Shakespeare, il contemporaneo

 di Giuliana Dal Piaz

In occasione del Forum Stratford Festival, nella cittadina dell'Ontario, viene presentato e discusso il libro di Stephen Greenblatt, Tyrant: Shakespeare on politics. Un volume che mette in luce anche i paralleli fra il contesto politico riflesso nelle opere di Shakespeare e l'attualità statunitense, ma anche italiana e di altri paesi.

Stratford (Ontario), 1 giugno 2018 - Nella provincia dell’Ontario, in Canada, esiste una ridente cittadina chiamata Stratford (completa di un piccolo fiume Avon) che negli anni ’50 del secolo scorso diventò la sede di un festival di teatro, lo Stratford Festival, appunto. Iniziò come una piccola iniziativa dall’incerto futuro, ma oggi è la maggior compagnia teatrale di repertorio classico dell’America del Nord, dov’è straordinariamente nota. La sua stagione annuale va da fine maggio ai primi di novembre, e presenta ogni anno una dozzina di produzioni in quattro diversi teatri. Produce drammi classici e contemporanei e qualche musical, ma dedica speciale attenzione alle opere di William Shakespeare. La prima stagione, aperta dalla produzione di Tyrone Guthrie del Riccardo III interpretato da Alec Guinness, risale al lontano luglio 1953.

Non più limitato alla presentazione di opere teatrali e con un settore “educazione” in grande sviluppo, lo Stratford Festival presenta ora anche dei Forum mattutini di discussione e interviste con personalità del mondo culturale e teatrale. Il primo Forum del 2018 ha avuto luogo il 1º giugno, presso lo Studio Theatre (la sede teatrale più “piccola”, ma particolarmente accogliente, tra le quattro del festival): il dialogo tra il noto docente di Humanities dell’Università di Harvard, Stephen Greenblatt, studioso da sempre delle opere e dell’epoca di Shakespeare; l’attore e regista di origine italiana Antoni Cimolino, dal 2013 Direttore artistico del Festival, e il giornalista canadese Paul Kennedy, che dirige il programma radio della CBC Ideas.

Date le scelte operate da Cimolino nel programma della Stagione 2018, come egli stesso ha scritto nella presentazione dell’evento, “l’ultimo libro [di Greenblatt], questo Tyrant: Shakespeare on Politics, incredibilmente in consonanza coi nostri tempi, rappresenta il complemento perfetto della nostra stagione, in cui figurano ampiamente questioni di tirannide e democrazia, con opere come Coriolano, Giulio Cesare e La tempesta. Con Paul Kennedy della CBC che proporrà le sue particolari domande in proposito, discuteremo di politica ai tempi di Shakespeare e ai giorni nostri.”

È stato effettivamente così.

Nel suo primo intervento, Greenblatt ha esposto la situazione storica al tempo di Shakespeare, l’esistenza di una forte censura su quanto veniva scritto o espresso o rappresentato e l’abilità del drammaturgo in quello che ha definito “discorso obliquo”: egli narrava infatti di avvenimenti di un remoto passato per presentare ai suoi contemporanei metafore della situazione politica e sociale in atto e per lanciare avvertimenti sulle trappole esistenti o possibili a futuro. Ecco quindi la serie di opere sull’antica Roma, dall’epoca della repubblica (Coriolano) alla fine della repubblica stessa (Giulio Cesare) e all’Impero (Antonio e Cleopatra o Tito Andronico).

Dopo la morte di Elisabetta I, che aveva mostrato particolare indulgenza per il genio di Shakespeare mentre in genere reprimeva severamente i cattolici dissidenti, l’avvento degli Stuart determina la speranza di un cambiamento radicale nell’atmosfera del regno. Shakespeare – sperando in una tolleranza regale pari a quella di Elisabetta – osa occuparsi di un periodo storico relativamente più vicino: il secolo appena precedente l’epoca dei Tudor.

Il libro in presentazione, Tyrant, segue il gioco: facendo riferimento – attraverso la trilogia degli Enrichi di Shakespeare – al conflitto dinastico che dette inizio alla Guerra delle Due Rose nel 1455, solo trent’anni prima dell’avvento dei Tudor, Greenblatt istituisce un parallelo impressionante tra la politica inglese e quanto sta accadendo ai giorni nostri nel mondo con il diffuso montare dei populismi. Scrive Greenblatt nel suo secondo capitolo “Politica dei partiti”, “...l’odio è una parte importante di ciò che porta al crollo [della società] ed eventualmente alla tirannide. Rende quasi insopportabile la voce dell’avversario, anche quando ben ponderata. O sei con me o contro di me – e se non sei con me, ti odio e voglio distruggere te e tutti coloro che ti seguono. Ogni partito è naturalmente alla ricerca del potere, ma la ricerca diventa in se stessa un’espressione di rabbia: voglio il potere per schiacciarti. La rabbia genera insulti, e gli insulti generano azioni scandalose, e le azioni scandalose incrementano a loro volta la rabbia. Tutto comincia a muoversi in una spirale fuori controllo.” (Stephen Greenblatt, Tyrant: Shakespeare on politics, Norton & Co. New York, 2018 – pagg. 27-28).

E ancora, nel terzo capitolo, emblematicamente intitolato “Populismo fraudolento”: “Il populismo può apparire come una preoccupazione per coloro-che-non- hanno, ma in realtà è una forma di cinico sfruttamento. Il capo privo di scrupoli non prova alcun interesse reale a migliorare la situazione delle classi povere [...] di fatto, le disprezza [...] e le considera volubili, stupide, immeritevoli ed eliminabili. Ma si rende conto che esse possono essere indotte ad assecondare le sue ambizioni” (id. – pag. 35).

Chiaramente, Greenblatt sta istituendo un parallelo tra la storia dell’Inghilterra pre e post-rinascimentale e la sua realtà odierna negli Stati Uniti, ma, come ha fatto notare Cimolino in uno dei suoi interventi, le stesse riflessioni sono ormai applicabili anche a paesi come l’Ungheria, la Polonia, l’Italia...

Il “discorso obliquo” non verrà più praticato da Shakespeare dopo il 1608 e una serie di eventi lo allontanerà dalla Corte e dalla vita a Londra: nel 1605, dopo un paio di altri falliti attentati, il Gunpowder Plot di Guy Fawkes provoca un inasprimento dei provvedimenti anticattolici; la compagnia teatrale scespiriana dei “Kings’ Men” vede diminuire il favore reale, prende fuoco il Globe Theatre, sede della compagnia; e alla fine del 1608 inizia l’epidemia di peste che devasterà Londra per tutto l’anno seguente. Ritiratosi a Stratford, Shakespeare appare di tanto in tanto nella capitale, scrive altre tre opere prive di un finale tragico, i “romances”, ultimo dei quali La Tempesta, e collabora con Fletcher ad altri testi minori. Ma l’Uomo della Regina, e poi fugacemente del Re, non è più uomo di Corte.

È immediata la percezione di quanto sia particolare il pubblico dello Stratford Festival che d’estate affolla la cittadina dell’Ontario: interessato, informato, in genere colto, composto da persone di tutte le età, comunica l’impressione di una grande festa collettiva.