Il trionfo dei sensi

di Roberta Pedrotti

Fra gastronomia e arte, una gita nel mantovano può esaltare i sensi, ma ancor più far riflettere sulla vita che val la pena vivere e tutelare. La cura dei restauratori a Palazzo Te ricorda quanto prezioso sia il rispetto delle competenze di fronte all'irresponsabile leggerezza dell'ignoranza.

Mantova, 2 luglio 2020 - Gettarsi nella mischia in barba a ogni precauzione, sfidando la sorte anche altrui (si parla di contagi, non di rischi strettamente personali) in una roulette russa: vale la pena? Che valore si attribuisce alla vita, quale rispetto si dimostra per quella del prossimo? Di fronte alla posta in gioco, una mascherina, un po' di disinfettante dai numerosi erogatori disponibili, il controllo delle temperature, le semplici regole di buon senso e distanziamento sono davvero poca cosa da seguire con calma e ragionevolezza. Così, è ancora possibile vivere la vita e darle il giusto peso. È possibile ritrovarsi in compagnia anche senza stringersi troppo, anche salutandosi con un cenno senza toccarsi, è possibile gustarsi gli spettacolari tortelli mantovani a Valeggio sul Mincio posizionando i coperti alla giusta distanza e seguendo le indicazioni di sicurezza. Vale la pena di adottare qualche precauzione, per il piacere della conversazione e per la poesia gastronomica di un poker di fagottini di sfoglia sottilissima asciutti o in limpidissimo brodo, fra zucca, fegatini, spinaci.

Val la pena di adottare qualche precauzione - e, anzi, il distanziamento favorisce la visita - per visitare palazzi e musei. Non c'è illustrazione, fotografia, video, simulazione che valga il ritorno di persona a Palazzo Te. Gli stessi luoghi cambiano se cambiano gli occhi con cui li guardiamo, con altre esperienze, nuove consapevolezze, una maturazione mentale e fisica, perfino. Sì, ricordavo a menadito la gita scolastica di quarta elementare, preparata dalla maestra con cura tanto minuziosa che tante informazioni tornano utili ancor oggi a qualche lustro di distanza. Eppure solo il fatto di entrare nella camera di Amore e Psiche con qualche centimetro di più di statura fa scoprire come intimo e accogliente lo spazio che allora era parso tanto ampio. Eppure solo il fatto di aver visitato nel frattempo il palazzo di Ludwig a Monaco di Baviera e il suo chiostro tutto incrostato di conchiglie, fa guardare in modo diverso, come esempio di modello ispiratore, alla grotta del Giardino segreto. O, scorrendo ancora a ritroso nel tempo, a Pompei, alla Domus Aurea, la cui fortuita scoperta precede di poco proprio la costruzione del palazzo gonzaghesco. Riferimenti sensibili si intrecciano: mode, copie, reinvenzioni, omaggi, allusioni, modelli. Era così per chi ha ideato e vissuto il Palazzo, è così per noi che lo visitiamo con la nostra prospettiva personale.

A proposito di prospettive, il gioco geometrico potrebbe essere infinito, in ogni angolo dei porticati, degli atrii, del parco: tutto è costruito seguendo la stella polare di proporzioni perfette, di equilibri aurei, simmetrie e composizioni classiche esemplari. Eppure, anche lì, fra il bianco abbagliante dell'edificio, il verde dell'erba e dell'acqua, il celeste profondo del cielo, la pietra candida d'antico ideale rivela la maschera beffarda di un satiro. Il palazzo vive. Giardino di delizie e piaceri, anelito di perfesione matematica e gioiosa esplosione dei sensi. Gli affreschi di gusto antico da Roma e Pompei riprendono volentieri anche le allusioni erotiche, la proclamazione del modello politico dei grandi regnanti del passato - da Davide a Cesare e agli imperatori romani, da Giove stesso ad Alessandro Magno - va di pari passo con gli amori del Re d'Israele con Betsabea o le varie avventure degli dei dell'Olimpo. Tutto molto terreno, perfino irridente quando ci fa sbirciare da sotto in su, nel chitone svolazzante, le natiche del dio Sole sul suo carro. Tutto molto esplicito, quando Giove è sul punto di unirsi a Olimpiade. Ma anche raffinatissimo nei richiami a Ovidio, ad Ariosto, a simbologie alchemiche, a quell'esoterismo che non si scinde dalla scienza, dalle lettere e dalle arti umanistiche.

E abbiamo la sfilata superba della scuderia del Duca, nella sala dei cavalli, o il gusto abnorme di quell'ammassarsi di corpi titanici sulle pareti della piccola sala dei giganti, quasi a subissare l'ossservatore fino a liberare il suo sguardo nella gloriosa prospettiva celeste del soffitto. Lì, ora, ci sono anche due impalcature a stringere vieppiù il passaggio. La sala è in restauro, vediamo mani giovani e sapienti curare minuziosamente centimetro per centimetro. 

Dopo aver ammirato il lavoro di Giulio Romano, l'intreccio erudito e godereccio del palazzo del Duca Gonzaga, le collezioni alloggiate nella frescura del sottotetto con reperti egizi e mesopotamici, utensili di conio pesi e misure rinascimentali, pittura otto e novecentesca, torniamo a pensare alla cura dei restauratori. Pensiamo con rispetto e gratitudine allo studio necessario per conservare tutto questo patrimonio. Pensiamo a quanta competenza tramandi, paziente, quei frutti dell'ingegno e dello spirito umano che ci rendono civili, che rendono la vita degna di essere vissuta. Pensiamo a quanta stolta superficialità possa vanificarli nel gesto di chi ha lasciato - ne abbiamo notate tante - quelle firme e incisioni sulle pareti. Ancora una volta pensiamo a quanto valga la pena tutelare la vita per renderla davvero degna d'essere vissuta.