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La terra con il cielo

 di Roberta Pedrotti

In occasione del Giubileo della Misericordia la scopertura dell'inestimabile pavimento del Duomo di Siena rende la visita alla "Porta del Cielo (i camminamenti fra la cupola e la facciata) un'esperienza straordinaria, che rivela in tutto il suo splendore, con l'intero complesso museale legato alla cattedrale, il profondo intreccio simbolico della città del Palio.

Siena è la città dove, due volte all'anno, c'è la terra in piazza, in cui la natura, la dimensione atavica irrompe nel cuore della comunità. È la città della passione viscerale e della ritualità antica, del sacro e del profano. È la città in cui il fantino vincitore, su quell'anello di tufo sorto nel cuore urbano civile, leva in alto il nerbo di bue per unire, in un giubilo che è rinascita e rinnovamento, vivi e morti, terra e cielo.

A Siena, nel centro religioso del Duomo, la prima figura a darci il benvenuto è quella esoterica e sapienziale di Ermete Trimegisto in qualità di “contemporaneo di Mosé” (ma il fatto che, su cinquantatremila abitanti, si contino almeno quattro logge massoniche non passa inosservato), segue l'effigie della lupa, la stessa capitolina che Senio e Aschio, figli gemelli di Remo scacciati dallo zio, condussero con loro in Toscana dove fondarono una nuova città che la prese a emblema – coronato da quelli, in figura totemica d'animale, delle città alleate, Roma compresa (qui un elefante). Segue un numero nutrito di Sibille, corrispettivi pagani dei profeti veterotestamentari della venuta di Cristo, ma decisamente preponderanti rispetto ai colleghi maschi, a differenza dell'alternanza paritaria raffigurata da Michelangelo nella Cappella Sistina. Sarà un caso, ma i gemelli fondatori ersero, nell'attuale Piazza del Campo un altare a Minerva, in era cristiana la città sarà consacrata alla Madonna (e darà all'Italia intera la sua patrona, politicamente attivissima, in Caterina Benincasa): Siena è nata, è stata ed è tuttora una città in cui l'aspetto femminile del sacro – anche al di là della religione – è profondamente radicato, così come un senso del trascendente inscindibile dalla concretezza immanente. Poche realtà come quella senese possono rappresentare in maniera tanto eloquente il profondo senso etimologico di simbolo, dal greco συμβάλλω (symballo): unisco, metto insieme, anche segno e significato, o più significati.

Uno dei simboli della città è il pavimento del Duomo: la terra che parla nella città della terra e del cielo, della città che rivela la sua anima quando riporta il tufo in piazza. Un capolavoro inestimabile nato, in uno dei tanti sublimi contrasti senesi, per essere calpestato, per consumarsi lentamente raccontando il suo intrico sacro e profano sotto i passi dei visitatori, devoti di fronte a un percorso di sapienza che mescola allegorie della Fortuna, Socrate, Pizie, saggi ermetici e profeti d'Israele, episodi biblici, la Strage degli Innocenti e la visita a Siena dell'imperatore Sigismondo. Da qui si leva lo slancio di un gotico toscano perfettissimo, in cui ogni angolo, come del resto in tutta la città, sembra pensato da uno scenografo per mostrare il migliore degli scorci possibili.

Oggi il pavimento è per lo più protetto da una copertura, ma in casi come quello, quest'anno, del Giubileo della Misericordia si svela in tutta la sua meraviglia, restituendo nella sua pienezza lo straordinario disegno complessivo del Duomo. In quest'occasione abbiamo l'opportunità di avvicinarci al cielo per ammirarlo dall'alto, nel suo splendore, nella sua completezza, lontani dai particolari che osserviamo da vicino, prossimi al suo complesso disegno generale.

