L’Ape musicale

rivista di musica, arti, cultura

 

Indice articoli

Pensieri dal 2019

di Roberta Pedrotti con la redazione dell'Ape musicale

Alcune considerazioni sull'anno appena trascorso e quello che sta iniziando visti attraverso lo sguardo dei collaboratori dell'Ape musicale.

Tutte le recensioni d'opera del 2019

Tutte le recensioni dei concerti del 2019

Un anno è finito, un altro sta iniziando.

Ci guardiamo indietro per prepararci al futuro, a un anno che si preannuncia all'insegna inevitabile di Beethoven, anche se il predominio nelle stagioni cocnertistiche non si traduce in un proliferare inconsulto di Fidelio (anzi, Martina Franca opta per l'omaggio obliquo e raffinato della Leonora di Paer). Senza voler fare classifiche e consacrare vincitori, una breve consultazione in redazione e uno sguardo alle recensioni pubblicate nell'anno restituisce un quadro complesso, variegato, ma ottimistico del panorama musicale italiano e straniero. Abbiamo perso, è vero, un artista sommo, forse il più grande direttore d'orchestra vivente e attivo, in Mariss Jansons (1943-2019), né possiamo dimenticare, per citare solo alcuni fra chi ci ha lasciato, Jessie Norman, Rolando Panerai e Peter Schreier, Johnatan Miller e Franco Zeffirelli.  Nel frattempo, però, nuove leve si affacciano alle scene, nuovi traguardi vengono superati, sorgono nuove sfide e necessità. Tutto quel che fa parte della vita ci ricorda che la musica e il teatro sono vivi oggi più che mai, perché vivono con noi

La Wiener Staatsoper ha effettuato felicemente il giro di boa dei centocinquant'anni di vita con, fra le varie celebrazioni, una formidabile edizione di Die Frau ohne Schatten integrale diretta da Christian Thielemann; si guarda al futuro del Covent Garden di Londra con la speranza che le ombre della Brexit non soffochino il respiro internazionale di un teatro dal cartellone sempre allettante: l'arte vive nel tempo e nelle contingenze politiche e sociali dell'attualità.

In Italia il Rossini Opera Festival ha tagliato il nastro dei suoi quarant'anni di vita, lo ha fatto programmando uno dei capolavori più grandiosi ed emblematici del Genius Loci, Semiramide. Affidata a una coppia d'oro che aveva già regalato memoriabili edizioni di Guillaume Tell e della Bohème, Michele Mariotti e Graham Vick, ha convinto appieno per la splendida concertazione (e la splendida prova dell'Orchestra Rai), lasciando aperti margini di discussione sulla regia. Viceversa la sorpresa – relativa, a ben leggere la locandina – è venuta da un titolo spesso negletto come L'equivoco stravagante, messo in scena da Moshe Leiser e Patrice Caurier con spirito e gusto impagabili, grazie anche a un cast di primissimo ordine (Iervolino, Bordogna, Luciano).

Per un festival che festeggia quattro decenni, ce ne sono altri emergenti: il Verdi di Parma, se quest'anno non ci fa tremare le vene ai polsi per recite memorabili, consolida la conquistata identità di ricerca teatrale e musicale; soprattutto Donizetti a Bergamo continua la sua ascesa fra le manifestazioni più interessanti e stimolanti del panorama non solo nazionale. Chissà che, prima o poi, non vengano anche degnamente celebrati anche Puccini e Bellini, mentre, se le stagioni continuano a ignorarlo, l'impegno di Martina Franca per Saverio Mercadante - il 2020 ci riporterà la sua Rappresaglia - lascia ben sperare.

Intanto, proprio da Bergamo viene quello che potremmo eleggere senza troppe difficoltà a spettacolo dell'anno: L'ange de Nisida in prima rappresentazione assoluta. Non sarà stata l'unica produzione memorabile del 2019, ma l'opportunità di veder debuttare un'opera di un grande del passato rimasta nel cassetto per oltre un secolo e mezzo è un evento da mozzare il fiato. Per di più a Bergamo non si solo limitati a servire il titolo inedito contando sull'interesse implicito. La riscoperta si è fusa allo spazio del teatro in restauro, a uno spettacolo toccante quanto intelligente, tutto di carta volatile, fragile e tenace, con il busto di Gaetano in prima fila a sovrintendere al debutto del suo capolavoro (perché, sì, L'ange è anche un capolavoro) troppo a lungo smarrito.

