L’Ape musicale

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I libretti di Madama Butterfly

Da dove viene questa lucida considerazione della piccola Cio Cio San sull'opportunità di un matrimonio a tempo? Da lontano, ma non troppo.

La fonte primaria fedelmente seguita da Illica e Giacosa è la pièce di David Belasco Madame Butterfly (1900), tratta dal romanzo omonimo di John Luther Long (1898). Quest'ultimo è stato influenzato dal successo della novella semiautobiografica Madame Chrisanthème di Pierre Loti (1887), che nel 1893 ispirò l'opèra-comique di André Messager. Se le differenze con il romanzo e il dramma inglese sono minime (eccezion fatta per un finale ambiguamente sospeso ed elusivo in Long, identico all'opera in Belasco), più interessante è il confronto con i testi francesi, proprio alla luce dei versi scremati da Puccini fino alle recite parigine.

Kiku San, la bella geisha detta Madame Chrisanthéme, è, infatti, nella penna di Loti un personaggio ben più smaliziato della nostra Cio Cio San: accetta di buon grado il contratto senza farsi illusioni, sopravvive all'abbandono e lascia un dolce ricordo in Pierre. Il passaggio all'opèra-comique, com'è naturale, accende i sentimenti, ricerca un maggiore pathos e nell'epilogo il protagonista maschile, tornato in patria, rilegge l'ultima lettera della sua moglie “temporanea”, che gli rivela come il sorriso con cui l'ha salutato alla partenza celasse le lacrime di un amore vero. Questa prima ombra di dolore sarà il seme da cui germoglierà, da un grazioso racconto sugli usi esotici intriso di nostalgia e lieve erotismo, la tragedia dell'attesa senza speranza.

Il passaggio da Loti e Messager a Madama Butterfly in letteratura, prosa e opera non è certo, però, così semplice e lineare: la forza del dramma di Cio Cio San non si alimenta solo dell'elaborazione tragica ispirata da un aneddoto orientale, ma riprende temi ben più antichi e topoi ben più imponenti. Basterebbe declinare il catalogo di sedotte e abbandonate, di fanciulle ingannate e portate al suicidio che allignano dalle mitologie alle letterature d'ogni tempo e luogo per trovare una schiera ben nutrita di sorelle maggiori per la nostra piccola geisha, non ultima quell'Iris (1898) di Mascagni ripudiata e maledetta da un padre basso come lo Zio Bonzo, rapita e gettata via da un tenore libidinoso sodale d'un baritono viscido e ben poco comprensivo, a differenza di Sharpless. Tutto si consuma, però, nel paese del Sol Levante, manca il contrasto fra culture, manca l'alterità come barriera fra i due amanti, che è elemento fondamentale in ogni Madama Butterfly. Lo è quando, nella versione corrente, Cio Cio San è lasciata praticamente da sola a fissare il mare in attesa di un ritorno da un mondo lontano, lo è ancor più quando, nella prima stesura, Pinkerton si abbandona a commenti sprezzanti e sarcastici su tutto ciò, usi cibi o persone, che è giapponese, mentre la fanciulla resta ancorata a modi di dire e nenie della sua infanzia e della sua tradizione.

Cio Cio San è madre ed è straniera rispetto all'uomo che ama, il quale, senza mezzi termini, intende sbarazzarsi di lei per un conveniente matrimonio con una connazionale, salvo comunque preservare la discendenza e tenere con sé la prole nata dalla prima relazione. Cambiamo i nomi, parliamo di Colchide e Grecia invece che di Giappone e USA, di Medea, Giasone e Glauce/Creusa invece che di Cio Cio San, Pinkerton e Kate e il parallelo è evidente. Madama Butterfly è una moderna Medea in cui la protagonista pone l'amore materno sopra ogni cosa e punta all'autodistruzione invece che all'autoaffermazione. Così come la maga colca e tutte le infanticide del mito vedono nei fanciulli il ritratto del padre su cui intendono vendicarsi privandolo di discendenza, così Cio Cio San vanta i tratti occidentali del piccolo, ereditati da Pinkerton. Così come Giasone rinfaccerà a Medea d'averlo stregato con il suo fascino, l'ufficiale americano è preda di un'infatuazione puramente erotica e definire “duetto d'amore” quello che chiude il primo atto resta un madornale errore di valutazione, trattandosi di pura concupiscenza da parte dell'uomo. Come Medea recide anche brutalmente i legami con la sua terra e la sua famiglia, così Cio Cio San rinnega ed è rinnegata. Ma la principessa di Colchide è una donna forte, sophé e mekaniké, sapiente ed esperta nelle arti magiche e mediche, ha gli strumenti per vendicarsi e l'orgoglio ad alimentarne la volontà; Butterfly non ha altra risorsa che “divertir la gente col cantar”e ha riposto tutta se stessa nell'illusione dell'amore di Pinkerton: distrutta questa è distrutta anche lei stessa, non è contemplata l'ipotesi della vendetta per “serbar vita con onore”. Nella poetica dei primi del Novecento la donna è angelo o demonio, femme fatale o vittima: di Medea Cio Cio San eredita i torti, non le armi, si fa angelo con ali di farfalla e muore trafitta.

L'aspetto più umano di Medea, quello più vicino alla tragedia di Puccini, fondato sul suo isolamento e sulla sua distanza culturale rispetto a Giasone, risalta soprattutto nella versione che ne diede Franz Grillparzer nel 1821. Da questa Aribert Reimann trasse la sua opera Medea (2010), nella quale, appunto, l'espressione anche musicale della protagonista differisce strutturalmente rispetto ai personaggi greci e in una scena emblematica vediamo la sposa ripudiata di Giasone cercare disperatamente di adeguarsi ai modi melodici “occidentali”, imitanto il canto della rivale Kreusa, paziente maestra. Esattamente come Cio Cio San si ostina a mostrare la sua come una “casa americana”, assecondando in tutto Pinkerton e abbracciandone la religione. Non ci riuscirà esattamente come la prima Cio Cio San continuerà a cantilenare nenie nipponiche. Così si chiude il cerchio e nelle metamorfosi di Madama Butterfly s'incontrano e s'intrecciano anche le metamorfosi di Medea.

Un ringraziamento particolare va a Stefano Ceccarelli per il confronto sul parallelismo fra Medea e Madama Butterfly, da entrambi separatamente notato.

 


 

 

 
 
 

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