L’Ape musicale

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Calunnie e fucine

Fra le leggende relative alla genesi dell'opera c'è quella della sinfonia perduta e di fretta e furia sostituita con quella preesistente già utilizzata per Aureliano in Palmira ed Elisabetta, regina d'Inghilterra: nulla vi è di strano o inusuale in questa pratica, non è l'unico momento in cui Rossini fa ricorso a musica già utilizzata e, benché sia il solo a veder ripreso pressoché letteralmente un intero numero, la collocazione “avanti l'opera” giustifica già ampiamente l'autoimprestito nella prassi di un'epoca avida di novità e poco interessata all'assoluta originalità, anzi, ben disposta a giocare di allusioni e citazioni. Viceversa, della sinfonia “su temi spagnoli” composta in origine non si sente parlare fino a Ottocento inoltrato: forse perché l'autoiprestito stava passando di moda e l'idea che un capolavoro universalmente riconosciuto condividesse l'ouverture con altri titoli ormai desueti necessitava di una motivazione in linea con la caricatura del Rossini indolente e gaudente?

Oltre alla Sinfonia, molta musica dell'Aureliano, fra cui la stessa ouverture, era già confluita in Elisabetta Regina d'Inghilterra, questa e altre si ritroverà nel Barbiere. Fra queste la cabaletta di Arsace, “Non lasciarmi in tal momento”, affidata alla sovrana inglese come “Questo cor ben lo comprende”, diverrà “Io sono docile” grazie anche agli spunti delle variazioni di Giovan Battista Velluti, primo interprete dell'Aureliano [Per approfondire leggi della conferenza di Will Crutchfield a pesaro nel 2014]

Non si tratta degli unici casi in cui Rossini attinse a suoi lavori precedenti, come L'occasione fa il ladro e La pietra del paragone, in cui già compare il temporale del secondo atto, o la citata aria per Rosina soprano “Ah s'è ver che in tal momento”, che mutua la cabaletta da Sigismondo e dalla cantata Giunone. Uno dei casi più interessanti di autoimprestito è, però, quello costituito da un tema di crescendo che compare nel Duetto fra Aldimira e Ladislao nel primo atto del Sigismondo. La donna, già regina scampata a una condanna ingiusta e ora celata sotto mentite spoglie, incontra, senza svelarsi ma in un clima di crescente tensione, il ministro che, seduttore deluso, l'aveva calunniata:

Ladislao
E come sai?.. che intendi!..

Aldimira
Non domandarlo a me.

Ladislao
Chiederlo! e a chi degg’io?

Aldimira
(colla più gran forza)
A te lo chiedi, a te.

Ladislao
A me! qual tuo deliro!

Aldimira
No, ch’è martiro in me.

Ladislao
E chi ti dà tormenti?

Aldimira
A te lo chiedi, a te!

Ladislao
Follia ti detta accenti;
non troverai mercé.

Aldimira
Ragion mi detta accenti;
sì, troverò mercé.

 

In questo momento il tema principale in orchestra è esattamente quello del crescendo che si innesca nell'aria di Don Basilio dalle parole “Piano, piano, terra terra”.

Lo stesso tema s'affaccia oggi in filigrana in un altro momento cruciale legato a una calunnia. Nel duetto fatale del terzo atto di Otello. È chiaro che in questo caso Rossini non riutilizza, come in altre occasioni, un tema quale puro materiale asemantico, bensì identificandolo, seppur in registri espressivi differenti fra dramma e commedia, con uno stesso, preciso significato. Proprio questo passaggio trasversale dalla calunnia di Ladislao a quella di Don Basilio fino a quella di Iago si rivelò, però, difficile da gestire e presentare al pubblico ottocentesco: il Radiciotti parla di “infelice idea” che sciupa l'effetto del duetto, altrimenti “magnifico”. Sparito rapidamente dal repertorio il Sigismondo, sopravvivente Otello a fronte del successo universale e inarrestabile del Barbiere, l'associazione comica nel precipitare della catastrofe tragica costrinse Rossini a celare il tema, dando al duetto la forma stabilizzatasi poi nel repertorio.

Parimenti, non fu facile inserire allusioni al Barbiere in lavori successivi man mano che quest'opera si affermava come la più celebre di Rossini: fu ripreso e rielaborato "Cessa di più resistere", da subito scomodo ai tenori e quindi destinato a più salde fortune nel trionfo mezzosopranile di Cenerentola; la citazione del tema della calunnia non fu ben digerito.

Un caso recentemente riscoperto, però, mostra un autoimprestito a distanza di pochi mesi dalla prima romana: nel settembre dello stesso 1816 va in scena a Napoli, al teatro del Fondo, La gazzetta l'unica opera buffa partenopea di Rossini, che le destinò, invero, ben poca musica originale, ricorrendo ampiamente alla Pietra del paragone e al Turco in Italia (ma componendo una sinfonia che, in buona parte, troverà gloria qualche mese dopo anteposta alla Cenerentola). A metà del primo atto si colloca un importante quintetto solo recentemente recuperato i cui versi, nella stretta, recitano:

Mi par d’esser con la testa
in un’orrida fucina,
ove cresce e mai non resta
un continuo susurrar.
Alternando questo e quello
pesantissimo martello,
che coi colpi d’ogni intorno
fanno l’aria rimbombar.

L'idea musicale è la medesima del finale primo del Barbiere, diverso lo sviluppo sia per l'organico differente (quintetto e non sestetto, con una voce maschile grave in meno) sia soprattutto per la collocazione che esige, rispetto al finale d'atto, proporzioni e respiro assai meno ampi.


 

 

 
 
 

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