Il cast dell'Ange de Nisida testimonia anche la qualità di una giovane generazione di cantanti che, oggi, può garantire il ritorno sulle scene di un repertorio un tempo ritenuto proibitivo. Fino a venti, trent'anni fa, perfino Il trovatore o La traviata erano guardati con timore anche da teatri blasonati. Oggi non è impossibile assistere a diverse edizioni di Guillaume Tell, Les huguenots, I puritani in versione integrale, e altri sesti gradi di difficoltà per cantanti e sistemi produttivi. In generale, dall'Agnese di Paer a Torino allo Schiavo di Gomez a Cagliari, da Hänsel und Gretel sempre a Cagliari a Fernand Cortez a Firenze, sembra che il timore dell'inconsueto e le paure reverenziali che creano titoli "fantasma" possano essere sulla via di dissiparsi. Nondimeno, una stagione come quella dell'Opera di Roma, per scelta dei titoli, voci, bacchette e registi, conferma una vitalità salutare.

Lidia Friedman, protagonista a sorpresa di due dei titoli più attesi del 2019, Ecuba di Manfroce a Martina Franca (subentrava alla prima all'indisposta Carmela Remigio) e L'ange de Nisida (subentrata nell'intera produzione a Salome Jicia, in dolce attesa), si afferma allora fra le belle scoperte di quest'anno. Voce corposa, densa, dal colore personale, assai estesa, disinvolta nella coloratura, desta meritati apprezzamenti e legittime speranze. Ma il 2019 è anche l'anno della consacrazione per altri due artisti under 30, come il tenore Xabier Anduaga e il soprano Giuliana Gianfaldoni. Lui vince il concorso Operalia (e poi è Gennaro in  Lucrezia Borgia a Bergamo), lei canta Corinna nel Viaggio a Reims dei giovani a Pesaro e catalizza l'attenzione. Non sono, però, sorprese spiazzanti, anzi: il tenore basco si è formato ed è emerso dall'Accademia Rossiniana di Pesaro, si era già distinto al Rof e a Bergamo (prima della Borgia, nel Castello di Kenilworth), impressionando chi l'avesse ascoltato. Il soprano pugliese era già noto a chi presta attenzione alle nuove voci, fra concorsi e prime scritture, e non si poteva non appuntare il suo nome per futuri felici approdi.

Giovani emergenti, una fresca generazione già affermata che si conferma, e anche i divi. Sui divi, per esempio, punta l'Arena di Verona, che in un cartellone interlocutorio e navigando spesso a vista, assesta però il suo colpo dell'anno assicurandosi una manciata di recite del Il trovatore con Anna Netrebko, Yusif Eyvazov e Luca Salsi. Chi c'era racconta i brividi per le meraviglie del cast, per la Diva con la D maiuscola che incanta dispiegando una voce ampia e stupenda nell'immensità dello spazio aperto. La Diva è anche alla prima della Scala, e anche qui chi c'è si spella le mani per applaudirla, mentre chi non c'è si divide e magari se la prende con il personaggio (che ogni Diva che si rispetti, per definizione, è) e perde di vista l'artista. Anche questo fa parte del gioco e ci ricorda che all'alba del 2020 il divismo non è morto, si è rinnovato nei tempi come ogni altra cosa ed è vivo come è viva l'opera.

D'altra parte, il mondo dell'opera e della musica brulica d'iniziative: ecco lo splendore di Sant'Ambrogio, la grande festa di Gala dell'Opera, di cui i media magari enfatizzano le stravaganze (ma, diciamolo, le mises estrose quando non buffe sono una ristretta minoranza in un teatro che ospita circa duemila persone e fanno parte del gioco), mentre c'è la celebrazione istituzionale, c'è la gioia di condividere un evento che ha l'opera come fulcro, il teatro come tempio laico e civico, c'è la sostanza dello spettacolo nel suo complesso, che è il vero cuore e, quest'anno, funziona a meraviglia . Il pubblico televisivo e social, intanto, si dilunga su una piccola amnesia tosto risolta dalla prontezza dei veri artisti, ma, semmai, il presunto incidente ci ricorda ancora una volta che l'opera è teatro, è spettacolo dal vivo, hic et nunc e che tutti gli interpreti sono umani, che tutto è – fortunatamente – appeso al filo dell'attimo.

