Il Villaggio globale

 di Gina Guandalini

Gina Guandalini ricorda Paolo Villaggio e i suoi personaggi fra cinema e letteratura, teatro, musica, radio e tv.

 Se ne è andato il 3 luglio 2017 lo scrittore, attore comico, presentatore e sceneggiatore genovese Paolo Villaggio. Era nato nel ’32 a Genova nella media borghesia. Con la creazione della maschera popolare del ragioniere Ugo Fantozzi, vittima di tutte le più grottesche sfortune e di tutti i soprusi personali e professionali, Villaggio ha inventato per questa sua narrazione in un nuovissimo linguaggio surreale e tagliente che ha introdotto una nuova aggettivazione e infine ha contribuito al nostro modo di parlare.

Paolo Villaggio conosce il suo concittadino Fabrizio De André fin dal 1948 e con lui negli anni Cinquanta diviene cabarettista e intrattenitore sulle navi della Costa Crociere. Entrambi si esibiscono anche in piccoli teatri della Liguria, componendo finte canzoni folk e della resistenza, all’insegna dell’improvvisazione più delirante. In seguito Paolo sarà il paroliere di alcune canzoni di De André, in particolare quella, censurata e discussa, intitolata Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitiers. Si profila un talento dissacrante molto prima che questo aggettivo diventi di moda: l’ironia di questo comico genovese è tanta e tale che non tutti, non subito, riescono a capire dove finiscono lo scherzo e lo scherno, e dove inizia la verità, se una verità esiste. Per esigenze familiari Villaggio è costretto a impiegarsi all’Italsider di Genova, esperienza frustrante da cui ricaverà il suo personaggio-feticcio.

Dal ’56 al ’66 partecipa agli spettacoli satirici della compagnia goliardica genovese Baistrocchi, anticipando due “caratteri” opposti e complementari, l’ometto super-timido e il presentatore che maltratta il pubblico. Sarà quest’ultimo a essere conosciuto per primo dal pubblico italiano, quando Maurizio Costanzo scopre Villaggio agli spettacoli del Derby, storico cabaret di Milano, e lo invita a esibirsi a Roma. Qui il passaggio alla televisione è rapido: nella trasmissione Quelli della domenica il feroce e fallimentare prestigiatore tedesco Franz Kranz (la madre di Villaggio era insegnante di tedesco) a partire dall’inizio del 1968 suscita scalpore. È un programma storico: segna il debutto nei media anche di Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni, in arte Cochi e Renato, e, anche loro esibiscono una innovativa surrealità. I testi sono ufficialmente accreditati a Marcello Marchesi, Italo Terzoli, Enrico Vaime e allo stesso Costanzo, ma la creatività autonoma di Villaggio, Pozzetto e Ponzoni è evidente.

Contemporaneamente escono sull’Europeo e sul Corriere della Sera raccontini iper-grotteschi, esilaranti sulle vessazioni cui è sottoposto un impiegato sfigato e servile che lavora – o comunque fa quotidiano atto di presenza – come ragioniere in una spietata multinazionale. Presto sono raccolti e stampati dalla Rizzoli. Pasolini loda, con polemica ammirazione, la neolingua inventata da Paolo Villaggio nei libri della serie Fantozzi. Come prevedibile, la traduzione in russo ha uno strepitoso successo anche in Unione Sovietica. I racconti dello sfortunato impiegato vengono probabilmente apprezzati dal poeta Evghnji Evtushenko. Ma non è chiaro se Villaggio, invitato a un convegno di scrittori in Russia, sia stato elogiato da Evtusehenko con irritazione di Moravia, o se Evtushenko lo abbia elogiato in occasione di un convegno della Fondazione Cini a Venezia. Questione da appurare; come ancora da riabilitare dal punto di vista letterario è il nostro grande autore e interprete comico genovese. A ridosso dei successi televisivi iniziano i programmi radiofonici da lui ideati e condotti. Tutto sul filo di un umorismo nuovo e assurdo.

In questi giorni sentiamo affermare che Fantozzi, del 1974, sarebbe il primo film girato da Paolo Villaggio. Che è invece preceduto – a partire da quel cruciale 1968 –da tredici pellicole tutte di originale, spesso frenetica comicità (e c’è addirittura una particina in un musicarello di Al Bano e Romina). Nella fase cinematografica pre-Fantozzi di Villaggio spicca l’importante collaborazione con Vittorio Gassman, che dopo averlo avuto come satirico mercenario teutonico in Brancaleone alle Crociate, scrive e interpreta insieme a lui Senza famiglia e Che c'entriamo noi con la rivoluzione?In questo film Villaggio non riesce a intonare il motivo di “La donna è mobile” in maniera accettabile; gira all’epoca la voce che Gassman, che dall’alto del suo metro e novanta definisce il suo nuovo partner “un incrocio tra Rigoletto e Toulouse-Lautrec”, voglia portare in teatro Il re si diverte di Victor Hugo, ovviamente con se stesso come Francesco I e Villaggio nel ruolo di Triboulet; ma non se ne fa nulla. Prima di Fantozzi avvengono anche gli incontri con Marco Ferreri (Non toccare la donna bianca), con Nanni Loy (Sistemo l’America e torno) e con Pupi Avati (La mazurca del barone, della santa e del fico fiorone).