L'ascesa verso la facciata e la cupola del Duomo di Siena è un'opportunità che non si può perdere e che lascia una traccia profonda. Le scale, ripide e anguste, i corridoi da percorrere con cautela in fila indiana si aprono all'improvviso su spazi aperti incantevoli, sull'armoniosa e ardita divinità dell'opera umana. E là dove la bellezza intatta di quelle vetrate, pienamente godibile – parrebbe – solo di lassù, di quelle architetture e di quelle prospettive impareggiabili sembrano sospese in una sovrumana perfezione, sembrano pura trascendenza, ecco che gli spazi destinati ieri agli operai e agli artigiani – creatori e manutentori – oggi a studiosi e restauratori ci ricordano quanta fisicità, quanta manualità, quanta concretezza vi sia in tutto questo. E non si può fare a meno di pensare come uno degli angoli più belli di Siena fosse il regno del lavoro, come la bellezza più sublime riposi a pochi metri dai rudi attrezzi che l'hanno creata. Ancora una volta, la terra e il cielo come la natura e la civiltà, la carne e lo spirito, i mille volti e i mille livelli semantici che s'intrecciano nell'identità senese.

Così, dalle vette segrete del Duomo, si scende là dove il pavimento è posto per esser calpestato, e ogni 16 agosto risuona del Te Deum del popolo della contrada vincitrice, nel rinnovarsi di un rito che è lo spirito della comunità al di là anche della confessione religiosa. Perché a Siena, come nella Grecia antica, non è tanto importante la fede individuale nella divinità, quanto la condivisione di un'anima della polis.

Dal cielo si può scendere sotto terra, nella cripta riscoperta sgargiante di antichi affreschi (solo i toni di rosso e cremisi di alcuni manti valgono la visita) e nel cui pavimento si scorgono aperture abissali nella più remota storia cittadina.

Quanto in profondità si può scendere, fisicamente nel cuore di Siena? Nei livelli più reconditi delle fondamenta del Duomo? Fra i “bottini”, l'antica rete idraulica che suppliva all'assenza di un corso d'acqua urbano aprendosi sulle inestimabili fonti (Fonte Gaia e Fonte Branda saprattutto)? In quegli stessi bottini alla ricerca della leggendaria Diana, il sotterraneo fiume fantasma citato anche da Dante e che qualcuno giura si possa sentir mormorare in qualche angolo del centro, il cui nome designa anche il ritmo scandito dai tamburini per la Passeggiata storica il giorno del Palio? O risalendo ancora, sul cosiddetto Facciatone, o Duomo Nuovo, la parete che s'erge in un temerario “folle volo” a ricordar l'impresa accarezzata dai senesi di ampliare la cattedrale per farne la più grande chiesa della cristianità?

Per salire sul Facciatone si attraversa il museo dell'Opa del Duomo, la cui perla è senz'ombra di dubbio la Maestà di Duccio di Boninsegna, una delle più straordinarie e affettuose espressioni rapporto fra Maria e la Città, identificate in un'unica devozione. Commuovente, teneramente orgogliosa è la dedica ai piedi del trono“MATER S(AN)CTA DEI / SIS CAUSA SENIS REQUIEI SIS DUCIO VITA TE QUIA / PINXIT ITA” (Madre santa di Dio, reca pace a Siena, sii vita per Duccio, che così ti dipinse). Tuttavia, sarebbe un errore tralasciare anche la più piccola opera custodita qui, perché ciascuna, dal reliquiario alla rosa d'oreficeria dono papale, dal dipinto settecentesco al tondo di Donatello custodisce un frammento di quotidianità, di umanità, è un simbolo. E tanti altri si possono trovare nella meraviglia del Battistero, la cui fonte è ornata anche da altri finissimi lavori di Donatello, della Libreria Piccolomini (cui si accede dall'interno del Duomo), dai solenni affreschi storici ai dettagli miniati dei codici, o nei dipinti del Sodoma e del Beccafumi nell'Oratorio di S. Bernardino, accanto alla chiesa di San Francesco, al cui interno ci celebrò il centenario della nascita di Verdi con un'esecuzione straordinaria del Requiem voluta dal conte Chigi – fondatore dell'Accademia Chigiana - e alla presenza di Arrigo Boito. Nella stessa chiesa di S. Francesco, affacciata su una piazza spartita fra le antiche rivali Bruco e Giraffa, le bandiere ricordano la sacralità intrinseca nel Palio, e che nessun dio, a Siena, potrà mai contendere ed escludere lo spazio che la contrada occupa nel cuore del singolo rendendolo parte fondamentale della città e della sua rete sociale.

Dalla porta del cielo lo sguardo può abbracciare Siena in un unico simbolo di sacro e profano, natura e civiltà, istinto e controllo, carne e spirito, elevazione e profondità. 

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