Fra attimi fuggenti si muovono la musica e il teatro fra le stelle, ma anche in un'infinità di iniziative realizzate con pochi mezzi e tanto entusiasmo. A Busseto, è di casa, ogni autunno, il Festival Verdi, che quest'anno ha riportato in scena il miracoloso allestimento di Aida firmato da Franco Zeffirelli, autentica pietra del paragone del genio dell'artista fiorentino scomparso proprio nel giugno 2019: a Busseto, però, ch'è anche un'altra stagione lirica, quella frutto dell'opera studio di Adads Accademia. E se a Bologna c'è il Teatro Comunale (dal quale quest'anno si ricorderà soprattutta la Salome splendidamente concertata da Juraj Valcuha e il ciclo mahleriano con lo stesso Valcuha, Fisch, Ettinger), c'è anche l'Orchestra SenzaSpine, che quest'anno ha debuttato all'opera vincendo la sfida dell'allestimento delle Nozze di Figaro,. Addirittura, si trovano iniziative che soprattutto in ambito contemporaneo e barocco offrono occasioni che sarebbe difficile trovare altrove: ne è un esempio la ghiotta occasione di ascoltare i Te Deum di Charpentier e Lully a Mantova (ne ne ha parlato Francesco Lora), per di più diretti da un maestro del calibro di Federico Maria Sardelli, cui si deve anche il salvataggio del Festival di Barga e la cura del complesso barocco del maggio Musicale Fiorentino. A tal proposito, val la pena di lodare, anche al di là dei singoli risultati, l'idea di dotare importanti fondazioni come anche la scala di organici storicamente informati per il repertorio sei e settecentesco.

Intanto, nei teatri di tradizione, nella cosiddetta “provincia”, si confermano motivi di conforto e soddisfazione, un panorama vivace sia per titoli sia per interpreti, che non solo si fanno le ossa prima di approdare sulle ribalte internazionali, ma che spesso quelle stesse ribalte alternano a piazze magari meno blasonate (e pensiamo a Saioa Hernandez, Luciano Ganci, Amartuvshin Enkbath, solo per fare tre nomi). Ecco allora che Luigi Raso ci ha raccontato, oltre alla ricca stagione del Teatro di San Carlo di Napoli, anche la passione che regna al Verdi di Salerno e i cento anni festeggiati proprio nel 2019 dell'Associazione Scarlatti, altra preziosa gemma partenopea in ambito soprattutto cameristico. [Antonino Trotta racconta il suo punto di vista sulla provincia italiana]

Sempre a Napoli si è svolto uno degli eventi concertistici più impressionanti del 2019 (e significativa anticipazione delle celebrazioni del 2020): la Maratona Beethoven con Juraj Valcuha a capo dell'orchestra del San Carlo e dell'Orchestra Rai. Proprio Valcuha si è distinto, nei suoi vari impegni italiani, fra le bacchette più interessanti delle nuove generazioni, garanzia di recite di altissima qualità, dalla Salome bolognese alla Pikovaja Dama napoletana, passando per una serie di opere e concerti sempre da ricordare nel Massimo partenopeo. E per quel che concerne l'Orchestra Rai, Alberto Ponti segnala fra le performance di maggior rilievo quelle del pianista Alexander Malofeev che, nonostante la giovanissima età, è uno degli interpreti più interessanti e originali del repertorio soprattutto russo, della violoncellista Sol Gabetta, le bacchetta di Fabio Luisi e Nikolaj Znaider (eccellente violinista, non da meno come direttore puro). Una menzione speciale, poi, per James Conlon per l’intelligenza e il coraggio, nonché la versatilità, nel riproporre un repertorio importante ma non così scontato (Die Schöpfung di Haydn) così come pezzi che eseguiti dal vivo sono rarità vere e proprie: Trittico botticelliano di Respighi, Die Seejungfrau di Zemlinsky, Gli affreschi di Piero della Francesca di Martinu, il recupero da un oblio di decenni di due limpide e freschissime pagine di Leone Sinigaglia (Le baruffe chiozzotte e Hora mystica che hanno risollevato una serata dopo il pesantissimo e pretenzioso concerto per pianoforte e orchestra di Giuseppe Martucci, eseguito tra l’altro con sincera passione da Giuseppe Albanese). Da riascoltare, invece, Beatrice Rana e Maxime Pascal, giovani talenti che sul piano interpretativo hanno alternato prove entusiasmanti ad altre più interlocutorie.

