Storia in movimento

di Roberta Pedrotti

Visitata in extremis prima della chiusura per l'emergenza sanitaria, la mostra Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna al Museo Archeologico di Bologna ha offerto spunti di riflessione di grande attualità fra quarantena, auspici per il futuro e approccio alla storia e alla cultura.

Museale. Un aggettivo che spesso assume un'accezione negativa, come a indicare qualcosa di statico, uno sguardo all'indietro, volto alla conservazione passiva come passivo è l'osservatore, che guarda ma non interagisce, ammira e impara. Il luogo comune, però, è la faccia usurata e impolverata di una medaglia viceversa splendente. Il museo tempio delle Muse è luogo di elaborazione critica, un luogo in evoluzione, in cui il rapporto con l'oggetto esposto - reperto, opera d'arte, documento o altro - può modificarsi, subire diverse interpretazioni, offrire diversi stimoli. 

Un esempio è venuto dalla mostra Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna, interrotta purtroppo dall'emergenza sanitaria e si spera dunque prolungabile oltre il termine previsto (24 maggio). Ad ogni modo, val la pena parlarne, tanto più che il museo archeologico di Bologna si è attivato anche attraverso i suoi canali social con immagini, video e visite virtuali a compensare almeno parzialmente la perdita. Certo, non è solo lo spettacolo dal vivo a essere insostituibile: lo è anche anche l'esperienza diretta in un museo, la possibilità di muoversi nell'esposizione, di girare intorno a un oggetto, camminare fra pannelli e bacheche, saltare, tornare indietro, commentare con chi ci accompagna o con la guida, seguire ciò che attrae la nostra attenzione, accogliere i suggerimenti dei curatori e costruire un proprio percorso personale. Ora, la situazione impone norme inderogabili, ma che oltre a salvarci la vita ora potrebbero aiutarci ad apprezzare meglio in futuro la pienezza sensoriale (sì, anche il mal di piedi alla fine della visita!) dell'esperienza diretta.

Il percorso espositivo è doppio. Prima si viaggia nel tempo, scorrendo le fasi della storia etrusca, dai primi insediamenti, all'evoluzione delle strutture sociali ed economiche fino all'ascesa di Roma che pone fine all'indipendenza delle locumonie, le città stato. Poi, il cammino si ripete attraversando l'Italia etrusca, che si estende dalla Campania alla Pianura Padana. Cinque fasi cronologiche: dalle origini (IX secolo a.C.) all’alba della città (fine del IX – terzo quarto dell’VIII secolo a.C.) al potere dei principi (ultimo quarto dell’VIII – inizi del VI secolo a.C.), dalla storia di città (VI – V secolo a.C.) la fine del mondo etrusco (IV – I secolo a.C.). Cinque aree geografice: Etruria campana, meridionale, interna, settentrionale e padana. Probabilmente, almeno è andato a scuola qualche anno fa potrà interrogarsi sui misteri attribuiti alla storia etrusca e chiedersi come sono trattati in quest'occasione. O, meglio, perché non sono trattati. 

La risposta è semplice. Nel caso del mistero della lingua etrusca, il mistero stesso non esiste: l'idioma è stato decifrato da tempo e non costituisce un enigma per gli studiosi. Là dove il racconto dell'evoluzione delle città si sofferma sull centro di Pyrgi, il suo porto e i suoi templi, troviamo anche le lamine d'oro rinvenute nel 1964 le cui iscrizioni bilingue (punico-fenicio ed etrusco) hanno offerto ulteriori sviluppi allo studio di una lingua che ormai da decenni non può dirsi miseriosa.

L'altro mistero che piaceva molto all'immaginario storico dei tempi andati - ma non del tutto tramontati - è quello che riguarda le origini del popolo etrusco. E qui sorge la riflessione più interessante, giacché non si tratta più di dire che il mistero non sussiste perché è risolto, ma della questione stessa che non ha più ragion d'essere. Non si parla di orgine fisica di un popolo, non si ragiona in termini di migrazioni e autoctonia, tanto più che questa non è che concetto labile amato dalle  mitologie per ragioni politiche. Agli ateniesi piaceva identificarsi con le cicale, che sembrano nascere dal terreno, o immaginare i loro antichi partoriti direttamente dal suolo dell'Attica; attraverso giri più o meno tortuosi, però, in moti continui o a lunghe tappe, tutti discendiamo da un manipolo di primati che dall'Africa centrale hanno cominciato a spostarsi per i continenti. La storia dell'uomo è storia di movimento, e quindi, più che immaginare gli etruschi nascere dalla nerra nella valle dell'Arno o giungere in carovana da chissà dove già bell'e formati nella loro identità culturale, ha senso parlare dello sviluppo di una civiltà, della costituzione di un'identità, di una cultura, della rete di rapporti in cui si collocano.

Fra le sepolture, le tracce più evidenti da cui ci può arrivare la quotidianità dei vivi, colpisce la ricchezza delle tombe infantili, anche di bimbi molto piccoli. Una ricchezza che non parla di sfarzo ostentato, ma di tenerezza vera. In questa cura minuziosa del corredo funebre - in cui le bambine sembrano poter disporre monili per una vita che proseguirà nell'aldilà consentendo loro di diventar donne - troviamo anche scarabei egiziani, ambra baltica, amuleti dalle origini più disparate. Un piccolo gesto affettuoso che arriva fino a noi ci racconta non solo il dolore di una famiglia, ma anche una civiltà che non è isolata, ma costituisce una fitta rete di scambi e relazioni che nel Mediterraneo ha un centro, ma non un confine.

Un mondo che nasce globalizzato, in cui ha senso non tanto tracciare i contorni dei popoli, quanto osservarne l'intreccio, la mobilità, lo sviluppo, il dialogo, il cambiamento, l'evoluzione di diverse idee di identità. Cambia il modo di percepire, di guardare la storia, perché, in fondo, fare storia (e curare una mostra, visitare un museo) vuol dire interpretarla con i nostri occhi, nel nostro tempo, inevitabilmente specchiarci in essa. Così, vediamo gli Etruschi, attraverso le loro terre (Rasna era il nome con cui essi stessi si designavano) e i loro tempi, così vicini a noi. Vicini anche nel piccolo atto quotidiano, nel gusto - che ci appare modernissimo e invece è solo eterno o ciclico - di alcuni utensili casalinghi, o nel piacere della decorazione esotica, dell'oggetto d'importazione pregiato o di moda, del monile scaramantico, del mercato e dello spirito, della gioia di vivere fra musica, vino, o umorismo  a tinte forti.

Sia questa o un'altra esposizione, temporanea o permanente, appena sarà possibile, fate una passeggiata in un museo. Girate intorno alle bacheche, create il vostro percorso fra chi ha creato quella raccolta, l'ha pensata, l'ha disposta e ordinata e chi ha creato quegli oggetti, quelle opere d'arte, li ha commissionati, toccati, guardati prima di noi. E, sfruttando tutti i sensi, togliamo la polvere a tutte le parole imparentate con le Muse.

 

le didascalie

foto di Roberto Serra