L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Il sorriso della sfinge

 di Roberta Pedrotti

Un ricordo di Bruno Cagli, intellettuale insostituibile per la cultura, l'arguzia, l'umanità.

Il completo grigio, la giacca impeccabile, mai un capello fuori posto anche in pieno agosto con il sole a picco. Gli occhi a fessura, quell'espressione sagace, arguta che al momento giusto sapeva liberare, nella sua voce leggermente nasale, un'inflessione romana. La figura di Bruno Cagli sembrava intagliata nel legno, ma nel lampo della sua cultura, della sua intelligenza si animava di una straordinaria, magnetica espressività. Poco importavano anche i dubbi sulla sua vera età (che le enciclopedie posticipavano di cinque anni), perché c'era in lui qualcosa di eterno, di sfuggente e insieme incisivo.

Si vedeva nel suo sguardo, sempre tagliente, attento, lucido il disegno perfetto di ogni suo discorso, che abbracciava i panorami più ampi senza mai perdersi in essi. Le sue conferenze avevano una costruzione perfetta, da manuale di oratoria per la capacità di rendere teatrale e piccante la sapienza pur senza la vis estroversa dei colleghi Gossett e Zedda. Con quel tono pacato e sornione sapeva aprire orizzonti partendo da un dettaglio, un'immagine, un aneddoto che s'imprimeva nella memoria. Carlo II di Borbone sul letto di morte che determina, con la disputa per la successione, i destini politici d'Europa; un aneddoto sul pittore Deogratias Lasagna iscritto nel rapporto fra Rossini e Verdi e subito sapeva immergere in un mondo, guidare per mano alla scoperta del nodo del suo discorso, aprire parentesi senza lasciarle sospese, condurre alla meta e chiudere perfettamente tornando al punto di partenza.

Così era quando scriveva, con una chiarezza, un'articolazione esemplari e immagini icastiche, definizioni felicissime, fulminanti. Res tene, verba sequentur, è vero, ma se Bruno Cagli l'argomento lo padroneggiava in tutti i suoi meandri, le parole fluivano anche con la scintilla di un talento speciale di scrittore. Scrittore e lettore accanito, un "vecchio bibliofilo" si definiva lui stesso con l'inconfondibile sorriso enigmatico. Così chi lo conosceva soprattutto per la sua attività nel mondo musicale poteva stupirsi nello scovare una vecchia edizione del Viaggio in Italia del marchese De Sade con la sua cura e introduzione; e non si poteva fare a meno di acquistare il volume e scoprire altre sfaccettature di Cagli letterato e storico. Un intellettuale completo, profondo, acuto, immerso nelle arti dalla nascita, nipote del pittore Corrado di cui ricordava con un certo orgoglio anche l'attività di scenografo quando citava la messa in scena del Tancredi rossiniano "con le scene di mio zio".

Musicologo, intellettuale, scrittore, storico, letterato, direttore artistico di fortissima personalità, Bruno Cagli aveva un'attenzione, una disponibilità che andavano oltre la cortesia e la buona disposizione del professore: più di una volta gli ho sottoposto idee e scritti e le sue parole non sono mai state di circostanza, ma sempre approfondite, ponderate, stimolanti, fra suggerimenti e incoraggiamenti. Anche senza essere espressamente sollecitato, poteva intervenire sua sponte, come avvenne nell'estate del 2000, quando mi fermò in piazza Lazzarini, a Pesaro, di fronte al teatro, per dirmi che aveva letto la mia recensione di Le siège de Corinthe. Avevo diciannove anni e il direttore artistico della Fondazione Rossini mi avicinava per ringraziarmi di alcune osservazioni che avevo esposto nell'articolo e discutere dello spettacolo. In quel dialogare prezioso sentivo la dimensione dell'uomo di cultura autentico, la cui immensa statura non accresceva le distanze, ma al contrario le accorciava trasformandole in stimoli per l'interlocutore. E si percepiva come la sua mente si abbeverasse curiosa da ogni stimolo circostante. Con il suo sorriso da sfinge sapeva mettere, così, sempre a proprio agio, con la consapevolezza che ogni incontro, ogni scambio con lui sarebbe stato un tesoro da custodire nella memoria e cercare di far fruttare.

Quando si vedevano insieme a Pesaro negli anni '90, l'impeccabile Cagli in grigio, l'allampanato Gossett, il tartarughesco e mercuriale Zedda, con le loro passioni, i loro confronti, le fiammate esplosive o sotterranee a seconda del carattere, li si immaginava d'una ventina d'anni più giovani accorrere a Villa Lechi, a Montirone (BS) per constatare che quel manoscritto segnalato dal conte era proprio il finale tragico perduto di Tancredi. Li si immaginava così, come una Santa Trinità Rossiniana nel pantheon che ha innescato la riscoperta della modernità del Pesarese.

In pieno agosto, impeccabile, Bruno Cagli pranzava all'Ariston, un delizioso ristorantino chiuso ormai da anni, con Philip Gossett, Alberto Zedda, Gianfranco Mariotti, Azio Corghi. Parlavano di Rossini, ciascuno con la propria scintilla negli occhi, e se si capitava in un tavolo vicino non si poteva non sbirciarli con ammirazione. Con quell'ammirazione e quella gratitudine, anche chi non è più con noi ci resta vicino, mentre si passeggia per Pesaro, mentre si sfogliano i volumi della Fondazione Rossini, mentre si ascolta la musica di Gioachino e ci si sofferma a riflettere.


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