A Torino, sede dell'orchestra Rai, il Teatro Regio ha vissuto un periodo faticoso, con una stagione transitoria. Alberto Ponti promuove la "buona la Madama Butterfly con protagonista Rebeka Lokar e un grintoso Daniel Oren sul podio, al pari della Sonnambula con la coppia Ekaterina Sadovnikova/Antonino Siragusa diretti da Renato Balsadonna. Un altro Renato (Palumbo) è stata la bacchetta in primo piano, discutibile in talune scelte agogiche ma efficace nel dettato drammatico, di un Rigoletto caratterizzato dall’esordio nella regia di John Turturro, farraginoso ma originale. Una scoperta piacevolissima l'Agnese di Paër, concertata con mano devota e attentissima da Diego Fasolis, forte di una compagnia di canto ben assortita (con Maria a Rey-Joly protagonista) e di uno spettacolo divertente e centrato firmato da Leo Muscato.  Ottima infine, da un punto di vista registico (Mario Pontiggia) e vocale (Anna Pirozzi, Marcelo Álvarez, Ambrogio Maestri) la Tosca di appena due mesi addietro." Si attendono, però, con trepidazione le prossime stagioni, firmate dal nuovo sovrintendente e direttore artistico Sebastian Schwarz, il vero volto nuovo in uno scacchiere di dirigenze che, nelle nostre fondazioni liriche, si sta facendo sempre più internazionale. Alexander Pereira a Firenze e Stéphane Lissner a Napoli, dopo l'esperienza della Scala - dove nel frattempo è in arrivo Dominique Meyer - si apprestano a loro volta a nuove sfide italiane. Nel frattempo, è sopraggiunta la nomina di Omer Meir Wellber al Massimo di Palermo, Myung Whun Chung è ormai direttore stabile de facto della Fenice, Gatti Pappano e Chailly sono saldi a Roma (Opera e Santa Cecilia, con la sua floridissima programmazione) e Milano, mentre Firenze, Torino e Bologna non hanno ancora individuato o ufficializzato i successori di Fabio Luisi, Gianandrea Noseda e Michele Mariotti, né è chiaro il futuro di Juraj Valcuha, al momento di casa a Napoli.

La musica e il teatro musicale, poi sono oggetto continuo di studi, riflessioni, approfondimenti. Accogliamo dunque con piacere anche la segnalazione che ci arriva da Mario Tedeschi Turco di una "pubblicazione scientifica – apprezzabile anche dal pubblico degli appassionati -, vale a dire gli Atti del Convegno Mettere in scena Wagner. Opera e regia tra Ottocento e contemporaneità, a cura di Marco Targa e Marco Brighenti, Libreria Musicale Italiana, Lucca 2019, pp. 270. Si tratta di una silloge di saggi di grande valore, dal punto di vista della drammaturgia musicale, offerti da studiosi sia dell’ambito musicologico che teatrologico: Jean-Jacques Nattiez, Maurizio Giani, Marco De Marinis, Jürgen Maehder, Guido Salvetti, Martin Knust, Quirino Principe, Katherine Syer tra gli altri, per un totale di 14 saggi, una presentazione e una conclusione, nonché l’interessantissima sintesi della Tavola Rotonda coordinata da Andrea Estero, con interventi di registi, critici, musicologi, cantanti e professionisti del teatro vari quali Denis Krief, il cantante Albert Dohmen, il dramaturg Markus Wyler, Angelo Foletto, Elvio Giudici, Gaston Fournier-Facio, Nattiez, Gustav Kuhn, Antonio Cognata, la psicanalista Almatea Usuelli."