Inoltre, precedono e anticipano i film di Fantozzi con abbondanza di gags due produzioni televisive a puntate che sarebbe forse il caso di riproiettare integralmente: Il killer, del ’69, con Alberto Lionello e Valentina Cortese, una farsesca guerra tra due produttori di gelati; e Giandomenico Fracchia, del ’74, un vero e proprio musical con i talenti di Gianni Agus e Ombretta Colli.

La saga del ragionier Fantozzi Ugo andrà avanti per dieci film, dal ’74 al ‘99. La critica è unanime nell’esaltare i primi tre; ma anche Superfantozzi (1986) è di pura e forte comicità. Lo squallido impiegato è una nullità che tutti calpestano. Non ha talento, e lo sa. Si batte per sopravvivere, in mezzo a una schiera di caratteristi uno più mitico dell’altro, Reder, Mazzamauro, Bosisio, Vukotic, Fernando, Anatrelli, Allocca, Roncati…. Ma il povero impiegatuccio gogoliano è pieno di sogni. E diviene così indistruttibile. Il pubblico ci si riconosce, ride e continua a comportarsi come lui.

Non a caso, Sogni mostruosamente proibiti è il primo titolo tra i film non-Fantozzi che suggerisco per un riesame. Contiene una sequenza già brillantemente sfruttata da Danny Kaye nel ’54 in Un pizzico di follia (Knock on Wood): inseguito da ferocissimi cattivi, il goffo protagonista si rifugia in un teatro dove si svolge un balletto classico e deve mescolarsi al cast professionale che danza in scena, con risultati esilaranti. Poi c’è Signore e signori, buonanotte, satira politica e televisiva a molte mani (Comencini, Loy, Magni, Monicelli e Scola) che per l’asprezza dei toni e l’imponenza del cast comico meritava di rimanere accanto a I mostri. Rivediamoci Il bel paese, per la regia di Luciano Salce (1976), dove un ingenuo ingegnere torna da anni di lavoro nell’Oceano Indiano in un’Italia devastata da rapimenti e droga. Ancora Salce firma una divertente spoof di Hemingway con Villaggio protagonista, l’episodio “Sì, buana” in Dove vai in vacanza?

Con la regia di Steno Villaggio è protagonista di Dr.Jekyll e gentile signora (1979) e di Bonnie e Clyde all’italiana (1982), tuttora originali e godibilissimi. Meritano migliore considerazione tre testi teatrali adattati per il cinema: La Locandiera di Goldoni, in cui il comico genovese è il marchese di Forlimpopoli (1980), Il turno di Pirandello, sceneggiato e diretto da Tonino Cervi nell’81, con Gassman, la Antonelli e Turi Ferro accanto al Don Pepe Alletto di Villaggio; e Il Volpone, efficacemente tratto dal classico di Ben Jonson, con anche il Mosca di Montesano e poi Enrico Maria Salerno e Alessandro Haber (1988). E nella lettura dei Promessi Sposi di Francesca Archibugi, realizzata alla RAI nel 2004, il Don Abbondio di Villaggio – la sua ultima grande creazione - a mio parere si fa preferire a quello di Sordi: più bonario, più “settentrionale”.

Ma ecco che negli anni ’90 si fanno avanti i giganti del cinema: Fellini (il ragionier Gonella in La voce della luna porta a Villaggio il Leone d’Oro alla carriera nel ’92), la Wertmüller, Ermanno Olmi, Monicelli, Salvatores. Questa è storia.

Infine il contatto “personale”: una tappa importante della carriera di Villaggio è l’interpretazione teatrale dell’Avaro di Molière a Milano nel ’97. Presentato come “il debutto di Villaggio nella prosa”, lo spettacolo è concepito e programmato da Strehler. Ma per complesse vicissitudini che si riassumono nella nomina di Jack Lang a direttore del “Piccolo” con conseguente autoesilio del grande regista triestino, quel Molière, in concreto, lo firma Lamberto Puggelli. Assisto a un Arpagone insieme classico e personale, ricco di autorità comica; non un tipo grifagno e duro, ma un personaggio preso in giro dal nido di vipere che gli sta attorno, un padre che si crede generoso ma è molto infantile. Sì, in quell’Arpagone c’è anche Fantozzi, perché il corpo è lo stesso, la voce la stessa, e così l'infantilismo.

Assisto anche ad alcuni dei suoi ultimi monologhi teatrali, compresa le “Serate d’addio” con vari titoli, che, in stile Frank Sinatra, girano moltissimo. Il nostro vecchio attore ci tiene, in quell’ultima fase di carriera, a privilegiare sulle altre l’immagine di veterano del palcoscenico: “Quanti ricordi! Le litigate con Strehler, l’odore dei camerini…”. Al teatro La Cometa mi autografa il programma di sala dell’Avaro e si lascia andare a qualche maligno ricordo del primo attor giovane. Al Sistina di Roma, all’ovazione finale (se ben ricordo applaudiva anche Masolino D’Amico) una signora gli grida “Sei un poeta, Paolo!”