chiese di affacciarsi dal balcone e di poter cantare qualche frase musicale di canzoni napoletane. Oggi finalmente è accessibile a tutti. Il Museo è un work in progress: si lavora per incrementare il numero dei cimeli esposti e per creare, come detto, nell’androne del palazzo un caffè letterario, sperando che tutto ciò possa costituire il seme della rinascita culturale del quartiere, ancora lontano dall’usuale percorso turistico. La speranza è che proprio il nome di Caruso possa riportare nella propria casa natale almeno una parte dei tanti turisti che si avvicendano per Napoli.

Il pomeriggio del 2 è invece dedicato a un intenso e partecipato ricordo di Caruso da parte di Luciano Pituello, il più grande collezionista di cimeli e incisioni di Caruso in Italia. La sua collezione è stata donata al Museo Enrico Caruso di Lastra a Signa (FI). Siamo nell’attuale Sala Scarlatti del Grand Hotel Vesuvio di via Partenope, un tempo denominata “Sala del giardino d’inverno”, dove la salma del grande tenore fu esposta al saluto di familiari, amici e appassionati. Nella calda giornata del 3 agosto 1921 arrivò qui anche Titta Ruffo, che non seppe trattenere l’emozione. Con la guida del prof. Ugo Piovano, coautore, insieme a Pituello, di una monumentale e documentatissima biografia di Caruso, dal titolo Il Divino Caruso (il copyright dell’aggettivo “divino” è di Giacomo Puccini), la cui pubblicazione, ritardata a causa del Covid 19, avverrà entro il 25 febbraio 2022, giorno del compleanno del tenore. Il pomeriggio trascorre tra l’ascolto di preziosi 78 giri di Caruso riprodotti su grammofoni coevi all’epoca dell’incisione: per ogni gruppo di 78 giri si utilizza uno specifico grammofono. Gli ascolti spaziano da "Una furtiva lagrima" incisa l’11 aprile 1902 dal giovane Caruso al Grand Hotel Spatz-Milan a Milano, fino ad arrivare a quella di I' m'arricordo 'e Napule, dalla voce tonante e brunita di Enrico Caruso del 14 settembre 1920. Il percorso di ascolto prevede, oltre queste due citate, altre dodici incisioni, tra le quali "Vesti la giubba" del 1907, il disco che raggiunse il milione di copie vendute, fino a ‘A vucchella del 1919 e la straziante interpretazione (la migliore, tra quelle di Caruso?) di "Rachel, quand du Seigneur la grace tutelaire" del 14 settembre 1920, tratta da La Juive di Fromental Halévy, ultima opera interpreta il 24 dicembre 1920 da Caruso al Metropolitan di New York.

A metà del percorso di ascolti è prevista una pausa, durante la quale Luciano Pituello procede a premiare varie personalità, legate per motivi artistici, giornalistici, di studio e mecenatismo alla figura di Caruso, consegnando loro medaglie e di riproduzioni del Buddha Caruso, una simpatica e autoironica riproduzione di una forma scultorea effettuata dallo stesso Caruso. Facendo un passo indietro, nel neo Museo Caruso di via Santi Giovanni e Paolo 7 si può ammirare una di queste sculture recante l’incisione della firma ad opera dello stesso Caruso.

C’è una premiazione speciale: è quella che riceve dalle mani di Luciano Pituello il maestro Francesco Meli, uno dei più apprezzati tenori della scena internazionale, vincitore una ventina d’anni fa del Premio Enrico Caruso. A Francesco Meli, prossimo Macduff in Macbeth che aprirà la prossima stagione del Teatro alla Scala, viene donato, posto in un pendente-reliquiario contenente un capello di Giuseppe Verdi, tratto da una ciocca di capelli acquistata a un’asta Bolaffi.

A brillare in questo lungo pomeriggio al Grand Hotel Vesuvio, però, non è solo la magnifica voce di Caruso, ma anche l’assenza dell’Assessore alla Cultura del Comune di Napoli, la quale, benché invitata con tanto di posto riservato, non si è presentata, né ha fatto recapitare un messaggio di scuse: la spiacevole circostanza è stata giustamente sottolineata da Luciano Pituello, tra lunghi applausi di approvazione dei presenti, a cominciare da chi vi scrive. Il posto riservato dall’Assessore è stato poi occupato, su espresso e pressante invito di Luciano Pituello, da Raffaele Reale, anima della meritoria e “visionaria” iniziativa culturale di cui vi abbiamo già raccontato.

Terminati gli ascolti, grazie alla gentilezza e alla disponibilità degli addetti alla reception e della dirigenza del Grand Hotel Vesuvio, poiché non era occupata, è stato possibile far visitare al maestro Francesco Meli la suite (stanza 531) dove Caruso si spense il 2 agosto 1921, assistito dalla moglie Dorothy, il fratello Giovanni e dal Prof. Giuseppe Moscati, futuro Santo per la Chiesa di Roma, chiamato al capezzale per un estremo e ormai tardivo consulto medico.

La serata in onore di Caruso si chiude nella Sala Puccini (tutte le sale del Grand Hotel Caruso sono intitolate a musicisti) con una raffinata cena per una ristretta cerchia di invitati. Si è brindato in onore della memoria di Enrico Caruso; dopo 100 anni è più vivo che mai nel ricordo di artisti, melomani, collezionisti e mecenati carusiani e semplici appassionati.

Le celebrazioni del centenario della scomparsa di Caruso cederanno il passo a quelle per i 150 anni (il 25 febbraio 2023) dalla nascita, come nel rincorrersi circolare tra Morte e Vita. Ciò che resterà immutata, però, sarà la voce di Caruso, quella voce che ad ogni ascolto discografico sembra essere emessa direttamente dai ventricoli cardiaci di un cuore che troppo presto ha smesso di battere e palpitare.