Non possiamo negare che alcuni teatri abbiano vissuto e continuino a vivere problemi amministrativi, che vi siano nodi da sciogliere, ma non possiamo non porre l'accento sulle forze propulsive positive che possiamo toccare con mano nei teatri e nelle sale da concerto, dalle grandi capitali dall'arte alla provincia, dalle istituzioni più antiche alle nuove iniziative. Non tutto è perfetto, ma c'è chi si rimbocca le maniche, lavora sulle idee, e noi contiamo su di loro perché i circoli virtuosi prevalgano su quelli viziosi. 

L'invito per tutti è di cercare di seguire il più possibile l'opera, i concerti, il balletto, il teatro, le arti dal vivo, di persona e privilegiare i giudizi sui pregiudizi esercitando sempre spirito critico. Anche in questo l'arte, la cultura ci rendono persone migliori e più complete.

 


 

La provincia, che forza!

di Antonino Trotta

Uno sguardo sul mondo sempre più stimolante e vivace della provincia italiana: luogo di spettacoli spesso tutt'altro che minori. Anche gli scivoloni, d'altra parte, non dipendono tanto dai mezzi a disposizione, quanto dalle idee e dalla fiducia nell'opera e nel pubblico, che non costano nulla e possono schiudere le porte a bellissime sorprese.

Tanto cervello, cuor di un ruggente leone e occhi di falco: se oggi si dovessero individuare le colonne portanti dell’attuale teatro “di provincia”, competenza e audacia, stemperate quindi con una provvidenziale dose di lungimiranza, sono gli ingredienti vincenti di un successo che giammai depone sugli allori le istituzioni interessate, piuttosto le stimola in un percorso di crescita famelico, talvolta insaziabile. Del resto basta farsi un giro a Piacenza, Novara, Como, Pavia, Parma – queste le mete accarezzate da chi scrive nel corso dell’anno, a cui si aggiungono le testimonianze degli altri corrispondenti a Brescia, Salerno, Trapani, Catania, Verona – per rendersi meglio conto dell’oasi lirica che la provincia si rivela spesso essere.

Se della qualità della provincia vogliamo parlare, come non guardare con profonda invidia all’Emilia-Romagna, già assai fortunata per il superbo Comunale di Bologna e il seducente Festival Verdi di Parma, paradiso dove si mangia – cosa imprescindibile per i trasfertisti d’opera – e si ascolta benissimo praticamente ovunque. Nell’Emilia felix la provincia si unisce in un circuito periferico che è probabilmente il più interessante a livello nazionale: si rispolverano con audacia titoloni caduti in disuso, si preparano con cura i piatti tradizionali, si scelgono con lungimiranza i cantanti, scoprendo a volte risorse preziosissime da allevare e lanciare in pompa magna sul mercato internazionale. E proprio nella provincia emiliana quest’anno abbiamo goduto di una Forza del destino superlativa: una grande opera che necessita di grandi voci e grandi interpreti e al Municipale di Piacenza, in prima linea per questa produzione, c’era tutto. Quest’ultimo, meravigliosa creatura del direttore artistico Cristina Ferrari, è un piccolo gioiellino che ci ha permesso di assistere a importanti debutti: la Leonora di Anna Pirozzi, la Maddalena di Coigny di Saioa Hernandez, un assaggio dell’Otello di Francesco Meli e, a breve, il primo Falstaff di Luca Salsi.

Non meno accattivante della ridente comunità padana e forse in parte limitato dalla brevità della stagione – concentrata praticamente in un terzo dell’anno –, anche la rete di OperaLombardia ha riservato dolci sorprese. Assolutamente encomiabile, ad esempio, è stato il dittico L’heure espagnole/Gianni Schicchi (recensito a Pavia e Brescia) per la garbatezza con cui l’opera di Ravel è stata messa in scena e accostata all’arcinoto atto unico di Puccini, sapientemente riletto in chiave sorniona e moderna. Infine, ancor limitatamente all’esperienza dello scrivente, è doveroso menzionale il piccolo ma combattivo Teatro Coccia di Novara. A metà tra il Regio di Torino e La Scala di Milano, l’unico teatro di tradizione del Piemonte affronta in maniera solitaria la corsa nell’agone operistico italiano. Tante buone intenzioni, a fronte dei pochi mezzi economici a disposizione, gli sono valse più di una visita nel corso dell’anno: l’Ernani che ha inaugurato la stagione ha superato ogni pronostico grazie a un cast selezionato con somma attenzione e anche se il debutto italiano del sopranone ungherese Klára Kolonits ha in parte disatteso le aspettative, siamo comunque più che grati per l’incontro ravvicinato con quest’artista altrimenti raggiungibile solo a mezzo di YouTube.

Certo, anche l’amena provincia qualche volta fa il passo più lungo della gamba. Riesce ancora difficile, a distanza di mesi, riuscire a digerire quel Guglielmo Tell del circuito lombardo in un allestimento che sta bene con il Guillaume Tell di Rossini come il Parmigiano Reggiano sugli spaghetti alle vongole. O ancora il Serse emiliano, ben suonato ma anch’esso straziato dai tagli – però le arie c’erano tutte! – e messo in scena nella totale assenza di idee. Almeno un paio in redazione l’hanno visto, nessuno ha avuto il coraggio di riferirne. Quale fosse il problema in queste circostanze, è difficile dirlo. Forse è mancata solo fiducia nel pubblico che in fondo non è diverso da quello della Scala, della Fenice, del Massimo di Palermo, del Regio di Torino, del San Carlo, del Comunale di Bologna o dell’Opera di Roma.

Pubblico che qui nella provincia operistica è sempre presente, attivo, entusiasta, perché il teatro di provincia è innanzitutto una necessità: può il corpo umano funzionare con i soli organi principali, lasciando denutriti i restanti tessuti? Il melodramma ci scorre nelle vene e perchè questa linfa vitale, nonché liquido amniotico della cultura e della civiltà italiana, possa irrorare ogni parte della penisola, occorre un sistema circolatorio che possa soddisfare il fabbisogno di tutta la nazione. La provincia è la culla delle stelle di domani, il rifugio di quelle di oggi, insomma un meccanismo in continuo fermento che vale la pena riconoscere, seguire e valorizzare.


L'amore per la musica dei canadesi

di Giuliana Dal Piaz

Il Canada è un paese musicalmente attivissimo, in ogni genere e a ogni livello. Negli ultimi anni si sta sviluppando anche una generazione di cantanti lirici sempre pià interessanti, mentre soprattutto in campo barocco e rinascimentale spicca la figura di David Fallis. 

Bisogna dire che, in Canada, di amore per la musica ce n’è proprio tanto. All’origine, immagino, per una serie di motivi che si sono combinati nel tempo: dalla variegatissima immigrazione, che costituisce l’autentica base della popolazione canadese e alla quale gli esponenti di paesi, religioni e lingue diverse hanno apportato ognuno il proprio bagaglio culturale e le proprie tradizioni; ai lunghi, rigidi inverni che favoriscono il raccogliersi in famiglia o in piccoli gruppi con il facile collante del canto collettivo e della musica. Ogni città importante ha la sua facoltà di musica e la sua orchestra universitaria, ma anche tante cittadine e perfino paesini hanno un proprio centro culturale, almeno un coro di una delle molte chiese locali, e qualche band giovanile. Nei centri principali (Toronto, Montreal, Vancouver, Ottawa) è poi un’esplosione di gruppi tanto di musica classica, quanto di rock, pop, jazz. I cori dilettanti, poi, sono una miriade, alcuni anche di livello più che discreto, come Univox, un coro “di comunità” (Bloordale e la città di Toronto) per giovani adulti, che offre due o tre volte l’anno delle vivaci presentazioni di musica corale vecchia e nuova eseguita in genere a cappella. Si è cimentato finora con madrigali e mottetti rinascimentali, cori classici, composizioni contemporanee, spirituals e canzoni folk o pop internazionali. È naturalmente impossibile seguirli non dico tutti, ma almeno quelli più attivi. Comunque, nelle quattro città più importanti, esce mensilmente la rivista NOW – di tipo economicissimo, ma a diffusione gratuita – che li elenca tutti, con il relativo calendario di attività: su quella base, ognuno può scegliere, secondo i proprî interessi e il tempo disponibile. Naturalmente, non si può certo affermare che l’opera sia molto conosciuta o frequentata: l’età media del pubblico che la frequenta si aggira decisamente sui cinquant’anni avanzati. L’intensa attività di promozione della Compagnia nazionale d’opera e dei Conservatori fa comunque sperare. Ma ancora più utile sarebbe che i giovani leggessero, uscito quest’anno per i tipi della McGill University Press in Québec, il libro di Kent Nagano Classical Music. Expect the unexpected (Musica classica. Aspettati l’inaspettato), insolita autobiografia del famoso direttore d’orchestra nippoamericano, che ha diretto per dieci anni l’Orchestra Sinfonica di Montréal. In una prosa semplice ed accessibile, Nagano racconta della sua infanzia nella cittadina californiana di Morro Bay, all’epoca quasi un villaggio di pescatori e agricoltori, della sua precoce familiarità con la musica, grazie alla madre, scienziata e pianista, ma anche all’abitudine degli inni cantati in chiesa al suono dell’organo e a un paio di lungimiranti maestri delle elementari; racconta aneddoti della propria vita e dei compositori preferiti, apre la porta sul mondo della musica non soltanto come una sfera separata dalla vita ma come parte essenziale di essa in ogni aspetto personale e sociale, capace di risvegliare il senso estetico fin dalla prima infanzia, di aiutare la mente a conoscere e riconoscere l’ordine, nel senso più alto della parola; mette in guardia sulla perdita d’importanza della musica classica nel nostro odierno mondo eminentemente “visuale” e immediato, in cui la fanno da padroni musica pop e rock attraverso videoclip e videogiochi, quel mondo in cui si pensa che qualunque brano musicale più lungo di 5 minuti non ha possibilità di successo.

Frequentando a Toronto la compagnia nazionale d’opera (C.O.C) e Opera Atelier, e vedendo che in genere i protagonisti sono di nazionalità statunitense o europea nel caso di autori come Wagner e Dvořák, si può pensare di primo acchito che i cantanti canadesi non siano abbastanza bravi. Per quelli che hanno raggiunto notorietà internazionale, come negli ultimi anni il soprano Sondra Radvanovsky o in passato il mezzosoprano Judith Forst e il contralto Maureen Forrester, sappiamo che hanno avuto l’opportunità di perfezionarsi in Europa. Oggi, tuttavia, i giovani talenti locali sono numerosi e molto ben seguiti nei corsi di specializzazione delle Compagnie d’Opera e dei Conservatori. È quindi sempre più frequente che ruoli protagonistici o di comprimarî importanti siano finalmente affidati a cantanti canadesi. In questo momento ho presente in particolare il basso/baritono di Ottawa Joel Allison, notato molto favorevolmente lo scorso ottobre sia come il Mandarino in Turandot sia come Cacciatore in Rusalka di Dvořák e che ha partecipato a dicembre, con “The Toronto Consort”, alla Schütz’s Christmas Story, come parte del coro ma anche nel ruolo solista di Erode: la sua voce ha un timbro particolarmente bello e ricco, che raggiunge con facilità anche un acuto brillante; in grado di dominare con disinvoltura sia la tessitura del baritono che quella del basso, le sue interpretazioni hanno spaziato da Basilio a Leporello ad Enea e al Don Chisciotte di Telemann. Grande promessa della lirica canadese.

Vedendo Riccardo Muti fare lezione di direzione d’orchestra nella sua “Opera Academy”, anche un profano riesce a capire meglio il ruolo e la responsabilità del “direttore”, quella persona che sta sul podio con (o anche senza) la bacchetta in mano. C’è a Toronto un direttore molto particolare, che usa la bacchetta di rado, è un uomo piccolino, magro, di età indefinita, sempre affabile e sorridente, dotato di una memoria prodigiosa e di un’insaziabile curiosità per tutti i tipi di musica: David Fallis. Specialista in musica medievale, rinascimentale e del primo barocco, quando un anno fa annunció al pubblico di The Toronto Consort che si ritirava dalla direzione dell’ensemble, credemmo davvero che si sarebbe preso una pausa dalla sua frenetica attività. Ma nemmeno per sogno: significava soltanto che non si sarebbe occupato di tutti e cinque i concerti annuali di quel gruppo di musica d’epoca! Avrebbe però continuato a dirigere la Tafelmusik Baroque Orchestra, quando questa gestisce la parte musicale degli spettacoli di Opera Atelier (opera antica e barocca), continuato con la direzione per “Soundstreams Canada” di Coro 21, un ensemble vocale che ha fondato nel 2010 e specializzato in musica corale contemporanea (XX e XXI secolo), continuato ad insegnare nei corsi post-lauream della Facoltà di Musica all’Università di Toronto, a esibirsi come direttore ospite delle canadesi London Orchestra, Windsor Symphony, Symphony Nova Scotia, Symphony New Brunswick, e Manitoba Chamber Orchestra, ma anche della Houston Grand Opera o della Utah Opera. E non avendo più l’impegno costante di Toronto Consort, ha accettato l’incarico di Direttore ad interim e consulente artistico del Mendelssohn Choir, che si esibisce con la Toronto Symphony Orchestra fino a quando non sarà nominato un direttore permanente del coro.

Nei ritagli di tempo (!) ha lavorato per cinema e televisione e per alcuni Festival, come ad esempio il Toronto's Metamorphosis Festival (un innovativo festival multiculturale di musica, opera, danza, cinema, teatro e design che dura tre mesi): sua la produzione e direzione di musica d’epoca delle serie The Tudors e The Borgias, le musiche per The Sweet Hereafter di Atom Egoyan, la prima mondiale di De Angelis di Christos Hatzis. È anche stato Direttore musicale de The Children’s Crusade (La crociata dei bambini) di R. Murray Schafer (2009) e del concerto MAADA’OOKII SONGLINES – 200 cantanti appartenenti a 11 cori diversi – (2019), entrambi presentati in prima mondiale al Toronto’s Luminato Festival.


Nuovi orizzonti per l'opera

Nel bilancio di Luis Gutierrez dal Messico spiccano prime assolute e titoli meno frequentati sia del  XX e XX secolo, sia del XIX, con particolare attenzione anche alla fertile scuola musicale locale. Notando come, seppur con un repertorio più consueto, molte altre città messicane stanno sviluppando la loro attività operistica, ci sono i presupposti per felici sviluppi per qualità, quantità e varietà della proposta musicale.

El Palacio de Bellas Artes estrenó L'amour de loin de Kaija Saariaho y Amin Malouf, con éxito de público y crítica. Lección 1: al público mexicano está interesado en óperas relativamente nuevas y no solo en los caballos de batalla del novecientos, Mozart, Strauss o Puccini. Otro éxito en el Palacio de Bellas Artes fue el estreno en la casa de Salsipuedes del mexicano Daniel Catán. Regresaron La fanciulla del West (esta vez sin terremoto) y Otello y se celebró el año Offenbach con una nueva producción de Les Contes d'Hoffmann. Tanto la puesta en escena como la interpretación tuvieron opiniones divididas.

La UNAM presentó otra obra de Catán, La hija de Rappaccini, y Le Grand Macabre de Ligeti, ésta en forma de concierto, lo que no impidió que el publico mexicano entrara en contacto con esta obra maestra.

La Orquesta Sinfónica del Estado de México inició un ciclo del Anillo del Nibelungo en forma de concierto. Das Rheingold tuvo mucho éxito y su director, Rodrigo Macías, tiene planeado usar algún elemento dramático que ayude a disfrutar más de esta obra monumental. Este año el plan es presentar Die Walküre.

Otro evento importante fue la recuperación y estreno de una de las óperas seminales del novecientos mexicano, Catalina de Guisa, de Cenobio Paniagua con un libreto de Felice Romani. Representó un trabajo musicológico, que espero sea catalizador para incrementar la investigación en este campo.

Por supuesto, hubo más ópera tanto en la Ciudad de México como en las ciudades donde se acostumbra presentar obras de esta forma artística, como Mérida en Yucatán, León en Guanajuato y Monterrey en Nuevo León. En la gran mayoría de los casos se presentaron óperas del gran canon del repertorio mundial, desde Mozart hasta Puccini.

Espero que el año que entra se incremente la calidad y cantidad de óperas a presentarse, y que se mantenga el equilibrio entre obras nuevas y tradicionales.

 

 

 


 

 

 
 
 

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